Quando un mea culpa diviene una perfetta azione per mondare la coscienza di un popolo

4 aprile 2017, Stefania Favorito

Qualche giorno fa, su Channel 10, televisione mainstream israeliana, è stato mandato in onda “Good Night” dove in “Last Monologue” (Ultimo Monologo), Assaf Harel, noto comico israeliano, invocava Israele di fermarsi davanti alla ferocia contro il popolo palestinese e di sentire odore di Aparheid. Il video è diventato virale, innescando 5000 condivisioni in due giorni, tanto da arrivare sui media nazionali. Ora, mi chiedo, perché? Perché una televisione diffonde un programma del genere, perché permette di farlo diventare virale, di far arrivare ovunque questo messaggio duro, accusatore e tutto contro sé stesso?

Ho visto il video, ascoltato il comico e letto la traduzione nei sottotitoli e non ho sentito nessuna empatia con il popolo palestinese nella sua voce, nessun senso di verità e ammissione di colpa. Poi ho guardato alcuni commenti sotto la pagina facebook che postava il video: moltissimi avevano una posizione totalmente opposta, parlavano di “cosa giusta” o di “finalmente si sente qualcuno che parla anche se gli chiuderanno il programma (per quello che sta dicendo)”. Un eroe quindi.

Ho provato a confrontare le posizioni mie e degli altri e cercato di spiegarmi la faccenda che mi appare tutt’altro che semplice da analizzare, perché non ho nozioni accademiche né di psichiatria, né di tecniche di comunicazione subliminale, ma proverò comunque a portare una mia sensazione, anche se sicuramente altri studiosi ne avranno parlato con maggiori e migliori elementi.

Il fatto è che, proprio qualche giorno prima di ascoltare il programma di Harel, si stava in casa a tavola e mio figlio quindicenne ad una frase mia, relativa al fatto che avevo fatto salve le azioni di coloro che commettono cose disgraziate dopo aver subito una violenza, o diventano per sempre delle vittime, mi ha ripreso dicendomi:

“…non e’ forse quello che stanno facendo gli ebrei? ..non sono quelli che hanno subito che diventano i primi carnefici, tu che ce l’hai sempre con loro?”.

Un po’ mi ha spiazzato, soprattutto perché per affrontare un discorso così complesso, si dovrebbe essere ben consapevoli e a conoscenza dell’immensa geopolitica attuale, che ben poco ha a che vedere con persone dentro la spirale del “servo e padrone”, cioè di colui che ha subito e ne ripercorre i passi. Oggi come oggi vige il tema di Israele, avamposto dell’Occidente e da lì non ci si muove. Non era quello il momento e mi ripromisi di riprendere l’argomento con lui più in là, ma la cosa mi colpì profondamente, perché quello che avevo pensato molte volte, lui l’aveva detto a voce alta, con la totale naturalezza dei suoi anni.

Credo che nessuna cosa possa far dimenticare a noi, genere umano, i soprusi subiti. Ogni persona porta con sé un bagaglio di dolore, qualche volta fatto di micropillole di traumi, altre volte talmente pesante da risultare quasi impossibile conviverci. Quello che successe al popolo ebraico non ha precedenti nella storia moderna occidentale, è come se un enorme mostro per la prima volta fosse fuoriuscito da un percorso che fino a quel momento aveva avuto alti e bassi, ma in armonia di coscienza. Certo, si erano massacrati interi popoli durate le colonizzazioni, sfruttato fino all’annientamento interi territori, ma il mondo girava intorno a sé stesso nella giustificazione che l’uomo si è sempre dato in simili circostanze: la necessità, il bisogno.

C’era poi da considerare il fattore “altro da sé”, si operava cioè altrove, in luoghi lontani, probabilmente neanche arrivavano notizie dei massacri, ma solo carichi felici di merci e virili conquistatori. Poi un giorno la storia prese un altro passo e per me è come se milioni di vite ne fossero diventata una, quella di un unico essere umano che un giorno, un brutto giorno della sua vita, incontra un carnefice. La letteratura è piena di narrazioni e studi intorno alle vittime di trauma. Pesco qua e là, sconfinando nella psicanalisi “…il trauma dell’abuso innesca una serie di meccanismi di difesa estremi della mente che portano purtroppo, seppure con lo scopo di proteggere la persona da un crollo, alla formazione di sistemi difettosi e patologie che probabilmente non sarebbero comparsi altrimenti”.

Cosa è successo in quegli anni lo sappiamo, ricordi di chi ancora c’è, treni della memoria o film, ma secondo me non lo capiamo, non riusciremo mai a capire. E soprattutto chi è arrivato a fermare quella immensa ferocia, America e Russia, ne ha al tempo stesso preso le distanze: qualche anno per i tribunali e sentenze, fine. Quell’essere, fatto di milioni e milioni di persone che hanno attraversato un fiume di sangue, ebrei e non ebrei, giovani o vecchi, è rimasto intrappolato dentro l’incubo, mentre il tempo scorreva ed arrivava fino ad oggi.

Rubo ancora, sconfinando nella psicanalisi: “…tra le patologie che possibilmente si sviluppano …, proprio in conseguenza all’incapacità di regolarsi e al costante bisogno di “tenere il controllo” che si percepisce in pericolo costante.”

Sono sempre stata convinta che qualcosa non avesse funzionato nella strategia di assegnare frettolosamente uno Stato e chiamarlo Israele a ricompensa degli atroci danni subiti. Molto spesso ho commentato le barbarie fatte con una spietatezza inaudita con un “gli ci vuole una terapia di massa,” e non scherzavo. Ora, non è certo facile avere questo atroce ricordo dentro e vivere normali. Da sempre ho preso come piccoli segnali di instabilità l’indicazione a trattare come esseri da disprezzare e distruggere il popolo che a quel punto diventava il loro antagonista.

Anche qui troppi articoli si potrebbero citare per ricordare che fin da bambini i testi scolastici stravolgono la storia e che nelle case israeliane presto si individua come il primo nemico chi ti vuole togliere la “tua” terra,  il popolo palestinese.

Le atrocità sono quotidiane e tanto più la reazione dei palestinesi è catartica, rasentando la ritualità simbolica del termine antico, tanto più per Israele si accresce la forma d’ansia e di orrore, di ritorno al vuoto mostruoso iniziale. E nel gioco al godimento e di sfinimento che ormai si è innescato da anni, laddove addirittura si tende a sfidare i propri padri, tagliando la mano a chi ha dato loro la terra, non può non esserci anche un tentativo di umanizzazione, nella commedia delle parti.

Questo è stato messo suggestivamente nelle mani di un comico, nell’episodio di “Good Nights“ che guarda caso è stato l’ultimo, come se a quel punto il comico, ma a quel punto la faccia umana di Israele, fosse sciolta da ogni paura e parlasse senza inibizioni. Perfetti i tempi, perfetta l’ armonia, bravo l’attore.

Ma il velo non troppo pesante può comunque mostrare le ferite aperte e putrescenti perché mai curate e mostrarci quello che realmente è andato in onda. Perché Israele è oggi, e Israele sa ogni cosa, è il piu’ potente popolo capace di manipolare le persone ed assorbire qualsiasi ondata di sdegno dal mondo intero, ha il più potente esercito e armamento della terra, le più importanti Università, ha la più potente rete di controspionaggio, il Mossad di allora, adesso chissà cos’altro. Controlla tutto, ma proprio tutto insomma. E’ imputato di crimini contro l’umanità, nel tempo ha sterminato centinaia di intellettuali nel mondo che tentavano di mettere un freno alla sua follia.

Ora non so quanto sia possibile che un comico parli in questo modo, semplice, mediaticamente diretto a tutti, candido, senza che dietro ci sia un perfetto disegno, una perfetta strategia di comunicazione subliminale. Il disegno è l’identificazione con l’Onnipotente, perché con loro Iddio parla direttamente, non ha bisogno, come per le altre religioni monoteiste, di un Profeta e come Lui, il popolo eletto, può avere la capacità di far emergere il Male, perchè il Bene lo comprende.

Si vede che si è in un momento cruciale di pressione lì in Israele se c’è bisogno di un’assoluzione interna, di una autopurificazione. Tutto è scritto nelle Sacre Scritture e non c’è modo di fare i conti con coloro che crescono imbevuti della storia di essere appunto il popolo eletto. Strano e sinistro come suoni tutto questo, quando sessant’anni fa altri parlavano di Razza Superiore e facevano scempio e carneficina di migliaia di umani, e francamente soffro a pensare che tutto questo è anche causa di una superficialità e incoscienza di quei tempi post bellici, perché da qualunque via arrivino e qualsiasi ne sia il motivo, noi, gli umani, non dobbiamo accettare i soprusi e le vittime sono vittime.

Ma ormai sembra tutto troppo tardi, il mostro che è in loro è senza freni e fa danni che vanno sanati: è proprio quindi un’ordalia di edonismo la storia di questo comico, non un mea culpa. Chi si oppone veramente (e sono tanti fra gli ebrei) è da schiacciare, sotterrare, peggio dei palestinesi.

Diffido delle cose che arrivano sui media attuali, in generale, perché non hanno più una faccia davanti che ne identifichi la veridicità e questa mi è da subito sembrata un’operazione di comunicazione virtuale 4.0, costruita alla perfezione e lo penserei anche se fosse ucciso domani, per costruire alla perfezione il personaggio. Ho sempre pensato che il loro fosse un intero popolo che avrebbe avuto bisogno di tante, tante cure dopo quello che ha subito, e che nessuno abbia pensato veramente in questi termini, alle loro anime, ai loro strazianti ricordi d’infanzia, ma che gli abbiano sbattuto come ai cani un osso in medio oriente e che loro quell’osso se lo siano addentato con la voracità dei malati e affamati, e con tutto l’odio del mondo lo stiano proteggendo.

Ma mi dispiace per loro, io non posso tollerare oggi, un’altra Varsavia.

 

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Commento di Carla Ortona –  Rete ECO (Ebrei Contro l’Occupazione)

Rispondo a questo lungo “commento” di Stefania Favorito che, in realtà, apre molti discorsi e mi sembra una simpatica provocazione. Mi è stato mandato in quanto membro di ECO – Ebrei contro l’occupazione e psicologa. Risponderò quindi toccando diversi punti.

1662473_812201382129592_1049426844_nAll’inizio Stefania analizza gli altri commenti e le sue reazioni al video. Ammetto di aver letto pochi commenti, ma non mi sono stupita della loro superficialità; anch’io spesso non rifletto molto prima di scrivere. Apprezzo invece che Stefania abbia notato la mancanza di empatia verso i palestinesi; la maggior parte degli israeliani, e anche molti europei che simpatizzano con gli israeliani in quanto “occidentali”, non considerano davvero i palestinesi persone, ma si preoccupano, quando va bene, del fatto che l’occupazione sta imbarbarendo anche la vita quotidiana dell’israeliano non militare: l’apartheid è un problema perchè non “possiamo più definirci l’unica democrazia del medio oriente”, aumenta la violenza interna, ecc… Certo, i sionisti preoccupati per il proprio stato che peggiora sono meglio dei fascisti, ma non significa che sono pronti a riconoscere il diritto dei palestinesi a decidere del loro futuro.

E poi Stefania si chiede perchè attacca Israele mentre è sempre pronta a cercare le ragioni anche dei “cattivi” e comincia un discorso che parte dalla Shoa e può andare avanti all’infinito. Cosa distingue il genocidio degli ebrei e degli zingari (gli omosessuali e i malati psichiatrici non sono un popolo) dagli altri genocidi e massacri nella storia del mondo? Non sono una storica e quindi posso sbagliarmi, ma credo che sia stato il primo genocidio teorizzato e programmato in modo “scientifico”, al centro del mondo “civile” occidentale. Credo che queste caratteristiche siano quelle che più ci fanno orrore e nello stesso tempo paura: è successo e può succedere di nuovo. “I sommersi e i salvati” di Primo Levi è il primo libro credo che esplicita questo e spiega a tutti noi piccoli umani cos’era e cos’è la “zona grigia”. Chi di noi può onestamente affermare di non appartenervi?

Come psicologa, invece, potrei spiegare con molte teorie una realtà quotidiana che è sotto gli occhi di tutti: a livello individuale, ma anche sociale e storico, dal bene si sviluppa il bene e dal male il male.

Il sionismo nasce alla fine dell’800 e si sviluppa nella prima metà del ‘900, da un lato come ricerca degli ebrei di un rifugio e di una patria nell’epoca delle guerre d’indipendenza in Europa e della fine del colonialismo. Ma, nello stesso tempo, la teoria “una terra senza popolo per un popolo senza terra” è sempre stata falsa, ma era funzionale all’esigenza delle potenze europee di creare una testa di ponte occidentale in medio oriente l’impero turco. Fin dall’inizio, infatti, gli inglesi hanno appoggiato i coloni ebrei che, nel periodo fra le due guerre mondiali, erano numerosi e già aggressivi in Palestina. Durante la 2° guerra mondiale i paesi europei non sono stati, tranne alcune eccezioni, molto accoglienti nei confronti degli ebrei e, dopo la guerra, la Palestina era un ottimo rifugio per i profughi: non disturbavano da altre parti. Inoltre aiutarli a costruire lo stato di Israele “lavava” le coscienze degli stati vincitori ed era funzionale all’obiettivo di mantenere gli stati arabi, che indubbiamente non erano né forti né coinvolti, in posizione di debolezza.

Con la guerra del ’56 fu chiaro a tutto il mondo che Israele era la vera potenza militare della zona, peraltro da sempre aiutata dagli Stati Uniti e dagli ebrei della diaspora. Ma il supporto economico e militare degli Stati Uniti è molto aumentato dopo il ’67. Evidentemente l’occupazione è funzionale alla politica americana, come il ruolo di Israele come cane da guardia, possessore di conoscenze notevoli, che tutti i paesi della NATO, compresa l’Italia, utilizzano. Non sono in grado di entrare maggiormente nel merito, ma esiste documentazione in merito.

Vorrei ritornare ora alla realtà di Israele: un popolo di 6 milioni di abitanti, in un territorio grande come il Piemonte, compreso i territori occupati con la popolazione palestinese di circa 3 milioni, cerca di vivere una vita “normale”, come se i palestinesi non esistessero a pochi chilometri o metri di distanza. Questo vuol dire non considerarli persone, ma esseri inferiori, essere razzisti e, consapevolmente o meno, desiderare che spariscano, che se ne vadano o muoiano. I governanti di Israele non possono teorizzare il loro genocidio perchè non sono nazisti, ma possono metterlo in pratica. E intanto in Israele il servizio militare è di 3 anni per gli uomini e di 2 per le donne, e ragazzi di 18-20 anni vanno nei territori occupati ai posti di blocco a trattare i palestinesi come nemici e esseri inferiori. Poi tornano a casa e come possono rimanere civili?

Le diverse osservazioni mi sono piaciute molto, ma leggendo gli ultimi capoversi mi sono spaventata. Come spesso succede, e con gli ebrei più che con gli altri popoli, ha cominciato a generalizzare e a considerarli onnipotenti, capaci di costruire un’immagine, un gioco per sembrare migliori di quel che sono, per continuare a “spolpare l’osso”.

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Oggi sono passati 70 anni dalla guerra per lo stato o dalla nakba, secondo i punti di vista. Israele è uno stato i cui governanti perseguono una politica razzista e di apartheid che è anche molto pericolosa per loro stessi, mentre la popolazione, a quel che pare, cerca di negare la realtà di un paese in guerra perenne contro un popolo sempre più stremato, e sono pochi i coraggiosi che continuano a manifestare contro questa politica. Però nessuno è onnipotente e per fortuna ogni tanto qualche velo si squarcia, per quel poco che serve.

Credo di avere dato molti stimoli a un’eventuale discussione.

3 risposte a “Quando un mea culpa diviene una perfetta azione per mondare la coscienza di un popolo”

  1. Ti ringrazio Stefania. Mi hai stimolato un ragionamento. Ma io esordirei con il dire che non ci vedo nessuna mancanza di empatia nel discorso fatto da…. a proposito come si chiama? Ho letto la traduzione e lo presa per buona, non conoscendo neanche un po’ l’ebraico. L’ho interfacciata con la mimica dell’uomo. Mi si dirà però che è un attore e quindi sa ben fingere. Ammettiamolo. Ma io mi ci riconosco molto in quelle parole. Sarà perché a certe conclusioni ci arrivo per amor di giustizia e non per amore del popolo palestinese? Lo ammetto: io non sono filo-israeliano e non sono filo-palestinese! Vedo una palese ingiustizia che prescinde dalla storia dei due popoli. Prescinde dalla Shoah e, diversamente, non mi attira fare analisi psicologiche sulla vittima che si fa carnefice perché preferisco attestarmi sui dati politici. E prescinde dal dato che almeno fino al 1956 i palestinesi e i regimi arabi erano tutti reazionari e parte di essi trescarono con i nazisti. Perché se a dei residenti vai a scippare le loro terre, magari perché te le vende uno sceicco, hai compiuto una ingiustizia che non è meno ingiustizia neanche alla luce del fatto che il Gran Muftì di Gerusalemme Al Huseyni aveva un un ufficio reclutamento a Berlino per formare le SS Musulmane, cosa che poi avvenne. Per inciso, si arruolarono musulmani provenienti da ovunque, compresa Bosnia Ercegovina e Tatari, meno che arabi di Palestina che si arruolarono nella “legione araba” sotto le insegne inglesi. Londra era infatti antiisraeliana e filo-araba! Io credo che possiamo venire da percorsi diversi e visioni diverse. Tipo una filo-palestinese ed un’altra non/filo-palestinese, ed incontrarci per andare nella direzione della giustizia e non in quella della prevalenza dei palestinesi sugli israeliani. Perché è questo che vogliamo tutti no?

  2. Stefania, io mi sento filo-israeliano. Ho solo ragioni idealistiche e culturali per esserlo. Gradirei tanto che al contributo di Antonello tu stessa mi facessi capire quale sia stato il ruolo e la politica del mondo Arabo, della gente e delle culture arabiche intorno a questa tragica disputa. Quanto la Palestina è stata aiutata a contrapporre un progetto di vita e di affermazione sociale ed economica in faccia all’imposizione di questa presenza nel territorio.

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