La “second life”  di Ghassan Kanafani

Nel giro di un decennio, i terroristi israeliani riuscirono ad uccidere tutti e tre – Kanafani nel mese di luglio del 1972, Nasser nel 1973 e Abu Sharar nel 1981.

di As’ad AbuKhalil, 12 luglio 2017

 

 

FOTO – Ghassan Kanafani nel suo ufficio a Beirut

All’inizio degli anni ’70, tre intellettuali palestinesi – Ghassan Kanafani, Majed Abu Sharar e Kamal Nasser – collaborarono a formare l’ufficio di informazione dell’Organizzazione di liberazione della Palestina.

Nel giro di un decennio, i terroristi israeliani riuscirono ad uccidere tutti e tre – Kanafani nel 1972, Nasser nel 1973 e Abu Sharar nel 1981.

Il movimento sionista non si è mai preoccupato di distinguere tra civili e obiettivi militari nelle sue campagne di uccisioni: infatti in molte occasioni il governo israeliano (o anche il movimento sionista prima dell’istituzione dello stato di occupazione) ha preso di mira civili per portare terrore fra la popolazione. Si può presupporre che Israele abbia voluto uccidere Kanafani per mettere a tacere la sua voce. Ma il piano non ha funzionato come previsto.

A quarantacinque anni questo mese dal suo assassinio la figura di Kanafani è onnipresente.

Sui social media arabi, anche tra le giovani generazioni che non sono abituate a leggere libri, lo si nota ovunque. La sua immagine è presa come immagine del profilo da tantissimi arabi e citazioni dai suoi articoli riempiono lo spazio dei social media. Suoi disegni, manifesti e dipinti sono piuttosto diffusi in questi giorni. Vengono innalzati come simboli della rivoluzione, Palestina e altro.

La pubblicazione delle sue lettere d’amore alla scrittrice siriana Ghada Samman (che opportunamente non pubblicò mai una delle proprie a Kanafani) nel 1992 ha fornito una nuova immagine di Kanafani. Le lettere d’amore sono ampiamente citate dalle donne arabe sui social media e i suoi aneliti romantici per Samman sono ora materiale per leggende d’amore, messe sullo stesso piano di Romeo e Giulietta – o Qays e Layla fra gli arabi.

Non ho mai conosciuto Ghassan Kanafani: è stato assassinato quando avevo solo 12 anni. Eppure ho sentito di lui fin dalla tenera età; non mi ricordo di quando ancora non conoscevo il suo nome. Mio zio, Naji AbuKhalil, lavorava con Kanafani a Huriyyah, portavoce del Movimento Nazionalista Arabo. La rivista era il quartier generale di intellettuali d’avanguardia che parlavano di arti, letteratura e politica.  Erano le persone che avevano introdotto lettori arabi agli scrittori di sinistra francesi e che parlavano della causa palestinese con un linguaggio specificatamente marxista – un linguaggio che si distanziava nettamente dal linguaggio stantio e arcaico degli ortodossi arabi marxisti che non si erano mai ripresi dalla loro sottomessa approvazione del sostegno sovietico al piano di Partizione per la Palestina delle Nazioni Unite del 1947.

Preoccupato per la liberazione della Palestina

Ricordo l’affetto con cui mio zio parlava di Kanafani e quanto la sua storia d’amore a senso unico con Samman preoccupasse i suoi amici. Kanafani era molto popolare tra uomini e donne, eppure si era fissato su Samman. I suoi amici lo esortavano inutilmente a mettere fine alla sua fissazione: Samman occupava il cuore di Kanafani, ma non la sua mente piena delle preoccupazioni per il progetto più grande della liberazione della Palestina. Kanafani era anche considerato vulnerabile: soffriva di diabete e doveva farsi iniezioni di insulina ogni giorno. A volte sveniva e doveva essere alimentato con dolci.

Kanafani era conosciuto tra la società dei caffè del Libano e aveva senso dell’umorismo. Lui e mio zio una volta cospirarono per farsi beffe del nuovo “movimento del verso libero”, sostenuto da un partito libanese di destra associato alla rivista Shi’r (poesia). Un giorno, Kanafani e mio zio (tra gli altri, se mi ricordo bene) si sedettero insieme, rappezzarono varie frasi sconnesse e le inviarono ad una pubblicazione. E’ sicuro che la poesia fu pubblicata con grandi lodi per il nuovo talento (con il nome fittizio dato dai cospiratori).

Ma Kanafani era noto a noi e ad altri anche come prolifico editorialista e giornalista libanese. Era essenziale nella vita delle pubblicazioni più importanti del tempo. Curò il supplemento Filastin (Palestina) per il popolare quotidiano al-Muharrir (al-Muharrir era un giornale nazionalista arabo in controcorrente rispetto a An-Nahar, di destra, che esprimeva il punto di vista delle politiche degli Stati Uniti e del Golfo). Al-Muharrir era essenziale per disingannare molti giovani libanesi riguardo vari miti nazionalisti libanesi e inculcarci anche forti convinzioni circa la Palestina.

Kanafani scrisse anche sulla rivista al-Hawadeth e per il quotidiano Al Anwar. Ad Al Anwar, Kanafani avviò il supplemento settimanale culturale. Scrisse anche per al-Hawadeth con il nome Rabie Matar e usò il nome Faris Faris su Al Anwar. Ma il suo ruolo tradizionale e di grande successo nei media libanesi si concluse dopo il 1967.

Sulla scia della sconfitta nella guerra del 1967, i vari rami del Movimento Nazionalista Arabo dovevano trasformarsi in organizzazioni marxiste-leniniste specifiche per paese. Il ramo palestinese sarebbe emerso alla fine del 1967 come Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). All’insaputa di molti, l’idea della rivista che venne a personificare non fu una sua idea personale. Non è ancora noto che l’uomo che lanciò la rivista Al-Hadaf, portavoce fino ad oggi del FPLP, altri non era che Wadie Haddad.

Haddad aveva un grande senso dei media e sapeva che l’informazione era parte della lotta palestinese. Era anche preoccupato del fatto che la maggior parte degli intellettuali di sinistra del Movimento Nazionalista Arabo gravitavano intorno a Nayef Hawatmeh, acerrimo rivale di George Habash, il più stretto compagno e amico di Haddad. Haddad stanziò il denaro e assegnò a Kanafani il lancio del progetto, avvenuto nel 1969.

L’impronta di Kanafani

Al-Hadaf non è stata come una qualsiasi altra rivista che sia venuta prima o dopo. Avrebbe lasciato la sua impronta sui media rivoluzionari in tutto il mondo. Negli uffici di Al-Hadaf sulla Corniche al-Mazraa a Beirut, Kanafani ha disegnato e creato alcuni dei più spettacolari manifesti della rivoluzione palestinese.

Ha reso le idee arabe marxiste rivoluzionarie fresche e alla moda, a differenza dei media noiosi del Partito comunista libanese. Combinò l’arte con la letteratura e le informazioni, tutto con lo scopo della liberazione della Palestina. La rivista era interessata anche alla trasparenza: pubblicò tutti i contributi finanziari ricevuti da tutto il mondo. A volte erano trasferimenti di denaro da studenti arabi nei paesi occidentali (prima che fossero vietati come atto terroristico), fino a donazioni dai poveri residenti dei campi profughi palestinesi.

La rivista, e Kanafani personalmente, furono i primi a portare l’attenzione sul valore di poeti arabi (in particolare Mahmoud Darwish, Samih al-Qasim e Tawfiq Zayyad) a un pubblico arabo più grande. Ruppe con uno sciocco tabù che guardava con sospetto quegli arabi che erano rimasti a vivere sotto il dominio dello stato di occupazione israeliano.

Al-Hadaf era la bandiera del PFLP e persone venivano da tutto il mondo per incontrare con Kanafani e anche per aderire all’organizzazione. La politica delle ‘porte aperte’ di Kanafani fu una debolezza e molti agenti dei servizi segreti nemici poterono studiarlo da vicino e seguirlo. Nelle settimane precedenti il suo assassinio i lavoratori di Al-Hadaf notarono più donne occidentali del solito visitare Al-Hadaf, atteggiandosi a giornaliste.

Kanafani non si stancava mai di spiegare la causa palestinese a quanti chiedevano. Il suo inglese non era fluente, ma riusciva a esprimersi in modo chiaro e forte (in questa intervista, per esempio, Kanafani è tagliente e non concede un punto ad un giornalista che parla da una prospettiva da mainstream occidentale).

Alcuni dogmatici della linea dura si prendevano gioco di Kanafani perché passava il tempo con i giornalisti occidentali e lui rispondeva sempre spiegando che non aveva lo stomaco di mettersi su un piano di superiorità rispetto a persone che non capivano il suo lavoro per la causa palestinese. Spiegava come avesse lasciato un lavoro sicuro ad Al Anwar, che gli pagava 2.000 sterline libanesi per impegnarsi in un lavoro con il PFLP che gli pagava 700 sterline (Kanafani aggiunge che Al Anwar gli pagava anche un bonus col  salario mensile per vari benefit).

Sia Habash che Haddad ammiravano molto Kanafani. Haddad lo interrogava sulla situazione internazionale prima di pianificare o eseguire un’operazione. Kanafani condivideva con entrambi gli ultimi dibattiti in Occidente sulla causa palestinese. Habash lo considerava il suo più vicino amico e avrebbe detto alla sua morte: ho perso metà di me. Alcuni dicono che Habash non è più stato lo stesso dopo l’assassinio di Kanafani. Quando il FPLP tenne il suo Terzo Congresso Nazionale nel 1972, Habash assegnò a Kanafani il compito di scrivere il rapporto politico conosciuto come “Compiti della nuova fase.”

Calcolo di Israele

Era chiaro che gli israeliani conoscevano il talento di uno come Kanafani e i suoi servizi resi alla causa palestinese, anche se non aveva mai giocato alcun ruolo militare nel movimento. Israele avrebbe preferito avere intorno gente come Mahmoud Abbas, Muhammad Dahlan, Yasser Abed Rabbo e Jibril Rajoub. Quelle persone continuano a danneggiare la rivoluzione palestinese mentre Kanafani ha servito la causa ogni singolo giorno della sua vita.

Rapporti d’archivio americani declassificati mostrano un vivo interesse nel caso di Ghassan Kanafani. Gli americani e gli israeliani erano preoccupati dal ruolo di Kanafani nei media e alcuni documenti statunitensi farebbero riferimenti specifici alle conferenze stampa che teneva. Settimane prima del suo assassinio Kanafani fu aggredito da teppisti nella West Beirut. An-Nahar pubblicò la vicenda e derise la denuncia di Kanafani. Quando Wadie Haddad ne sentì parlare rimase turbato. I suoi colleghi avrebbero detto: ma se fosse stato il Mossad, lo avrebbero ucciso immediatamente. Haddad all’epoca disse: non necessariamente. Non necessariamente. La convinzione di Haddad era giusta.

Non è chiaro che cosa l’incidente avesse a che fare con l’assassinio che avvenne settimane più tardi. Kanafani non prese mai precauzioni per la propria sicurezza. Era abitudinario e si sapeva dove andava: a Al-Hadaf e nei vari caffè frequentati all’epoca dai giornalisti. Trascorreva le domeniche con la famiglia. I suoi nemici non hanno avuto difficoltà nel rintracciarlo, tanto più che viveva (stranamente) a East Beirut, roccaforte di libanesi di destra, partiti anti-palestinesi.

Israele non ha mai dovuto giustificare la sua uccisione di un artista, poeta, calligrafo e giornalista. Israele (e prima di esso il movimento sionista) non si è mai proccupato di spiegare il motivo per cui uccide, prende di mira civili arabi. La gente in Occidente disse dell’omicidio israeliano: ma Kanafani al momento della sua morte era un membro del politburo del PFLP. La verità – raramente rivelata – è che Kanafani è diventato membro postumo del politburo. Kanafani in vita sua non ha mai avuto la pazienza che occorre per fare la vita di un membro di un’organizzazione che si consuma in lunghi e noiosi incontri.

Non è un’esagerazione affermare che l’eredità di Kanafani sta godendo di una rinascita nell’essere scoperto da una nuova generazione di arabi. Diversi siti web sono dedicati a lui e i suoi libri pubblicati in varie edizioni (e ‘piratati’ in varie edizioni). Chi avrebbe creduto che un uomo che aveva solo 36 anni quando morì avrebbe avuto un’influenza tanto duratura? Valga come l’ennesimo errore di calcolo sionista.

 

 

Traduzione Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

fonte: https://electronicintifada.net/content/second-life-ghassan-kanafani/21051

 

 

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