Tutti gli Israeliani hanno il diritto e il dovere di far sentire la propria voce – anche dinanzi alle Nazioni Unite 

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direttore B’Tselem Hagai El-Ad affronta il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite,  14 ottobre 2016. foto Chelsea Berlino

L’occupazione non è una questione interna israeliana e i diritti umani sono sempre una questione che riguarda l’intera comunità internazionale. 
Michael Sfard (*), 24 ott 2016 20:18

Molto tempo fa, quando ero uno studente di liceo a Gerusalemme, ho avuto un insegnante di educazione civica che spiegò alla mia classe qualcosa di sorprendente. Lo Stato è un mezzo, disse, e gli esseri umani sono sempre il fine. L’organizzazione sociale è destinata a servire le persone e solo le persone e, di conseguenza, non esiste una cosa come “il bene dello Stato” distinto dal benessere dei suoi cittadini.

Questo è successo moltissimi anni fa, quando il ministro dell’Istruzione era Zevulon Hammer, leader del Partito nazionale religioso, di estrema sinistra secondo gli attuali termini di paragone , ed era ancora possibile esprimere le proprie idee ad alta voce senza mettere l’insegnante sul quella Via del Dolore che , circa tre anni addietro, l’insegnante di educazione civica Adam Verete si trovò a dover percorrere per aver espresso in classe idee di sinistra. 

E questo accadeva anche prima che la nazione che ha ispirato i valori fondanti della cultura occidentale proibisse i suddetti valori all’interno dei suoi confini nazionali e prima che i discepoli di Rabbi Zvi Yehuda Kook ottenessero il monopolio della “coscienza ebraica.”

A causa di questo insegnate e dei miei genitori, che erano d’accordo con lui, mi sono ritrovato danneggiato- un bambino innocente corrotto dalla convinzione che per rispetto dello Stato non si intende il rispetto di un’entità metafisica, organica con valori intrinsechi, ma piuttosto il rispetto dei diritti umani di tutti coloro che sono sotto il suo controllo. 

E dalla convinzione che uno Stato non ha il diritto di esistere se non aspira e se non si sforza di creare le condizioni per promuovere la felicità e lo sviluppo personale di tutti i suoi cittadini e se non fa tutto il possibile per evitare di causare sofferenze agli esseri umani.

La lealtà politica ad un soggetto politico è solo ed esclusivamente la fedeltà verso i valori in nome dei quali questo Stato fu creato, e non la fedeltà alla sua esistenza nel mero nome della sua esistenza. 

Il dibattito sulla legittimità della recente presenza di Hagai El-Ad, direttore esecutivo dell’associazione B’Tselem al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui ha chiesto ai suoi membri di adottare misure che favoriscano la fine all’occupazione, è nato più che altro dall’ isteria politica del governo di Israele – che sente le fiamme della repulsione internazionale verso la sua politica di insediamento sempre più vicine alle sue parti basse. 

Tuttavia, se lasciamo il beneficio del dubbio ad alcune delle critiche di El-Ad e supponiamo che il fulcro della critica sia una divergenza di valori e un disaccordo per principio con l’idea che un Israeliano abbia il diritto di criticare il suo paese e possa richiedere contromisure in un forum internazionale, allora questa posizione si basa su una totale mancanza di comprensione del concetto di contratto sociale.

Per ragioni di completezza di informazione, vorrei aggiungere che nel maggio scorso, anch’io ho presenziato ad un Consiglio di Sicurezza, per conto dell’organizzazione non governativa Yesh Din – Volontari per i diritti umani, di cui io sono consulente legale. 

Anch’io, ho invitato i membri del Consiglio di Sicurezza ad adottare misure che avrebbero spinto Israele a porre fine alla violazione del diritto internazionale e alla sua politica di insediamento.
Da 50 anni a questa parte, lo Stato di Israele opprime pesantemente milioni di persone. Centinaia di migliaia di persone sono nate e vivono tutta la loro vita senza quei diritti che li metterebbero nelle condizioni per influenzare il loro destino e il loro futuro. E centinaia di migliaia di persone sono morte senza nemmeno aver mai assaporato la libertà politica.

Come ha detto El-Ad, nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza “I Palestinesi respirano occupazione ad ogni respiro” A questo, vorrei aggiungere: ad ogni respiro, la concentrazione di ossigeno diminuisce, rubato da insediamenti e da coloni, e per i Palestinesi aumenta l’asfissia.

Tuttavia, il fatto che ci troviamo dinanzi a un’imponente violazione di diritti umani non è sufficiente per accusare lo Stato. A volte, tali violazioni sono un’esigenza dettata dalla realtà, un male necessario.

Nella più giustificata delle guerre di difesa, persone innocenti possono soffrire. Il duro risultato ottenuto dalla sola prospettiva dei diritti umani non è una pistola fumante sufficientemente indicativa della colpevolezza dello Stato. Una questione chiave è fino a che punto uno sia costretto o scelga liberamente queste politiche dolorose. 

E’ difficile trovare un esempio più incriminante della politica dei governi di Israele con l’apice raggiunto dal suo attuale governo retto dal primo ministro Benjamin Netanyahu, per quanto riguarda l’occupazione e gli insediamenti.

Cinquanta anni di colonizzazione che priva i civili occupati della loro proprietà sia privata che collettiva, col perpetuarsi legalizzato della segregazione e discriminazione tra le persone secondo la loro origine nazionale, di rifiuto costante e clamoroso della pace, di radicalizzazione dell’occupazione per generazioni – e tutto questo dall’alto di una posizione di potere e per scelta, in violazione del diritto internazionale. 

Che cosa dovrebbe fare un attivista per i diritti umani che conosce così bene l’occupazione? Un attivista onesto rimanda la risposta al popolo, per convincere l’opinione pubblica israeliana a porre fine a tutto questo. E fino a quando non si riuscirà a fare questo, non potrà sedersi in silenzio e accettare le decisioni della maggioranza. 

Tuttavia, questa risposta è in linea con una visione meramente procedurale della democrazia e ignora l’obbligo che la maggioranza ha di promuovere i valori per i quali esiste lo Stato. Uno stato che ruba – uno stato ladro che impone un regime di apartheid in una minoranza nazionale senza diritti – non può rivendicare la legittimità derivata dalla scelta della maggioranza, né può aspettarsi che gli attivisti per i diritti umani possano accettare la sua decisione.

Inoltre, quando l’attivista si dirige verso l’opinione pubblica israeliana, si ignora il fatto che l’occupazione non è una questione interna israeliana. E anche se lo fosse, i diritti umani sono sempre una questione per l’intera comunità internazionale. Attivisti per i diritti umani provenienti da tutto il mondo, e anche da Israele, dovrebbero dedicarsi alla promozione e tutela dei diritti umani, manifestando in tal modo la loro fedeltà alla cornice politica a cui aderiscono. E, considerando che ovunque lo stato agisce intenzionalmente per infliggere gravi danni ai diritti di coloro che sono sotto il suo controllo, rivolgersi al mondo intero tramite gli strumenti legali disponibili non è solo legittimo, ma anche un obbligo.

La scorsa settimana, avvocati per i diritti umani membri del Centro statunitense per i diritti costituzionali – una nota organizzazione per i diritti umani – hanno presentato una perizia a un tribunale francese per supportare la convocazione dell’ex consigliere legale del Dipartimento della Difesa statunitense, William J. Haynes , in modo tale che egli possa essere interrogato sul suo presunto coinvolgimento nell’ uso di tecniche di tortura a Guantanamo. La creazione nel sistema giuridico statunitense della fattispecie giuridica dell’ immunità per coloro che si sono macchiati di crimini di tortura ha obbligato gli attivisti per i diritti umani a uscire dai confini nazionali. 

Quindi, non aspettatevi che gli attivisti israeliani per i diritti umani celebrino con voi l’anniversario dell’occupazione, in silenzio e con capo chino. L’occupazione non è legittima; la politica del governo israeliano non è legale e non è morale. Ḗ mossa piuttosto da un’avidità ideologica che ignora l’enorme sofferenza che infligge a milioni di esseri umani che sono asfissiati dal suo peso ogni giorno della loro esistenza. Nessuna maggioranza ha il diritto di imporre una pena di oppressione come questa su una minoranza, e in particolare su una minoranza che non partecipa affatto al processo decisionale inerente il suo futuro. E nessun attivista per i diritti umani ha il diritto di rinunciare a qualsiasi strumento non violento, nazionale o internazionale, per combattere un’occupazione così lunga e crudele. Fino a quando essa non si frantumerà in mille pezzi.

(*) Lo scrittore è un avvocato che rappresenta le organizzazioni e gli attivisti per i diritti umani . 



trad. Rossella Tisci – Invictapalestina.org
Fonte: http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.748997?v=C86774A000B90FFFE7025896D32E5E95

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