L’altro Bob Dylan

Il silenzio e il sostegno di Dylan per l’oppressore Israele si fa beffe della sua statura di “arrabbiato umanitario”.

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 Bob Dylan nella East Room della Casa Bianca [EPA]
22 ottobre 2016, Ali Saad

Ali Saad è un sociologo e critico francese dei media, che pone una particolare attenzione all’influenza dei mass media sulla società.

Ora che il battage mediatico per il premio Nobel per la letteratura che circonda Bob Dylan comincia a svanire, l’eco – per il momento – sembra essersi concentrato su di un solo angolo della foto. Mentre i media del mondo – come la maggior parte delle agenzie di stampa mainstream arabe – incorniciavano il cantante come il volto della protesta contro il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, come un’icona del movimento contro la guerra e un alleato di tutti i diseredati della terra, hanno decisamente trascurato il continuo approccio selettivo di Dylan all’umanità e all’etica, come pure la sua buona fede su diritti umani e civili sbiadita nel tempo.

Per il cantante, che ha scritto Masters of War – una canzone che vuole essere una protesta contro il complesso militare-industriale – a volte la scelta è stata quella di schierarsi con coloro che aggrediscono e opprimono. Il suo vigoroso sostegno alle guerre di Israele contro il popolo palestinese ne è un esempio lampante.

L’intento, qui, non è tanto quello di approfondire le visioni ideologiche di Dylan, dal momento che il cantante non persegue più l’attivismo contro la guerra o influenza l’opinione pubblica o la coscienza collettiva. Piuttosto, è voler mettere in discussione il modo con cui i mezzi di comunicazione – sia arabi che internazionali – hanno incorniciato la storia senza considerare la questione della posizione pro-Israele di Dylan, guardandolo invece esclusivamente attraverso il prisma della sua immagine costruita di difensore degli oppressi.

Posizioni pro-Israele

In un editoriale pubblicato dal quotidiano libanese Assafir, Dylan è descritto come un'”icona di controcultura”, citato per il suo contributo di cantante all’industria della musica e alla poesia.

Mentre il quotidiano Al Hayat con sede a Londra ritrae Dylan come “la voce del movimento contro la guerra, vicino agli emarginati e agli oppressi, l’ultimo da considerare come sostenitore della cultura dell’establishment americano”.

Il quotidiano egiziano Al-Ahram, mette invece in discussione “la criminalità del Comitato per il Nobel [nel] selezionare [un] nuovo genere che alcuni non considerano letteratura e che solleva polemiche da parte di molti che amano la letteratura”.

Tra i pochi organi di stampa che hanno affrontato le posizioni ideologiche di Dylan c’è stato il giornale libanese di sinistra al-Akhbar che – in un pezzo pubblicato il 15 ottobre – ha ricordato ai suoi lettori le controverse posizioni pro-Israele di Dylan.

L’articolista ha precisato che – a differenza della narrativa dominante su Dylan – nelle sue canzoni non c’è molto “spirito rivoluzionario”, sottolineando “che Dylan si è allontanato dai movimenti politici nel suo paese per avvicinarsi alle politiche belliciste israeliane, dimostrando affinità con le correnti più estreme e razziste [israeliane]”.

Tornando indietro negli anni ’80, in seguito ai massacri del 1982 nei campi profughi di Sabra e Chatila, dove migliaia di civili palestinesi furono trucidati dalle milizie cristiane libanesi con la connivenza dei militari israeliani, in un momento in cui gran parte di Beirut fu ridotta in macerie dagli attacchi aerei israeliani, Dylan scrisse la canzone Neighbourhood Bully, in cui faceva gli elogi di uno stato di Israele, circondato da nazioni ostili la cui vastità rappresenta una continua minaccia alla sua esistenza.

La canzone, che Stephen Holden ha descritto nel New York Times nel 1983 come “una difesa di Israele senza peli sulla lingua”, inizia affermando due precetti fondamentali che sottolineano la prospettiva israeliana: in primo luogo paragonando Israele a un uomo in esilio i cui nemici ingiustamente “reclamano come loro la sua terra”, frase che suona come un rimprovero per quanti rifiutano la legittimità della pretesa storica di Israele sulla terra di Palestina. Poi, metaforicamente, presentando Israele come un uomo “in inferiorità numerica da un milione a uno”, che teorizza l’abituale rappresentazione di Israele come il più debole nel Medio Oriente.

Impegno per l’umanità e l’etica

Una tale presa di posizione da parte di un attivista contro la guerra solleva seri dubbi sull’impegno di Dylan per l’umanità e l’etica.

La sua canzone, una difesa indignata delle guerre israeliane e una narrazione da eterna vittima circondata da nemici aggressivi, come Dylan narra nel testo della canzone quando ritrae l’uomo che simboleggia Israele con testi come ad esempio: “E’ stato criticato e condannato per essere vivo; Si suppone debba stendersi e morire quando sfonderanno la sua porta”; o “Ha creato un giardino di paradiso sulla sabbia del deserto” scimmiottando in questa lirica la famosa affermazione dell’ex primo ministro israeliano Golda Meir, emigrata in Palestina dall’Ucraina nel 1921: “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”.

Nel 1971, Dylan, le cui posizioni contro la guerra ne avevano fatto il volto della protesta contro la guerra del Vietnam, dichiarò la sua grande ammirazione per il movimento razzista israeliano Kach, il cui leader, il rabbino Meir Kahane, chiedeva l’espulsione forzata dei palestinesi dalla loro patria e il cui partito da allora è stato proibito.

Dylan descrisse Kahane come “un ragazzo davvero sincero, ha davvero messo tutti insieme”.

In quello stesso anno, il giornalista del New York Times, Anthony Scaduto, ricordò il “fervido sostegno a Israele di Dylan e i suoi ultrapubblicizzati contatti con la Jewish Defence League”. Più  recentemente, nel 2011, nonostante le richieste ricevute dal movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni perché annullasse il suo spettacolo in Israele, Dylan non ha tenuto conto di tali chiamate.

Questa breve panoramica mostra quanto sia ingannevole costruire un’immagine di Dylan come icona universale dell’attivismo contro la guerra o di un difensore dei diritti e delle libertà delle persone, quando è davvero vergognosa la sua posizione nei confronti della questione palestinese come sofferenza puramente umana di un popolo ancora sotto un’oppressione militare e l’occupazione. Il suo silenzio e il supporto per l’oppressore israeliano si fa beffe della sua statura di “arrabbiato umanitario”.
Va da sé, dunque, che Dylan, che una volta ha cantato “dove la casa nella valle incontra la sporca e umida prigione, dove il volto del boia è sempre ben nascosto, dove la fame è brutta, dove le anime sono dimenticate”, ha fatto la sua scelta decenni fa: Schierandosi con il boia.

Dunque, questo era l’altro Bob Dylan che mancava nella copertura globale dei media.

Trad.Simonetta Lambertini- Invictapalestina.org

Fonte:http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2016/10/bob-dylan-161020110227212.html

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