L’ASSASSINIO DI VITTORIO ARRIGONI



Data: 17 Aprile 2011
Autore: Cinzia Nachira



Cercare di spiegare, soprattutto di spiegarsi e dare un senso al non senso è in queste ore particolarmente difficile. L’assassinio di Vittorio ha un senso? Serve a spiegarlo chiedersi a chi giova un altro atto barbarico e insensato?
L’assassinio di Juliano Mer Khamis avvenuto il 4 aprile nel campo profughi di Jenin e quello di Vittorio Arrigoni a Gaza sono inseriti nella medesima logica e da entrambi viene un segnale allarmante: il tentativo di ingabbiare la società palestinese all’interno di una visione del mondo nazionalistica-religiosa che pretende di risolvere il dramma palestinese con l’isolazionismo. E questo al di là del fatto se si riuscirà a stabilire le reali responsabilità di questo atto tremendo. In altri termini: la sostanza non cambierà se sarà accertata la responsabilità delle cellule salafite presenti nella Striscia di Gaza o, come pensano alcuni, si tratta di un «omicidio su commissione». Non è né una sorpresa, né una novità che Vittorio fosse sulla lista nera sia del governo israeliano, sia dei coloni e della destra estrema israeliana.
Il fatto che Vittorio Arrigoni sembrava essere stato vittima di un rapimento poteva inquadrare il suo caso in un’altra ottica. Ma la differenza, tra l’assassinio di Juliano e quello di Vittorio, non è che apparente, perché ciò avrebbe offerto almeno qualche chance a Vittorio di poter continuare a vivere.
Una cosa è certa: in Italia c’è chi sta festeggiando questo assassinio che elimina un testimone testardo, scomodo e seccante. Parliamo di quel primo ministro che aveva annunciato alla radio israeliana che avrebbe fatto di tutto per fermare la partenza della seconda Freedom Flotilla e della nave italiana «Stefano Chiarini». Anche il presidente Napolitano avrebbe fatto bene a tacere. Dopo aver ripulito il sionismo dalla sua essenza colonialistica, razzista e violenta, egli ha additato l’antisionismo come un’attitudine antisemita. Anch’egli dunque si è posto in qualche modo a sostegno di coloro che vedevano Juliano e Vittorio come nemici da eliminare.
Chi ha condiviso la battaglia di Vittorio non può accettare che i complici dell’assedio di Gaza e quindi del suo assassinio, che oggi sono al governo del nostro sventurato Paese, si associno impunemente al nostro dolore e al dolore della famiglia.
Ora molti saranno i pescecani che si butteranno sul corpo ancora caldo di Vittorio, facendo intendere che nulla può cambiare. Il loro messaggio sarà chiaro: i palestinesi sono dei barbari che uccidono brutalmente chi gli tende una mano d’aiuto. A tutti costoro dobbiamo imporre il silenzio, perché se in Palestina in questi anni l’integralismo islamico, armato o meno che sia, ha potuto prendere il sopravvento, i responsabili siedono comodamente a Tel Aviv, New York, Roma, ecc. Il loro cordoglio ipocrita non li assolverà dalle loro responsabilità concrete nell’aver contribuito a creare il clima nel quale crimini tanto orrendi e dannosi potessero verificarsi.
Tutti coloro e tutte coloro che da decenni chiudono gli occhi sulle atrocità di cui il popolo palestinese è vittima, in tutte le sue componenti, sono i veri responsabili di queste morti atroci, dell’imbarbarimento in cui vorrebbero che i palestinesi sprofondassero per poter giustificare i propri crimini, sempre rimasti impuniti.
Quando Vittorio raccontava all’Italia l’orrore programmato del massacro di «Piombo fuso», dei crimini a «bassa intensità» contro i pescatori e i contadini palestinesi, raccontava anche il concretizzarsi delle responsabilità. Vittorio e Juliano sono vittime di quella logica complessiva di cui sono rimasti vittime molti altri e altre: da Tom Hurndall a Rachel Corrie, passando per Ciriello.
Oggi, apparentemente, Israele trae «solo» un vantaggio indiretto, «passivamente». Ma non è così. Già a metà degli anni ’80, precedentemente alla Prima Intifada, Israele aveva finanziato anche Hamas in funzione anti OLP. Con il fallimento evidente del processo «negoziale» di Oslo e gli eventi successivi, però, questa politica si rivelò un boomerang. Ancora una volta ciò che l’apprendista stregone aveva nutrito gli si era rivoltato contro e Hamas era diventato il nemico giurato «interno» dello Stato di Israele.
È possibile che oggi stiamo assistendo ad una dinamica simile, con l’aggravante dello sgretolamento della società palestinese vilmente pianificato dagli israeliani. Essi sperano che questo sgretolamento possa creare in Palestina un «clima iracheno» che si riverberi negativamente sulla solidarietà internazionale verso i palestinesi. Il movimento internazionale a questo punto è chiamato a una prova importante di maturità, perché è necessario non chiudere gli occhi sugli effetti endogeni di quello che sta accadendo, ormai da molti anni, nella società palestinese. Se ciò non avverrà, i contraccolpi degli omicidi di Juliano e Vittorio saranno pesanti.
Oggi i popoli arabi in rivolta ci aiutano in questa prova. Anche in questo senso il legame è stretto ed evidente. I milioni di persone che dalla Tunisia all’Egitto, come in tanti altri Paesi arabi, sfidando regimi brutali e sanguinari, scendono in campo per riprendersi ciò che gli è stato barbaramente rubato, ci dicono che non siamo soli e non lo sono neanche loro. Sfidare l’assedio di Gaza e sfidare le dittature è un’unica lotta. Certo, dopo l’assassinio di Juliano e Vittorio saremo più soli, tutti e tutte: a «tutte le latitudini e a tutte le longitudini» come diceva Vittorio. Se riusciremo a non perdere il filo di questo legame, al di là delle frontiere, allora la morte atroce di Juliano e di Vittorio e le loro vite generose non saranno state vane.
18/04/2011