Israele-Palestina, alberi che nascondono la colonizzazione

Copertina – Santuario di Abu Ubaida Ibn Al-Jarah nel parco di Ayalon-Canada, ultima traccia del villaggio palestinese di Imwas distrutto nel 1967.

Il Parco Ayalon-Canada

Adèle Ribuot, Nadav Joffe – 19 settembre 2018

 

Situato sulla Route 1 che collega Tel Aviv e Gerusalemme, il Parco Ayalon-Canada, destinazione molto ambita per gli israeliani, ha oltre 300.000 visitatori all’anno. I sentieri escursionistici e ciclabili che lo attraversano, le cascate e le viste panoramiche che offre sulla Valle di Ayalon e sui monti della Giudea oscurano il fatto che sia servito come arma di conquista per Israele.

Pannelli informativi in situ e il sito ufficiale del Fondo Nazionale Ebraico (JNF e Keren Kayemeth LeIsrael KKL ebraico) offrono ai visitatori del parco delle chiavi per comprendere i luoghi e una mappatura dei resti archeologici che vi si trovano. All’inizio, il JNF è l’entità operativa del progetto sionista; opera dalla fine del 19° secolo per la conquista della terra e la giudaizzazione del paesaggio in Palestina.

Oggi è il primo responsabile delle foreste israeliane: incaricato della loro manutenzione e apertura al pubblico, è anche il mediatore della storia del parco. Scopriamo che i 1.200 ettari della foresta del parco Canada contengono rovine di Emmaus risalenti all’era asmoneiana (dal 134 al 37 aC), tombe del I secolo, terme romane del III secolo, le mura di una fortezza costruita dai crociati nel dodicesimo secolo o ancora che fu teatro di molte battaglie. Il JNF indica infatti che si tratta del luogo dello scontro biblico tra Giosuè e i re di Canaan, che gli Asmonei qui schiacciarono i Greci. Nel XII secolo, su un punto in cima alla montagna, i templari costruirono una fortezza chiamata “Toron des chevaliers”, che divenne Latrun nell’Impero Ottomano.

 

Una posizione strategica

 

In altre parole, il sito del Parco Ayalon-Canada occupa una posizione territoriale particolarmente strategica. Situato a livello dei primi contrafforti montuosi della Giudea, nel luogo denominato Bab Al-Wad, il sito si affaccia a strapiombo sulla vallata di Ayalon e domina sul corridoio di Gerusalemme che collega la città alla costa mediterranea.

È perciò subito ambito dai portatori del progetto sionista. Durante la guerra del 1948, la cosiddetta battaglia ” di Latrun” contrappone le forze armate israeliane alla legione araba giordana che controlla il forte. Nonostante i sei assalti lanciati gli israeliani non riescono a impossessarsi di questa postazione che rimane sotto il controllo transgiordano fino alla guerra arabo-israeliana del 1967. Per due decenni, la metà israeliana di Gerusalemme è servita dalla piccola strada di Burma a sud, essendo considerato l’accesso stradale da Bab Al-Wad troppo pericoloso. Il 7 giugno 1967 Israele riuscì a prendere il controllo del forte durante la seconda battaglia di Latrun. Questo episodio militare assume un grande valore simbolico nella narrazione nazionale: l’esercito “libera” così Gerusalemme, ufficialmente dichiarata “riunificata e capitale eterna e indivisibile del popolo ebraico”. L’esito di questa guerra è decisivo nel conflitto arabo-israeliano e influenza ancora la geopolitica della regione; Israele triplica la sua superficie nazionale.

Dal 1967 al 1969, l’area è chiusa al pubblico, poi è dichiarata “spazio pubblico in fase di sviluppo”. Il 1° gennaio 1976, il Jewish National Fund inaugura ufficialmente il parco, chiamato “parco Canada” in onore della comunità ebraica canadese che ne aveva finanziato la creazione. Il disagio è palpabile e alcuni diplomatici si rifiutano di partecipare alla cerimonia. Ma il vero scandalo scoppia quindici anni dopo, il 22 ottobre 1991, una settimana prima della Conferenza di Madrid (1). Il programma settimanale The Fifth Estate della Société Radio-Canada dedica al parco un’inchiesta di 30 minuti. Ha ripercussione internazionale e molti donatori chiedono che vengano rimosse le targhe onorifiche a loro nome. Finanziato con dollari canadesi deducibili dalle tasse, viola infatti diverse leggi internazionali.

Il suo caso è emblematico della strategia fondiaria sionista portata avanti con i progetti di imboschimento a partire dal 1948. L’imperativo è quindi quello di consolidare e rafforzare lo stato davanti ai paesi vicini e alla pressione dei palestinesi che rivendicano il diritto al ritorno. Le foreste hanno giocato un ruolo insospettato e il pino è stato un’arma in questa guerra.

 

Una barriera invalicabile di pini

 

Come la gran parte delle foreste piantate dal Fondo nazionale ebraico a partire dagli anni ’30, il parco Canada è composto principalmente da pini d’Aleppo o “pini di Gerusalemme” in ebraico. Questi alberi hanno un nome non confacente, in realtà non sono endemici del Vicino Oriente: vengono dal nord del Mediterraneo. Il pino d’Aleppo, tuttavia, diventa rapidamente la specie preferita. Fino alla fine degli anni ’80, il 65% degli alberi piantati sono conifere, e solo l’8% eucalipti e querce. Questo è l’albero ideale per rispondere alle ambizioni territoriali sioniste. In un opuscolo del JNF del 1935, Yosef Weitz, suo direttore dal 1932 al 1966 – considerato il padre della forestazione israeliana – ne incoraggia la piantagione. Elogia la sua grande adattabilità ai diversi tipi di terreno (le piantine sono facili da installare), la sua resistenza alla siccità, la crescita rapida e la chioma sempreverde che fornisce una spessa copertura tutto l’anno. L’albero permette di creare rapidamente un rimboschimento praticamente ovunque. Nello stesso opuscolo, Weitz raccomanda di spaziare le fosse di impianto di 2 metri, 1,5 metri su terreni rocciosi, come nel caso del parco Canada. Gli alberi sono piantati in file molto strette per permettere diverse azioni militari: difendere, conquistare e cancellare. Aggiungiamo che nel 1948, Yosef Weitz crea e presiede il Comitato di trasferimento che organizza e pianifica l’espulsione dei palestinesi e mira a impedire il loro ritorno. Da quel momento in poi le foreste e la guerra sono intimamente legate.

Un altro opuscolo ufficiale del 1955 del NJF intitolato A Forest Is Born, testimonia dell’agenda per la sicurezza del progetto di forestazione. Vi si afferma che le foreste permettono di formare una “barriera invalicabile” e proteggere lo stato da potenziali intrusioni esterne. Permettono anche di “nascondere le posizioni fortificate” e riducono “le possibilità di subire attacchi terrestri o aerei”. Il JNF indica sul suo sito web che ancora oggi e da maggio 2011 pianta alberi intorno alle città israeliane situate vicino alla Striscia di Gaza per, si dice, mettere al riparo dal fuoco di razzi case, strade e vie.

Interrogata nel 2005 dall’etnografa israeliana Irus Braverman, Amikam Riklin, allora l’ispettrice capo del JNF testimonia: “Quando ci sono alberi, dobbiamo prima abbatterli se vogliamo riprendere un territorio. […] Le intrusioni si svolgono solo ai margini del territorio e se ciò accade ce ne rendiamo conto … Dal momento in cui si conoscono i contorni di un’area forestale, si può allo stesso tempo identificarne il territorio” (2). Le foreste infine servono anche a materializzare i limiti dello stato, a fare del territorio un oggetto identificato e controllabile che può essere protetto dalle intrusioni. Nel 1969, il Fondo propone di piantare una larga striscia di foresta lungo la Linea Verde (3) e gli alberi del parco Canada sono un pezzo di questa grande muraglia di pini.

 

Piantare alberi, piantare bandiere

 

Il parco è comunque situato oltre la Linea verde. Dopo la guerra del 1949, una terra di nessuno è delimitata nel sito altamente conteso di Latrun. Queste terre sono tuttavia annesse dopo il 1967 grazie alla realizzazione del parco. Piantare alberi permette di sbocconcellare territori in Cisgiordania con la massima discrezione.

Israele si appoggia naturalmente a testi giuridici per giustificare questi atti. Dopo la guerra del 1967, la legislazione applicata dall’autorità israeliana in Cisgiordania è un misto di leggi ottomane, britanniche, giordane e israeliane. In particolare, viene utilizzato l’articolo 78 del codice fondiario ottomano del 1858. Originariamente, consente a colui che coltiva o pianta alberi su una piccola porzione di terreno di rivendicarne la proprietà. Irus Braverman mostra nel suo studio Planted Flags: Trees, Land and Law in Israel/ Palestine (Cambridge University Press, 2014) come l’interpretazione legale fatta da Plia Albek (direttrice della camera civile del pubblico ministero dal 1969 al 1992) consente a Israele di appropriarsi di terreni in Cisgiordania, specialmente nell’area C (il 62% della Cisgiordania, sotto totale controllo di Israele), che è più rurale delle altre. La legge non dice più semplicemente che “le terre coltivate sono tue terre”, ma soprattutto “le terre incolte diventano terre di stato” se non vengono coltivate per dieci anni consecutivi. L’attenzione di Israele si focalizza quindi sulle cosiddette terre “non sviluppate” e “non private”. Ad esempio possono essere confiscati i terreni a pascolo senza alberi o trasmessi per via orale. Tra il 1979 e il 1993, Israele realizza anche un censimento biennale con fotografia aerea dei territori occupati che gli permette di dichiarare che oltre il 40% della Cisgiordania – circa 162 000 ettari – è “terra di stato”. Secondo Braverman, dopo gli accordi di Oslo, Israele riduce il suo uso dell’articolo 78 del codice ottomano e si concentra maggiormente sul controllo e la salvaguardia delle terre annesse.

Questo blitz organizzato ha frammentato il territorio palestinese, danneggiato la sua agricoltura, favorito l’espansione degli insediamenti e ristretto quella dei villaggi palestinesi. Per prevenire i palestinesi piantano alberi di ulivo. Così, la presenza di pini o di ulivi indica implicitamente a chi appartiene la proprietà. Piantare un albero equivale dunque a piantare una bandiera e le operazioni di sradicamento, incendio o avvelenamento degli alberi da parte dei coloni o dell’esercito testimoniano questo altro fronte.

 

Cancellare la storia

 

Infine, quello che il JNF ovviamente non menziona è che sotto i pini del parco Canada si trovano le rovine di tre villaggi palestinesi: Yalou, Imwas e Beit Nouba. Diecimila abitanti vengono espulsi dall’esercito nel 1967, poi i villaggi rasi al suolo e distrutte 1464 case. Dal 1968, il terreno è quasi vergine e venti anni dopo una foresta di pini copre l’area. La copertura fornita dall’imboschimento è essenziale, poiché così viene coperta la storia palestinese del sito. Tuttavia, sono ancora visibili alcune fondamenta in calcestruzzo e resti di terrazze con muretti a secco dove crescono ancora gli ulivi. Ci sono anche pozzi, un cimitero, siepi di fichi d’India che servivano a delimitare i terreni …

La rimozione di questi villaggi palestinesi non è ovviamente un caso isolato nella storia di Israele. Dopo la guerra del 1948-1949, si stima che 615 località palestinesi siano state distrutte. Le terre sono nazionalizzate e il governo vende al Fondo le “proprietà degli assenti” in modo che il Fondo Nazionale Ebraico possa perseguire il suo processo di giudaizzazione e dearabizzazione del territorio. Dopo la guerra del 1967, sono distrutte circa 195 località siriane e 75 località palestinesi. Secondo uno studio di Noga Kadman, ricercatore e guida per l’Associazione Zochrot, circa 200 villaggi spopolati e demoliti si trovano ora nei parchi, nelle foreste o nelle riserve naturali israeliani. Delle 68 foreste e parchi che appartengono al JNF, 46 nascondono un totale di 89 villaggi palestinesi.

Dalla creazione dello Stato di Israele, sono stati piantati oltre 223 milioni di alberi dal Fondo. Piantare foreste è una priorità per Israele, in parte perché gli consente di coprire i crimini contro l’umanità, di pulizia etnica, di distruzione. Il territorio è anche una componente essenziale dell’identità nazionale, un popolo si lega ad esso con narrative e rappresentazioni. Deve portare in sé i segni della storia. Conservare, valorizzare o rimuovere questi indicatori è una scelta politica.

Per lo scrittore Edward Said, il conflitto israelo-palestinese è un conflitto tra “due memorie”, ciascun campo crea la propria narrativa, sottolinea il suo legame esclusivo e continuo con la terra. Oggi il paesaggio israeliano è sotto molti aspetti amnesico e gli israeliani contemplano un orizzonte che soffoca la violenza della sua storia.

 

NOTE

(1) NDLR. All’indomani della Guerra del Golfo, la Conferenza di Madrid fu il primo tentativo da parte della “comunità internazionale” di avviare un processo di pace in Medio Oriente. Riunì Israele e i paesi arabi tra cui Siria, Libano, Giordania e i palestinesi (non membri dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, allora non ufficialmente riconosciuti). Ha preparato il terreno per gli accordi di Oslo del 1993 e al trattato di pace Israele-Giordania del 1994.

(2) Irus Braverman, ” Planting the Promised Landscape : Zionism, Nature, and Resistance in Israel/Palestine”, “Natural Resource Journal”, 49, primavera 2009; p. 347.

(3) NDLR. Conosciuto anche come “confine del 1967” (quello che esisteva alla vigilia della guerra del 1967), risulta dagli accordi di armistizio conclusi tra Israele, Siria, Libano, Transgiordania ed Egitto alla fine della guerra arabo-israeliana del 1948. Il suo nome deriva dal colore scelto per tracciarla sulle mappe allegate agli accordi.

 

ADÈLE RIBUOT – Paesaggista della scuola del paesaggio di Versailles. Ha condotto nel 2016 uno studio su “l’imboschimento in Palestina/Israele come arma del progetto sionista” con Nadav Joffe.

 

NADAV JOFFE – Paesaggista della scuola del paesaggio di Versailles. Ha condotto nel 2016 uno studio su “l’imboschimento in Palestina/Israele come arma del progetto sionista” con Adèle Ribuot.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Fonte:https://orientxxi.info/magazine/israel-palestine-des-arbres-au-service-de-la-colonisation,2637

 

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