Ben-Gurion a proposito di Israele, pace e mal di schiena: un’intervista perduta è riportata alla luce.

Ben-Gurion credeva che la missione dello Stato fosse quella di realizzare il concetto biblico di “am-segulah”, una nazione esemplare di alte virtù, prediletta da Dio. Quando nel 1968 gli venne chiesto se Israele avesse adempiuto la missione, rispose: “Non ancora”.

Copertina: Il primo Primo ministro di Israele, David Ben-Gurion, nella sua casa nel 1972 alla vigilia dell’86esimo compleanno.

By ISABEL KERSHNERAUG. 12, 2016

KIBBUTZ SDE BOKER, Israele. – La rara, intima e riflessiva intervista con il Primo ministro, fondatore di Israele, venne ripresa cinquant’anni fa, ma mai mandata in onda.

 

David Ben-Gurion, a 82 anni, e cinque anni dopo essersi dimesso da Primo ministro, parlò per sei ore durante un’intervista di come costruì lo Stato e dei profeti biblici che furono la sua guida; dell’imperativo bisogno di sicurezza della sua giovane nazione e della ricerca di Israele di una superiorità spirituale e morale; della sua battaglia contro la lombalgia e del suo interesse per il Buddismo.

 

Era l’aprile del 1968 e “il Vecchio”, come Ben Gurion era stato soprannominato per quasi tutta la vita, era stato abbandonato alla maggior parte dei suoi protégés politici. Paula, la moglie burbera e devota, era morta a gennaio, lasciandolo quasi isolato nella casa dove aveva deciso di ritirarsi a Sde Boker, un kibbutz lontano dai centri abitati nel deserto del Negev.

 

“la cosa più importante che ho imparato, l’ho imparata vivendo qui”, disse. “Voglio vivere in un posto che so che abbiamo costruito io e i miei amici. Completamente. Che sia la nostra creazione”.

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Ben-Gurion riflette sui profeti e sul rivolgersi a Dio per trovare forza. “Dio è dappertutto”, dice.

Si sedette due ore ogni giorno, per tre giorni consecutivi, parlando in inglese. Indossava un maglione a collo alto, la sua uniforma casual dei giorni più freschi. Quando l’intervistatore disse di essere pronto a chiudere l’ultima sessione, Ben-Gurion protestò dicendo che avevano ancora dieci minuti a disposizione.

 

Ma le bobine con il girato silenzioso e quelle con il sonoro restarono in archivi separati per decenni. Alcuni estratto della conversazione scoperta di recente formano il nucleo di un nuovo documentario, Ben-Gurion, Epilogo, in cui l’eminente sionista offre un’autoanalisi obiettiva del lavoro di una vita.

 

Alla domanda se avesse paura per il suo paese, rispose: “Ho sempre avuto paura. Sempre. Non solo adesso”. Anche se erano passati vent’anni dalla fondazione di Israele, diceva di temere che “lo Stato non esiste ancora. Siamo solo all’inizio”.

 

Intervallato ad altre riprese dell’epoca – incontri con capi di Stato stranieri, un discorso al parlamento israeliano, feste di compleanno – il film è in parte una malinconica ode a una generazione perduta di leader che consideravano la semplicità una virtù anche se miravano a risultati enormi.

 

“C’è un’assenza di leadership con questi valori e questa visione”, disse lo scrittore, regista e produttore israeliano Yariv Mozer, che il mese scorso ha inaugurato il Jeusalem Film Festival. Il film, e il recente libro di Avi shalom su cui è basato, aggiunse Mozer “riflette l’interesse di alcuni giovani israeliani di volgersi alla nostra storia, al nostro passato per trovare risposte valide oggi e, forse, per il futuro”.

 

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Le tombe di Paula e David Ben-Gurion, che dominano il deserto del Negev.

 

La voce realistica di Ben-Gurion risuona incessante dalla tomba, con il suo mix di pragmatismo e prescrizioni filosofiche che sfiorano il profetico. Descrive il profeta Geremia come uno dei più grandi perché “sento che quel che diceva è vero”.

 

“Capiva la politica meglio dei re”, sosteneva Ben-Gurion, “ma non era popolare”.

 

Mozer e Shilon evidenziano la dichiarazione dell’ex Primo ministro che, in cambio di una vera pace, avrebbe rinunciato ai territori conquistati da Israele durante la guerra arabo-israeliana del 1967, eccezion fatte per le Alture del Golan, Gerusalemme ed Hebron (in Cisgiordania). Non coglieva contraddizioni fra credere che Israele avesse diritto a tutti i territori e concederne alcuni.

 

“Riteneva che la cosa più importante in Medio Oriente fosse vivere in pace con i nostri vicini”, disse Shilon. “Sosteneva che Israele avrebbe potuto vincere molte guerre e gli arabi perderne molte, ma che Israele non sarebbe stato in grado di sopportare una sconfitta; che una sola guerra persa sarebbe stata la fine di Israele”. Shilon aggiunse: “Il problema di Ben-Gurion è che la gente ha smesso di ascoltarlo”.

 

Mozer e Yael Perlov, editor e coproduttore del documentario, scoprirono l’intervista per caso, nello Stieven Spielberg Jewish Film Archive di Gerusalemme. Mentre lavoravano al restauro di un vecchio film su Ben-Gurion (girato da David Perlov, padre di Yael) che aveva avuto poco successo, “inciamparono” nelle bobine mute del girato. Impiegarono sei mesi a trovare il sonoro , che rinvennero nei Ben-Gurion Archives nel Negev.

 

L’intervista era stata girata come materiale di ricerca per il film di Perlov. L’ex Primo ministro aveva scelto l’intervistatore, Clinton Bailey, che era da poco immigrato in Israele dagli Stati Uniti. Bailey era diventato amico dei Ben-Gurion dopo che Paula l’aveva invitato a prendere un tè un giorno in cui lui passeggiava nei dintorni della loro casa di Tel Aviv.

 

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Il primo Primo ministro israeliano parla del suo contributo alla costruzione della nazione; filmati di lui e Einstein.

 

Ben Gurion aiutà Bailey a trovare lavoro come insegnante nella scuola che aveva fondato a Sde Baker e Bailey ogni tanto si univa all’anziano politico nelle sue veloci camminate per il kibbutz.

 

Bailey divenne un ricercatore esperto di cultura beduina e dimenticò l’intervista del 1968. Ricordando quel periodo, Bailey disse che la semplicità della casa dei Ben-Gurion a Sde Boker era “una dichiarazione di intenti” e aggiunse: “ Non penso che a Ben-Gurion interessassero i vantaggi connessi con il potere”.

 

Su richiesta di Ben-Gurion la casa è stata mantenuta com’era ed è aperta al pubblico. Un flusso di famiglie israeliane in vacanza e di turisti stranieri l’ha visitata durante un recente giorno feriale soleggiato.

 

L’uomo che ha contribuito a creare il moderno Stato di Israele insisteva, negli anni del suo tramonto, a chiedere di essere trattato come qualsiasi altro membro del kibbutz di Sde Boker e faceva pranzo nella sala comune.

 

“Nel nostro kibbutz ho detto a tutti che il mio nome è David”, disse nell’intervista con Bailey. “Non Ben-Gurion. Ogni mattina sono venuto a vedere che cosa doveva fare David e andavo a svolgere quel compito. Questo è ciò che hanno detto i nostri profeti, essere di esempio agli altri”.

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Ben-Gurion, a sinistra, firma il documento che proclama il nuovo stato ebreo di Israele, a mezzanotte del 14 maggio 1948 a Tel Aviv.

 

 

(I residenti del kibbutz dell’epoca hanno detto che gli assegnavano i lavori più semplici, come badare agli agnelli e misurare le precipitazioni).

 

Un filmato d’archivio mostra Ben-Gurion salutare l’arrivo a Sde Boker del “radiotelefono”, che definisce una “dubbia benedizione”. In un’altra ripresa, Moshe Feldenkrais, il clinico olistico, ha descritto come ha persuaso Ben-Gurion a praticare una prodezza fisica da circo per entrare maggiormente in accordo con il proprio corpo, testimoniata dalla famosa foto in cui è ritratto a testa in giù,

 

Ben-Gurion morì nel 1973, e fu sepolto in una tomba semplice, vicina a quella di Paula, nel deserto del Negev. Non volle né elogi, né l’onore delle armi. L’iscrizione sulla tomba reca incisi solo nome, date di nascita, morte e data di immigrazione in Israele.

 

Colonizzare il Negev, per lui, era fondamentale per il futuro del giovane Stato. E quel deserto era anche un luogo in cui poteva difendere i propri ideali.

 

“Volevamo creare una nuova vita, non quella che già esiste”, disse dei pionieri sionisti. “Credevo che avessimo diritto a questa terra. Non per toglierla agli altri, ma per ricrearla”.

 

Prese decisioni molto dure in questo percorso, come rifiutare il permesso di ritornare ai rifugiati palestinesi della guerra del 1948, scoppiata a causa della creazione dello Stato di Israele) e sottoporre i cittadini arabi di Israele al regime militare.

 

Ben-Gurion credeva che la missione dello Stato fosse di realizzare il concetto biblico di “am-segulah”, una nazione esemplare di alte virtù, prediletta da Dio. Quando nel 1968 gli venne chiesto se Israele avesse adempiuto la missione, rispose: “Non ancora”.

 

trad. Marina S.

Fonte: http://www.nytimes.com/2016/08/13/world/middleeast/israel-ben-gurion-interview.html?_r=0

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