E’ a Nabi Saleh che ho abbandonato il sionismo

Mostrano al mondo intero cosa significa l’occupazione, in termini concreti, per persone in carne e ossa. Mi hanno insegnato, e questo è un semplice esempio, che cosa significa la resistenza a base popolare.

di Lisa Goldman, 27 dicembre 2017

 

All’epoca in cui iniziai ad andare a Nabi Saleh, avevo trascorso circa quattro anni a parlare di ciò che vedevo in Cisgiordania e a Gaza, assistendo con un certo distacco al modo in cui le mie idee politiche pendevano sempre più a sinistra. Ciò che ho visto in questo piccolo villaggio in Cisgiordania è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Nabi Saleh, Cisgiordania, 21 aprile 2017. Manifestanti palestinesi si scontrano con truppe israeliane durante una manifestazione di solidarietà con i prigionieri palestinesi in sciopero della fame. (Foto: Flash90)

Un breve video che mostra la sedicenne Ahed Tamimi che schiaffeggia un soldato israeliano ha dominato la scorsa settimana i media israeliani e ha anche goduto di una massiccia copertura mediatica in tutto il mondo. Ahed, una giovane ragazza palestinese di Nabi Saleh, un villaggio della Cisgiordania, fa una grande impressione con la sua folta capigliatura bionda che attira gli sguardi, l’espressione orgogliosa e intelligente dei suoi occhi blu – e la sua temerarietà.

Uno degli aspetti più sorprendenti dell’enorme discussione suscitata dal video è il contrasto quasi binario tra ciò che vedono gli israeliani e i loro sostenitori e ciò che vedono tutti gli altri.

Per gli israeliani uno dei soldati è stato provocato, e in modo quasi insopportabile, ma è comunque riuscito a controllare la situazione. Per tutti gli altri o quasi, il video mostra un’adolescente disarmata – che potrebbe facilmente, dato il suo aspetto, essere un’adolescente israeliana che fa compere in un centro commerciale – affrontare coraggiosamente un soldato armato sbarcato nel suo villaggio. Anche senza conoscere le circostanze, un uomo adulto in tenuta da combattimento e con un’arma potente che si astiene dal colpire un’adolescente senza armi e molto più piccola di lui, non sembra così degno di lode, sembra piuttosto presentare una risposta dettata da un fondo elementare di umanità ed etica.

La maggior parte dei media israeliani ha favorito il discorso dell’esercito sull’incidente – la storia di un soldato equilibrato e maturo che si è sottratto ammirevolmente a una situazione difficile e stressante che coinvolge attori nemici.

Nell’estratto del video qui sotto, Yaron London che presenta in prima serata su Channel 10 il programma d’informazione che porta il suo nome, riflette il punto di vista dell’esercito. Gli ospiti di London sono Or Heller, corrispondente del canale per gli affari militari, e Jonathan (Yonatan) Pollak, un veterano dell’attivismo contro l’occupazione:

La conversazione tra i tre uomini è gratificante perché offre uno sguardo reale della mentalità della società tradizionale israeliana. Sentiamo prima Or Heller, un corrispondente esperto in affari militari, ripetere il discorso dell’esercito. Esprime il suo orgoglio per i soldati, sostiene che la famiglia Tamimi ha provocato questo scontro come mezzo per creare un video di propaganda anti-israeliana, e afferma inoltre che i soldati erano nelle vicinanze solo per impedire ai residenti palestinesi di lanciare pietre.

Yaron London, un uomo intelligente e colto che, ne sono sicura, si considera un liberale, si astiene dal mettere in discussione il discorso di Heller. I due uomini sono completamente concentrati sulla sfida che questi adolescenti disarmati dovrebbero rappresentare per i “loro” soldati, piuttosto che sulla violenza di fatto che, settimana dopo settimana, rappresentano le incursioni di questi soldati nel villaggio.

Jonathan Pollak era a Nabi Saleh quando è avvenuto l’incidente. Guardate come presenta il contesto pacatamente, con calma, e notate anche come Heller e London sono scioccati quando Pollak allude al “vostro” esercito – piuttosto che al “nostro” esercito. (Pollak ha rifiutato di servire, cosa considerata un atto radicale in Israele).

FOTO – 11 dicembre 2011. Un militare israeliano mette in guardia i fotografi durante gli scontri che sono seguiti al funerale di Mustafa Tamimi a Nabi Saleh, in Cisgiordania. (Foto: Oren Ziv / Activestills.org)

Questo estratto di video riflette il tallone d’Achille dei media israeliani – in altre parole, la volontà di presentare comunicati diffusi dalle forze armate come notizie dal vivo, senza alcuna verifica dei fatti. Anche se l’establishment di sicurezza israeliano è stato sorpreso a mentire in innumerevoli occasioni, i giornalisti che lavorano per i media tradizionali continuano ad accettare, senza mettere in questione, le informazioni che trasmettono su eventi ai quali nessuno di loro ha assistito e che non sono stati sottoposti ad alcun controllo indipendente.

Nei molti mesi in cui ho assistito alle proteste del venerdì a Nabi Saleh, non ho mai visto un solo giornalista dei media israeliani. Eppure, quando tornavo a casa da queste lunghe e faticose giornate, il presentatore di Israel Radio riferiva che c’erano state “lotte” in un villaggio della Cisgiordania e che “le nostre forze” avevano risposto con misure di controllo della folla.

La famiglia Tamimi manifesta ogni venerdì da un decennio, per protestare contro la confisca della fonte di acqua potabile di Nabi Saleh da parte dei coloni vicini. Come Bassem Tamimi mi ha spiegato una volta, in un ebraico molto corretto, gli abitanti del villaggio non hanno detto nulla quando l’esercito ha costruito la colonia Halamish (che in origine era chiamata Neve Tzuf) sui loro terreni. Ma quando i coloni hanno confiscato la loro fonte e l’esercito ne ha poi impedito l’accesso ai Tamimi, Bassem e la sua numerosa famiglia hanno deciso di tracciare una linea rossa.

 

 

Ogni settimana, si riuniscono in cima alla collina all’interno del loro villaggio, portando bandiere e striscioni, e camminano verso la strada che li separa dalla fonte. L’obiettivo è semplicemente attraversare la strada e avvicinarsi alla fonte. E ogni settimana, l’esercito schiera le sue forze di sicurezza all’interno e intorno al villaggio per impedire ai manifestanti di raggiungere la loro destinazione.

Funziona così: verso mezzogiorno i veicoli dell’esercito entrano nel villaggio e parcheggiano in fondo al bivio. Le forze di sicurezza, armate pesantemente e in uniforme da combattimento, scendono dai veicoli, caricano le loro armi e aspettano. A volte si mettono a sparare non appena inizia la dimostrazione, e a volte aspettano prima di aprire il fuoco che un adolescente lanci una pietra nella loro direzione.

Come Ben Ehrenreich fa notare nel suo articolo su Nabi Saleh pubblicato sul New York Times Magazine, il portavoce dell’esercito gli ha detto che non c’è mai stato un soldato ferito da un lancio di pietra, in occasione di queste proteste. Ma negli ultimi anni, i soldati hanno ucciso o ferito diversi manifestanti.

FOTO – Nabi Saleh, 22 aprile 2012. Donne palestinesi, israeliane e di altre nazionalità fanno un picnic vicino a una fonte d’acqua. (Foto: Oren Ziv / Activestills.org)

In un famoso incidente un soldato aveva improvvisamente aperto la portiera posteriore della sua jeep blindata mentre lasciava il villaggio e aveva sparato una bomba lacrimogena direttamente sul viso di Mustafa, 21 anni, cugino di Ahed. Il giovane era stato ucciso. Nessuno è mai stato perseguito per questo atto omicida.

Queste sono solo alcune delle cose che ho visto a Nabi Saleh.

Un giorno ero in piedi sul tetto di una casa insieme a tre ragazze adolescenti che vivevano lì. Guardavamo la manifestazione a distanza – forse 150 metri. All’improvviso uno dei soldati lungo la strada si è girato verso di noi, ha alzato la sua arma, puntato e sparato gas lacrimogeni nella nostra direzione. Ha sparato anche altre due granate contro la casa, rompendo la finestra del soggiorno. La figlia maggiore mi ha detto che la sua famiglia aveva smesso di sostituirla ogni volta che i soldati la rompevano. Il vetro era diventato troppo costoso.

Ho visto anche soldati avvolgere deliberatamente una piccola casa di gas lacrimogeni finché gli occupanti, tossendo e sputando lunghi flussi di muco, erano stati costretti a uscire. C’erano due donne molto anziane, paralizzate e tutte curve, e una giovane donna di venti o trenta anni.


FOTO – Qui vediamo Mustafa Tamimi, 28 anni, un palestinese di Nabi Saleh, poco prima di essere colpito da una bomba di gas lacrimogeno sparata a breve distanza da un soldato israeliano durante una delle manifestazioni settimanali di Nabi Saleh. 9 dicembre 2011. (Foto: Haim Scwarczenberg / fotografo invitato di Activestills)

 

Ho visto i soldati acchiappare bambini che piangevano e trascinarli verso veicoli militari respingendo violentemente le loro madri che urlavano.

Ho visto soldati afferrare una giovane donna per le braccia e trascinarla come un sacco di patate per diversi metri lungo una strada dall’asfalto talmente caldo da sciogliere le suole di gomma delle mie scarpe da jogging, prima di gettarla in un veicolo militare che è partito immediatamente.

Ho avuto le caviglie contuse diventate nere quando un agente di sicurezza mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha lanciato una bomba assordante tra le gambe.

Regolarmente, i cecchini dell’esercito israeliano sparano sia veri proiettili che proiettili rivestiti di gomma sui dimostranti disarmati di Nabi Saleh. Fanno irruzione nelle case e ne tirano fuori gli abitanti per poi fermarli con il pretesto che hanno permesso ai manifestanti di nascondersi nel loro giardino.

E quando torno a Tel Aviv, i miei amici mi dicono che non posso aver visto quello che ho visto, dal momento che “i nostri soldati” non si comportano in questo modo. Ho fatto presto a prendere le distanze da questi amici per tenere sotto controllo le mie emozioni.


FOTO – Nabi Saleh, 15 gennaio 2010. Un ufficiale di polizia israeliana di frontiera picchia un manifestante palestinese a colpi di manganello durante una protesta. (Foto: Yotam Ronen / Activestills.org)

Riporto queste sordide descrizioni di ciò che ho visto durante le dimostrazioni per spiegare come e perché questo posto mi ha radicalizzato. Dopo Nabi Saleh, in un certo senso, mi sono spezzata. L’impatto della violenza sulla mia psiche è stato estenuante, traumatico anche, con effetti molto duraturi che sento ancora oggi.

All’epoca in cui iniziai ad andare a Nabi Saleh, avevo trascorso circa quattro anni a parlare di ciò che vedevo in Cisgiordania e a Gaza, assistendo con un certo distacco al modo in cui le mie vedute politiche, liberali all’inizio visto l’ambiente in cui vivevo, pendevano sempre più a sinistra e questo era il risultato di ciò che avevo visto sul terreno. Ma è a Nabi Saleh che ho perso le ultime vestigia di ciò che chiamerei “il mio sionismo” – data l’assenza di un termine per descrivere la mia nostalgia nei confronti dell’idea di uno Stato per gli ebrei.

La mia radicalizzazione non è stata solo il risultato dell’aver assistito agli eccessi di violenza commessi sotto ai miei occhi da soldati di un esercito che avrebbe dovuto proteggermi. Era anche una conseguenza del fatto che avevo visto la famiglia Tamimi subire questa violenza settimana dopo settimana, che avevo visto suoi membri farsi insultare, ferire, arrestare e persino uccidere e non arrivare ancora alla conclusione che il prezzo della resistenza era troppo alto. Rifiutano semplicemente di sottomettersi.

Nabi Saleh, Cisgiordania, 12 maggio 2017. Manifestanti palestinesi siedono di fronte ai soldati israeliani durante una manifestazione contro l’occupazione e in solidarietà con lo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi. (Foto: Haidi Motola / Activestills.org)

 

Settimana dopo settimana accolgono stranieri a casa loro con gentilezza e ospitalità. Nessuno a Nabi Saleh ha mai espresso un’opinione ideologica al mio indirizzo. Non ne hanno bisogno. La situazione è chiara; le azioni del governo israeliano e delle forze di sicurezza sul posto sono indifendibili a tutti i livelli. E, naturalmente, c’è la fonte della forza dei Tamimi: la consapevolezza che la loro causa è giusta e che la difendono con mezzi etici, non violenti.

I Tamimi comprendono molto bene il potere dei social media. Ma non sono loro a creare questi scontri. Infatti, non ho mai visto un video che si avvicini, anche lontanamente, alla vera brutalità che ho scoperto a Nabi Saleh. Forse devi sentire i gas lacrimogeni e renderti conto delle piccole dimensioni del luogo per capire quanto sia infamante per dei soldati comportarsi come fanno: entrare in un villaggio con l’impressione di avere tutti i diritti e smantellare un raduno di manifestanti disarmati; buttar giù a calci delle porte e farne uscire persone disarmate, che non rappresentano alcuna minaccia, per gettarle in prigione; entrare in una casa alle 4 del mattino, tirare un’adolescente fuori dal suo letto e trascinarla fuori per arrestarla, mentre le neghi anche il diritto di essere accompagnata da qualcuno che possa garantire la sua sicurezza.

Sono sicura che Ahed comprende l’effetto del suo aspetto sorprendente. Sono sicura che Bassem Tamimi sa che il suo calore e il suo naturale senso dell’ospitalità vanno molto oltre nel conquistare i cuori e le menti di quanto potrebbero mai fare le conferenze didattiche sulla politica. Senza soldi, sacrificando i loro propri corpi e il proprio benessere emotivo, i Tamimi attirano l’attenzione del mondo sulle centinaia di bambini palestinesi che languiscono in prigione e che non hanno né i capelli biondi né una forte famiglia dietro di loro, che li sostiene. Mostrano al mondo intero cosa significa l’occupazione, in termini concreti, per persone in carne e ossa. Mi hanno insegnato, e questo è un semplice esempio, che cosa significa la resistenza a base popolare.

Con tutto il denaro e tutta la mano d’opera impegnata in sofisticate campagne promozionali tramite i social media, Israele è davvero nella posizione di criticare i Tamimi perché capiscono come si devono riprendere per pubblicizzare la loro causa? Come Jonathan Pollak ha detto a Yaron London, il motivo per cui questi video su Nabi Saleh mettono Israele particolarmente in imbarazzo è che Israele sta commettendo atti estremamente riprovevoli.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

Fonte: http://www.pourlapalestine.be/cest-a-nabi-saleh-que-jai-abandonne-le-sionisme/

 

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