“Il sistema dei permessi israeliani non riguarda la sicurezza, riguarda la segregazione”.

Il sistema dei permessi rilasciati ai Palestinesi consente a Israele di reclutare informatori, sopprimere l’attività politica e creare un sistema opaco di segregazione e controllo. Certamente non riguarda la sicurezza, dice Yael Berda.

Edo Konrad – 9 gennaio 2019

Foto di copertina: Yael Berda. (Oren Ziv)

L’immagine dovrebbe essere familiare a ogni persona  con una minima conoscenza della Palestina. Centinaia di uomini di mezza età accalcati assieme ad ore impossibili,  in attesa in interminabili file che si snodano in corridoi stretti tra  muri di cemento, tornelli, torri di guardia e soldati armati. Giovani ragazzi vendono caffè in minuscole tazze monouso mentre gli uomini barcollano in avanti, uno dopo l’altro. Consegnano i loro permessi di entrata ai soldati e sono lasciati passare.

Il checkpoint è forse l’immagine più strettamente associata al dominio militare israeliano nei Territori Occupati, dove decine di migliaia di lavoratori palestinesi transitano quotidianamente per andare a lavorare in Israele. Per la maggior parte degli Israeliani, i checkpoint sono uno strumento che Israele utilizza per proteggere i suoi cittadini dal terrorismo. Per i Palestinesi, in particolare per i lavoratori palestinesi, fa parte di un sistema di controllo al quale è costretto ad accedere per provvedere alle proprie famiglie.

Per Yael Berda, assistente professore di sociologia all’Università ebraica, il checkpoint è ciò che lei chiama la “scatola nera dell’occupazione”, che nasconde tanto quanto rivela sulla vera natura del sistema dei labirintici permessi rilasciati da Israele. Negli ultimi dieci anni Berda, una dei massimi esperti del sistema dei permessi, ha cercato di aprire quella scatola.

Il suo libro del 2017, intitolato “Living Emergency: il sistema israeliano dei permessi nella West Bank occupata” basato su interviste a lavoratori palestinesi, funzionari israeliani, appaltatori così come su  ricerche d’archivio, è uno sguardo approfondito sui vari modi in cui quel regime – gestito dal Shin Bet, dall’esercito, dal governo e dall’amministrazione civile – tiene in pugno centinaia di migliaia di Palestinesi .

Mentre stava conducendo il suo tirocinio in legge, Berda non pensò mai di diventare un’esperta del sistema dei permessi. Quando però aprì il suo studio legale nel mezzo della violenza della Seconda Intifada, iniziò a ricevere chiamate da parte di appaltatori israeliani che cercavano di ottenere i permessi per i loro lavoratori. “Iniziai a sentire storie e storie su lavoratori che erano con questi appaltatori da oltre 20 anni e che improvvisamente non potevano entrare in Israele per motivi di sicurezza”, dice. “Era una follia.”

Berda chiese il parere degli Israeliani che si occupavano di diritti umani, ritenendo che sarebbero stati in grado di spiegare come fosse possibile la revoca dei permessi di ingresso, ma nessuno sapeva di cosa stesse parlando. Si rese conto che stava assistendo a un sistema che veniva costruito in tempo reale. Più scavava, più comprendeva che queste revoche massicce avevano poco a che fare con la sicurezza.

Soldati israeliani controllano l’identità e il permesso di ingresso di un Palestinese a un posto di blocco che separa la città di Betlemme da Gerusalemme, in Cisgiordania, il 25 maggio 2018 (Wisam Hashlamoun / Flash90).

Finì per rappresentare quasi 80 Palestinesi a cui era stato negato l’ingresso in Israele per motivi di sicurezza, un’esperienza che le rivelò i contorni del sistema dei permessi. Più persone parlavano con Berda, più capiva che il motivo principale degli ideatori del sistema dei permessi era il controllo e la segregazione, non la sicurezza.

Mentre i Palestinesi nei Territori Occupati sono stati sotto il dominio dell’esercito israeliano fin dal 1967, fino ai primi anni ’90 i militari credettero che il modo migliore per gestire la popolazione in Cisgiordania fosse attraverso una politica di frontiera aperta, in cui il passaggio in Israele, ad eccezione delle ore notturne,  era libero,

I permessi non esistevano, spiega Berda, e al di fuori del coprifuoco in determinati villaggi, l’occupazione era in gran parte indifferente al movimento dei civili. I suoi ideatori, quelli che sancirono le giustificazioni legali per il dominio militare, vedevano questa libertà come parte della “occupazione illuminata” di Israele.

“All’epoca i militari non percepivano i Palestinesi come una minaccia alla sicurezza”, dice Berda. “Li  differenziavano tra popolazione civile e gruppi armati, mentre credevano che più i Palestinesi guadagnavano da vivere in Israele, meglio sarebbe stato per tutti. All’improvviso ci fu libertà di movimento – un nuovo spazio aperto dove prima c’era un confine internazionale. Tutto ciò si basava sull’idea razziale che i Palestinesi non fossero “ancora pronti” e sul “possiamo aiutarli”. Era un’idea molto paternalista “.

Tuttavia, all’inizio degli anni ’80, governare i Palestinesi nei Territori Occupati divenne un peso per l’establishment. Israele stabilì così l’amministrazione civile, il cui scopo era amministrare le vite della popolazione occupata. Per i Palestinesi, fu un segno che l’occupazione non era temporanea.

Molte persone pensano che il sistema dei permessi sia iniziato durante la Seconda Intifada come parte della guerra di Israele contro il terrorismo palestinese. Invece il sistema ha iniziato a formarsi  durante la Prima Intifada.

“La Prima Intifada cambiò tutto. All’improvviso i Palestinesi vivevano sotto coprifuoco e blocchi e la presenza dell’esercito cominciò a percepirsi molto di più. Il governo israeliano introdusse una legge di emergenza che annullava il permesso di uscita generale che consentiva ai Palestinesi di entrare liberamente in Israele e iniziò a chiedere che tutti i Palestinesi avessero un permesso “.

“Gli attentati suicidi degli anni ’90 fecero sì che i blocchi  avvenissero più spesso. Con gli attentati avvennero chiusure preventive durante le principali festività ebraiche o durante le visite dei principali leader. Alla fine Israele impose su tutti i Territori Occupati chiusure che duravano da 70 a 80 giorni”

Un Palestinese attende all’interno di un tornello in un checkpoint vicino alla città di Tulkarm mentre si sta recando a lavorare in Israele il 21 febbraio 2010. (Oren Ziv / Activestills.org)

Con lo scoppio della Seconda Intifada, lo Shin Bet spostò l’attenzione sulla raccolta di dati e sulla profilazione dell’intera popolazione palestinese, piuttosto che concentrarsi sulla prevenzione della violenza o sulla profilazione di specifici gruppi che, all’interno della società palestinese, mettevano in pericolo la sicurezza israeliana. Per fare ciò, creò un apparato di profilazione di massa con il quale oltre 200.000 residenti maschi della Cisgiordania – circa il 20% della popolazione maschile – furono classificati come “minacce alla sicurezza”, impedendo loro di ottenere permessi di ingresso in Israele. I funzionari descrissero la lista nera come una “strada a senso unico” – una lista in costante espansione di categorie di rischi per la sicurezza che gli agenti dello Shin Bet usavano per decidere chi sarebbe stato escluso.

Né i Palestinesi né i burocrati che gestiscono il sistema conoscono il motivo per cui un individuo deve essere escluso. Le motivazioni basate sui singoli casi, dice Berda,  sono diventate uno degli strumenti chiave dello Shin Bet per mantenere segreti i criteri di chi o di cosa  viene qualificato come una minaccia alla sicurezza.

Il crescente controllo della Shin Bet permise inoltre di identificare una categoria di persone che potevano essere reclutate come informatori. Questo fu uno sviluppo imprevisto, spiega Berda, dal momento che finchè le forze israeliane furono presenti nelle città palestinesi, erano in grado di raccogliere informazioni attraverso agenti israeliani sotto copertura. “All’improvviso, in qualsiasi  momento, puoi avere una schiera di 40.000 informatori “, dice. ” Hai una serie di dati su tutti, e quelli che si rifiutano di collaborare sono inseriti nella lista nera. Si crea un regime di dipendenza in cui i lavoratori sono costantemente soggetti ai capricci dello Shin Bet. ”

Nel libro, Berda racconta la storia di Omar, un Palestinese di 41 anni che per anni aveva lavorato come meccanico ottenendo i permessi per entrare in Israele. Nel 1996, i permessi gli vennero rifiutati. Un decennio dopo iniziò il processo di ricorso alla sua classificazione come “minaccia alla sicurezza”. Omar ha raccontato il dialogo con un capitano dello Shin Bet, al termine del quale il capitano gli disse:”Sono pronto ad aiutarti, se tu aiuti me”. Omar capì che l’unico modo per essere rimosso dalla lista nera sarebbe stato collaborare con lo Shin Bet. Rifiutò l’offerta, dopo di che gli fu richiesto di firmare un documento in ebraico, con la conferma che gli era vietato entrare nuovamente in Israele.

Palestinesi si mettono in fila per richiedere i permessi di entrata dall’esercito israeliano a Ramallah, il 25 settembre 2010. (Sharon Perry / Flash90)

Come funziona il sistema  dei permessi oggi? Come si è adattato a una realtà che nei Territori Occupati cambia continuamente?

“Una cosa che le autorità israeliane hanno fatto è trasformare i Palestinesi in una categoria di lavoratori migranti, il che significa che non possono più sfidare la lista nera facendo appello alla Corte Suprema. Oggi possono solo fare appello ai tribunali distrettuali per ottenere soluzioni legali, e i tribunali sono molto più entusiasti di accettare  i criteri di “minaccia alla sicurezza” dello Shin Bet” che non le loro motivazioni.

“L’aumento del sistema  dei permessi ha anche creato un sistema di intermediari che aiutano i datori di lavoro israeliani a ottenere i permessi per i lavoratori palestinesi. Molti datori di lavoro israeliani sono stati duramente colpiti dal sistema dei permessi, dal momento che molte delle piccole e medie imprese di livello inferiore sono state costruite sulle spalle del lavoro palestinese. Gli intermediari israeliani aiutano i datori di lavoro, mentre quelli  Palestinesi aiutano i lavoratori a ottenere un permesso dagli uffici di coordinamento distrettuale dell’amministrazione civile (DCO).

“Poi ci sono datori di lavoro che fanno pagare ai loro lavoratori tra i 270 e gli  800 dollari al mese per ottenere i permessi, il che equivale ad almeno un terzo del loro stipendio. Questi datori di lavoro possono ottenere più permessi di quanti ne abbiano effettivamente bisogno, che poi vendono ad altri datori di lavoro che potrebbero avere difficoltà a ottenerli. In effetti, quello che stiamo vedendo è un enorme mercato nero dei permessi da cui traggono profitto sia i datori di lavoro che gli intermediari “.

Berda descrive come tra il 2004 e il 2005, un certo numero di ufficiali dell’IDF sono stati arrestati per aver venduto dozzine di permessi di ingresso falsi a lavoratori e appaltatori. I reati hanno portato all’installazione ai checkpoint di un software di gestione della popolazione, che collegava i permessi registrati a un unico database, consentendo alle autorità di controllare facilmente la validità dei permessi. Nonostante la repressione, i permessi falsi sono diventati ancora più diffusi e sofisticati. Tra il 2007 e il 2017, solo tre soldati israeliani sono stati incriminati per falso, mentre il numero di accuse contro civili coinvolti nella contraffazione dei permessi è cresciuto.

Lavoratori palestinesi aspettano di attraversare un posto di blocco per andare a lavorare in Israele alla barriera di separazione nella città di Betlemme, in Cisgiordania, il 23 agosto 2010. (Najeh Hashlamoun / Flash 90)

“Non solo il mercato nero è completamente illegale”, afferma Berda, “è anche una grave violazione della sicurezza che spesso coinvolge direttamente il personale israeliano. Eppure nessuno è stato messo in prigione per reati concernenti la sicurezza per aver venduto permessi a dei Palestinesi inseriti nella lista nera. Al massimo i colpevoli vengono processati per corruzione o frode. Se il regime dei permessi riguardasse davvero la sicurezza, queste persone dovrebbero andare in prigione per tradimento “.

“Mentre stavo facendo ricerche per il libro, ho appreso che un datore di lavoro che vuole ottenere un permesso per un Palestinese, per farlo lavorare negli insediamenti, non deve passare attraverso lo Shin Bet o la polizia. Invece, parla al Ravshatz (il coordinatore della sicurezza dell’insediamento, un civile), il quale decide chi può o non può ottenere il permesso, e ottiene tutti i permessi che vuole, il che significa che la costruzione degli insediamenti diventa un affare incredibilmente redditizio. ”

Perché  chi gestisce la sicurezza si preoccupa dei Palestinesi che entrano in Israele ma non di quelli che entrano negli insediamenti?

“Non ho una risposta. È come se i Palestinesi ch entrano  arrivano negli insediamenti non possano ferire gli Ebrei. Eppure la maggior parte degli attacchi a soldati e civili avvengono effettivamente negli insediamenti, non in Israele “.

Come lo spieghi?

“Che non si tratta di sicurezza! Si tratta di segregazione, separazione e contenimento. Le cose diventano molto più chiare quando lo si capisce. La logica della sicurezza è diversa dalla logica dell’occupazione della terra”.

Muratori palestinesi del villaggio di Abadiya posano per una foto in una casa in ristrutturazione nell’insediamento di Alon, a nord di Gerusalemme, il 16 febbraio 2016. (Hadas Parush / Flash90)

Sentiamo spesso criticare le organizzazioni israeliane per i diritti umani con l’accusa che il loro lavoro con l’establishment della sicurezza finisce solo per rinforzare e legittimare l’occupazione. Concordi?

“Una delle cose più difficili da accettare come avvocato, era sapere che stavo legittimando il sistema, anche se stavo aiutando le persone che venivano da me perché avevano bisogno di lavorare. Per me quella era la cosa principale – ogni singola persona che poteva lavorare era un’altra famiglia che poteva vivere. Ma sapevo che stavo legittimando il sistema. Ecco perché mi sono fermata. ”

“Il regime dei permessi deve essere smantellato e comprare i permessi non fa invece che rafforzarlo. Punto.”

Non c’è modo di riformarlo?

“No, perché si basa su una gerarchia razziale che dice che ogni Palestinese è un potenziale terrorista. I Palestinesi che lasciamo entrare sono gli unici che hanno l’OK, e devono avere una certa età. Teniamo fuori coloro che si impegnano in attività politiche, culturali o civili, nel tentativo di decapitare qualsiasi leadership politica palestinese che potrebbe emergere. Qual è il punto di riformare questo sistema? ”

Sembra una situazione perdente.

“L’unica cosa che penso sia utile è promuovere soluzioni economiche autosufficienti e realizzabili per i Palestinesi. Ciò significa creare nuovi progetti all’interno della Palestina, ad esempio per i lavoratori edili. Significa anche che l’Autorità Palestinese deve fare di più per combattere il sistema dei permessi. Invece di collaborare con le autorità israeliane, l’Autorità Palestinese potrebbe richiedere permessi di ingresso per tutti i lavoratori palestinesi di età superiore ai 25 anni, mettendo effettivamente fine alla lista nera “.

In che modo i Palestinesi attualmente resistono al regime dei permessi?

“In molti modi. I Palestinesi trasformano i checkpoint in snodi economici e in aree di micro-economie. Non oppongono resistenza mentre attraversano Israele, facendo effettivamente l’opposto di ciò che il sistema si aspetta da loro. Si uniscono per impedire a Israele di stabilire nuovi improvvisi checkpoint, come abbiamo visto in diversi quartieri di Gerusalemme Est durante la cosiddetta “intifada dei coltelli”. ”

C’è una critica interna allo Shin Bet di ciò che è diventato?

“Assolutamente. Gli artefici del governo militare sostenevano l’idea di un’occupazione illuminata e dello stato di diritto. Dopo aver costruito il sistema dei permessi, si sono resi conto di quanto fosse inutile, e in quel momento si scoraggiarono. Iniziarono a chiedersi quanto potesse essere utile tutto ciò, soprattutto perché nessuno poteva dire che era una buona idea. Persino l’attuale capo dello Shin Bet ti dirà che i permessi sono una misura necessaria, ma che ci potrebbero essere misure molto più efficaci”.

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù”- Invictapalestina.org

Fonte: https://972mag.com/israel-permit-regime-palestinians-segregation/139597/?fbclid=IwAR2pZZ7wq5SkqPPdWD6EdNio3d2mHM4Q9b20OvF0w98aQH6pCG-65fT6X5k

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