Titolo: Il giorno che a Beirut morirono i panda
  
Autore: Rita Porena
  
Casa editrice: Gamberetti
Genere: Racconti
Lingua: Italiano
Donato da: Famigliari di Stefano Chiarini
  
Disponibilità: si
Formato: cartaceo
Posizione Libro: Centro
Settore: Palestina

[Rif. 9] Stampato anno: 1993 - Num. pagine: 196 - Costo: 11 Euro


“Questo libro è un fiore. Diverso…Un fiore che ha l’odore del sangue ma anche del gelsomino. Dell’orrore ma anche della pietà…Ferisce ma senza cattiveria”. Queste sono le parole usate da Igor Man nella prefazione del romanzo-cronaca Il giorno che a Beirut morirono i panda della giornalista professionista Rita Porena. Parole vere, parole rappresentative di quello che sotto veste di romanzo narra, descrivendole, vicende di vita nella Beirut del 1982, durante l’ultimo periodo di assedio israeliano.

Il filo del romanzo dovrebbe essere la storia di quattro italiane nella loro ricerca disperata di un’amica scomparsa, tra agenti segreti, giornalisti, mercanti d’armi e fedayn. In realtà però, scorrendo le pagine ed immergendosi in una realtà tanto lontana quanto mai vicina, ci si rende conto di come questo aspetto passi in secondo piano, emergendo di tanto in tanto qua e là nella narrazione, per lasciare spazio ad un susseguirsi incalzante di avvenimenti di guerra e vita quotidiana.

L’intersezione tra questi due piani diventa una fusione vera e propria: non c’è una scena nel libro in cui la guerra, le bombe, gli aerei nemici non facciano da cornice anche ad un semplice momento di pausa davanti ad un buon caffè. Ed emerge poi l’amore incondizionato, forse malsano a tratti, che lega la protagonista (che nel testo si chiama Marisa ma che altri non è se non la scrittrice Rita Porena) alla città di Beirut. Tutti fuggono via, cercano riparo nei paesi vicini, in Europa da parenti lontani, ma non lei. Non lei che potrebbe tranquillamente tornare in Italia. Non lei che ormai senza Beirut non sa più vivere dopo sedici anni di appartenenza a quella città, a quella gente, a quel mondo nel mondo che fa ormai parte di lei. Guarda inerme partire amici, compagni di viaggio e di vita. Ma sembra quasi lo faccia da un oblò, da una distanza protettiva di chi ha visto tanto dolore intorno a sé. Si chiude in quella realtà, continuando a svolgere il suo lavoro di giornalista, puntualmente. “Beirut non è una malattia” dice Marisa a chi le consiglia di andarsene. Per lei Beirut non è diventata cattiva, neanche in mezzo alle carneficine. Non ci sono anziani che muoiono da soli, non sei solo neanche se non hai famiglia o sei straniero.