Terza parte – BDS: come un controverso movimento non violento ha trasformato il dibattito israelo-palestinese

Israele vede la campagna internazionale di boicottaggio come una minaccia all’esistenza allo Stato ebraico. I Palestinesi la considerano la loro ultima risorsa.

 

Nathan Thrall – 14 agosto 2018

Più del 20% degli 8,8 milioni di cittadini di Israele sono Palestinesi. Sono i sopravvissuti e i discendenti della minoranza che rimase entro i confini di Israele durante la guerra del 1948. Haneen Zoabi (Copertina), una cittadina palestinese di Israele di 49 anni, originaria di Nazareth, dal 2009 è membro del parlamento israeliano, la Knesset, ed è una sostenitrice accanita del BDS. È la più feroce critica d’Israele nella Knesset, dove denuncia regolarmente le politiche israeliane nei confronti dei Palestinesi e accusa Israele di essere uno stato di apartheid. YouTube è piena di video su di lei che sta tranquillamente sul palco, cercando di parlare mentre viene interrotta e derisa da rabbiosi parlamentari israeliani, alcuni dei quali le hanno urlato epiteti come “traditrice!” O “Vai a Gaza!” Un membro di spicco  del Likud MK, Miri Regev, ha chiesto che venisse deportata. Zoabi è stata sottoposta a un’indagine penale per istigazione e sospesa diverse volte dalla Knesset, l’ultima a marzo, per aver definito l’uccisione di Palestinesi da parte dell’esercito israeliano un omicidio.

Mentre Israele consente ai cittadini palestinesi come Zoabi di votare e ricoprire cariche, lo Stato ha sempre trattato la proprietà della terra da parte dei suoi cittadini palestinesi come una minaccia e ha attuato piani governativi ufficiali per “Giudaizzare” le aree arabe e diluire la presenza palestinese. Dopo la guerra del 1948, solo il 20% dei Palestinesi rimase nel territorio che sarebbe diventato Israele, e un quarto di questi erano sfollati interni. Fino al 1966 Israele mise i suoi cittadini palestinesi sotto coprifuoco e li sottopose a restrizioni del governo militare, confiscò circa metà della loro terra e approvò leggi che ancora oggi impediscono loro di reclamarla.

Decine di migliaia di Palestinesi risiedono in villaggi che precedono l’esistenza di Israele ma sono considerati “non riconosciuti” dallo stato, affrontando demolizioni e sfratti forzati mentre ricevono pochi o nessun servizio di base, tra cui acqua ed elettricità. Con lo Stato che limita lo sviluppo e l’espansione delle città arabe, i cittadini palestinesi sono stati costretti a fare offerte per proprietà nelle comunità ebraiche. Ma sono stati ripetutamente bloccati. Centinaia di comunità ebraiche in Israele hanno commissioni di ammissione che sono legalmente autorizzate a respingere i richiedenti sulla base di “idoneità sociale”, fornendo la copertura per l’esclusione dei non Ebrei. “Ciò che noi Palestinesi affrontiamo in Israele è l’apartheid, non la discriminazione”, ha detto Zoabi. “Israele cerca di dire: “Siamo un Israele buono che deve fare cose cattive in Cisgiordania e Gaza. No, guarda come Israele tratta i propri cittadini che non gettano neppure una pietra!”.

Le politiche di disuguaglianza di lunga data di Israele hanno ricevuto un ulteriore sostegno sotto forma di una “legge fondamentale” del luglio 2018 – la versione israeliana delle leggi costituzionali – che declassifica lo status della lingua araba, afferma che solo gli Ebrei hanno il diritto all’autodeterminazione in Israele, e dichiara: “Lo Stato considera lo sviluppo degli insediamenti ebraici come un valore nazionale e agirà per incoraggiarne e promuoverne la creazione e il consolidamento”.

Il Muro di separazione Israele-West Bank nel 2007. Fotografia: REX / Sipa Press

Zoabi ha detto che l’OLP ha abbandonato le sue responsabilità verso il popolo palestinese. Dopo essersi impegnata formalmente in favore dei due stati nel 1988, “l’OLP ha, di fatto, riconosciuto Israele come Stato ebraico, con la disuguaglianza tra Ebrei e non Ebrei sancita dalle sue leggi. Ora sono soprattutto i cittadini palestinesi di Israele a sfidare davvero il   Sionismo stesso “ ha affermato, insistendo sul fatto che lo Stato non può essere sia democratico che ebraico. Di conseguenza, i cittadini palestinesi di Israele sono diventati “una minaccia molto più grande per Israele rispetto all’OLP”. Ha continuato: “L’OLP ha definito la nostra lotta” – la lotta dei cittadini palestinesi per l’uguaglianza – “come una questione interna israeliana. Ci hanno abbandonato! ”

Zoabi ha criticato duramente la leadership palestinese per il suo ruolo nel prolungare l’occupazione. Ha incolpato Mahmoud Abbas, presidente dell’OLP e presidente dell’Ap anche noto come Abu Mazen, per il fatto che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump lo scorso dicembre ha deciso di rompere con decenni di politica statunitense e riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. “Trump ha fatto un calcolo”, mi ha detto. “Quale sarà la reazione alla mia mossa?  Sia Israele, sia gli Stati Uniti gli hanno detto, correttamente, che Abu Mazen non avrebbe cambiato le regole del gioco, non avrebbe interrotto la cooperazione per la sicurezza con Israele e non avrebbe fermato Oslo. Quindi quale prezzo pagherà Israele o gli Stati Uniti? ” Zoabi ha detto che quando ha viaggiato all’estero, in Paesi come l’Irlanda, la Germania e gli Stati Uniti, i funzionari le hanno chiesto: “L’ambasciatore dell’OLP è contrario alla sua posizione sul BDS. Quindi, a chi dovrei credere? “

Come l’OLP, Zoabi è molto critica nei confronti dell’occupazione israeliana, ma crede che le vere radici del conflitto siano nel modo in cui gli Israeliani trattano i Palestinesi . “Il problema non è l’occupazione, il problema è il progetto sionista”, ha detto. “Israele teme che se le persone avessero le menti aperte e vedessero ciò che Israele sta facendo ai Palestinesi, sarebbe la fine. Nel momento in cui dici che Israele non è uno Stato normale – che non è uno stato democratico che commette alcuni errori, ma uno stato anormale, che agisce contro i diritti umani – allora stai distruggendo la sua immagine di nazione liberale, umana, con l’esercito più morale del mondo. Il BDS sta erodendo la posizione di Israele “.

Nonostante i loro obiettivi totalmente opposti, la destra israeliana e i leader del movimento BDS concordano su molte cose. Entrambi affermano che al centro della questione israelo-palestinese c’è il Sionismo e l’esilio forzato della maggioranza dei Palestinesi nel 1948, non la conquista israeliana di Gaza, Gerusalemme Est e della West Bank nel 1967. Entrambi sostengono che gli insediamenti non dovrebbero essere trattati in maniera differente dal governo che li ha creati. Entrambi ritengono che la richiesta di uguaglianza dei cittadini palestinesi di Israele e del ritorno dei Rifugiati siano le questioni centrali della controversia, alle quali i mediatori di pace del passato hanno riservato un’attenzione insufficiente. Entrambi affermano che la battaglia di Israele contro il BDS non è principalmente una lotta economica. Entrambi considerano il movimento BDS come rappresentante delle principali richieste palestinesi, nonostante sappiano che non ha la capacità di mobilitare grandi folle e che i suoi principali attivisti non sono figure importanti nella politica palestinese. Ed entrambi credono che il movimento BDS smaschererà davanti al mondo la vera natura del conflitto.

Ma mentre il movimento BDS scommette sul fatto che questa rivelazione porterà le persone a concludere che il sionismo è fondamentalmente razzista e dovrebbe essere respinto, Kuperwasser, per esempio, è convinto che saranno i Palestinesi a essere smascherati. “I Palestinesi stanno correndo un rischio molto grande”, ha detto. “Perché, secondo me, c’è una buona possibilità che il mondo neghi il loro quadro concettuale. La gente dirà: “Questo è ciò che vogliono i Palestinesi ?! Siamo totalmente contrari … Sono pazzi; vogliono che Israele scompaia “. Se ciò accadrà, ha aggiunto, i Palestinesi non otterranno nemmeno uno Stato composto da Cisgiordania e Gaza, cosa che l’OLP considera ancora solo come il primo stadio verso la liberazione di tutta la Palestina.

Secondo Kuperwasser, il movimento BDS e la leadership palestinese condividono gli stessi obiettivi; le differenze tra loro sono solo una questione di tattica. “Abu Mazen comprende più del movimento BDS che si deve essere discreti”, ha detto. L’accettazione dell’OLP della soluzione dei due Stati, le sue promesse di tenere in considerazione le preoccupazioni demografiche di Israele, il suo silenzio sui diritti dei cittadini palestinesi di Israele – tutto ciò, ha aggiunto Kuperwasser, è solo un sotterfugio progettato per ottenere uno Stato West Bank-Gaza, che servirebbe poi come trampolino di lancio per continuare la lotta. “L’idea palestinese di lotta è così profondamente radicata nella loro mente che non possono effettivamente pensare alla possibilità di rinunciarvi per fare pace. Non potrei contare il numero di Palestinesi cui ho detto : Ascolta, con questa lotta stai pagando un prezzo molto più alto di quello che paghiamo noi. Stiamo fiorendo. Anche se paghiamo un prezzo, noi stiamo prosperando. “

Per Israele la chiave sta nel conquistare i cuori e le menti dei liberali centristi e dei progressisti all’estero, non quello delle persone che sono già nel campo sionista o anti-sionista. Ciò che lo rende più difficile è che alcuni Israeliani ed Ebrei sono colpevoli di “negligenza e rinuncia intenzionale sul campo di battaglia” – non la sinistra radicale, ma i centristi che hanno ingenuamente adottato il linguaggio del nemico. Kuperwasser ha individuato l’ex primo ministro laburista Ehud Barak, che ha ripetutamente avvertito che Israele è “su una china scivolosa verso l’apartheid” – un avvertimento che è stato fatto anche dall’ex ministro degli Esteri Tzipi Livni e dagli ex primi ministri Ehud Olmert e Yitzhak Rabin. Per Kuperwasser, queste dichiarazioni, intese a convincere gli Israeliani a fare concessioni territoriali per la pace, sono state soprattutto un regalo per i suoi nemici.

Per il movimento BDS, l’accusa di apartheid, che divenne importante dopo l’inizio della seconda intifada nel 2000, non è solo un’analogia provocatoria con il Sud Africa, ma una rivendicazione legale, basata sul crimine di apartheid come definito nelle convenzioni internazionali e nello statuto fondatore del Tribunale Penale Internazionale: “un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominio da parte di un gruppo razziale su qualsiasi altro gruppo o gruppi razziali, impegnato nel mantenimento di quel regime”.

Il concetto di apartheid divenne centrale per la definizione del conflitto da parte del movimento BDS. Mentre l’Autorità Palestinese cercò di accentuare la sua autonomia e le sue caratteristiche statali, il movimento BDS sottolineò la sottomissione dell’Autorità Palestinese a Israele. Per i fautori del modello dei due Stati, l’Autorità Palestinese era un progetto nazionalista che lavorava verso un’eventuale indipendenza, mentre nel quadro dell’apartheid era solo un satrapo israeliano. I leader del BDS enfatizzarono la “realtà di un solo Stato” Israele-Palestina – un tropo comune anche tra i sostenitori di Israele, molti dei quali erano costernati dalla possibilità che il Paese potesse alla fine essere costretto a liberare i Palestinesi sotto occupazione e quindi cessare di essere uno Stato ebraico.

Sempre più spesso sia tra gli amici degli Israeliani di centro-sinistra che tra i loro nemici, l’idea di un singolo Stato non era più un piano per il futuro – da ricercare o evitare – ma una descrizione accurata della realtà, sempre più difficile da districare. Gli Ebrei erano già una minoranza nei territori sotto il controllo di Israele, che regolava i confini, le esportazioni e le importazioni, le entrate doganali e i permessi per i viaggi e il lavoro dei Palestinesi. Legalmente, commercialmente e amministrativamente, il popolo ebraico e quello palestinese erano intrecciati.

Più profondamente questa realtà di un solo Stato si radicava, più l’accusa di apartheid risuonava, e più difficile immaginare di annullarla attraverso la divisione in due stati. Una battaglia contro l’occupazione può essere conclusa con un semplice ritiro militare, ma si può vincere la lotta contro l’apartheid solo con la fine delle politiche statali che discriminano i non Ebrei. Nel caso di Israele, queste sono applicate non solo nei Territori Occupati, ma ovunque i Palestinesi entrano in contatto con lo Stato. In Cisgiordania, ai Palestinesi è negato il diritto di votare per il governo che controlla le loro vite, sono privati del diritto di riunione e di movimento, dell’eguale accesso alle strade, alle risorse e al territorio, e imprigionati senza accusa a tempo indeterminato. A Gaza, non possono uscire, entrare, importare, esportare o persino avvicinarsi ai loro confini senza il permesso di Israele o del suo alleato, l’Egitto. A Gerusalemme, sono separati gli uni dagli altri e circondati da posti di blocco e mura. In Israele, sono stati sfrattati dalle loro terre, resi impossibilitati a reclamare le loro case espropriate, e impediti dal risiedere in comunità abitate esclusivamente da Ebrei. Nella diaspora, è loro impedito di riunificarsi con le famiglie in Israele-Palestina o di tornare alle loro case, solo perché non sono Ebrei.

Sebbene in pubblico i leader mondiali parlassero all’infinito di una soluzione a due Stati, in privato molti dubitavano che fosse ancora possibile. Condannavano regolarmente gli insediamenti (dal momento che questi, a differenza dell’occupazione, erano illegali), ma non fecero nulla per invertirne la crescita. Chiedevano libertà per i Palestinesi, ma non attraverso uguali diritti e cittadinanza in un unico Stato – perché, tra le altre ragioni, la legge internazionale vieta a Israele di annettersi territori acquisiti con la forza. Videro che Israele stava sovvertendo la soluzione dei due Stati e prendendo misure per privare i Palestinesi di ulteriori diritti. Ma non avrebbero esercitato alcuna pressione reale su Israele fintantoché questo avesse espresso l’intenzione di concedere ai Palestinesi una qualche forma limitata d’indipendenza. In tal modo a Israele fu concesso di tenere tutto il territorio escludendo la maggior parte della sua popolazione  indigena, proprio come il Sudafrica aveva aspirato a fare. Nel ridefinire il conflitto come un caso di apartheid, gli attivisti BDS hanno visto una via d’uscita da questa trappola. Il tema dell’apartheid potrebbe anche annullare la più grande debolezza dei Palestinesi – la frammentazione – unendoli in una lotta comune contro un singolo regime discriminatorio.

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù”

Invictapalestina.org

Fonte: https://www.theguardian.com/news/2018/aug/14/bds-boycott-divestment-sanctions-movement-transformed-israeli-palestinian-debate

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