LA BANDIERA PALESTINESE RISPLENDE NEL CIELO GRIGIO DI SYDNEY

Molti, a cominciare dagli Aborigeni australiani, erano lì perché sanno benissimo cosa si prova a vivere sotto occupazione.

Rossella Tisci (*) – Invictapalestina

Sydney, 30 marzo 2019  – Il 30 marzo del 1976, le forze di occupazione israeliane misero a tacere con l’unico linguaggio a loro noto, quello della violenza, la voce di diversi Palestinesi che avevano osato protestare contro l’ennesimo esproprio di terra. Sei di quelle giovani voci furono messe a tacere per sempre.

Tuttavia, è proprio da quel tentativo sionista di “mettere a tacere” che è nato il coro di voci che il 30 marzo di ogni anno condanna all’unisono Israele e le sue vergognose politiche coloniali. Un coro che si leva forte non solo in Palestina, ma in ogni parte del mondo. Anche nella lontanissima Australia. È appunto la giornata della terra (Yom al-Ard).

Il governo australiano, alleato storico degli Stati Uniti – e per proprietà transitiva di Israele – è fra i pochi ad avere riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele anche se ha affermato che non sposterà l’ambasciata da Tel Aviv fino a quando non sarà raggiunto un accordo di pace con i Palestinesi. Atteggiamento tipico australiano: una neutralità che sa di ipocrisia.

L’Australia è quel Paese dove “il razzismo non esiste” ma poi un giovane cittadino spara a 50 innocenti in Nuova Zelanda solo perché sono musulmani.

L’Australia è quel Paese dove nessun incontro pubblico inizia senza chiedere scusa agli Aborigeni espropriati delle loro terre mentre appesa a una parete c’è la foto del capitano Cook, il padre di tutti i coloni, a rimarcare che gli Aborigeni sono ancora trattati come cittadini di serie B.

L’Australia è il Paese del “fair go”, dove tutti devono poter avere accesso a eque opportunità a meno che non si tratti di un richiedente asilo. Per i richiedenti asilo – e molti altri – l’Australia è il Paese del “no way” (fuori discussione).

In questo contesto così complesso vedere i colori delle bandiere palestinesi e delle kufiyya brillare lungo le banchine del Porto di Sydney, lascia quasi sorpresi. Di sicuro ha colto di sorpresa i molti turisti che affollavano l’area.

Sotto il nero, il bianco, il verde e il rosso della bandiera palestinese si sono riunite persone di “tutti i colori”, spinte da diversi motivi verso una causa comune. Molti, a cominciare dagli Aborigeni australiani, erano lì perché sanno benissimo cosa si prova a vivere sotto occupazione. Altri perché hanno provato la discriminazione sulla loro pelle a tal punto da non poterla tollerare nemmeno sulla pelle degli altri.

Altre, in nome della solidarietà femminista, a rimarcare che la resistenza palestinese sarebbe meno forte senza le donne, impegnate a combattere su due fronti: contro la potenza occupante e contro il patriarcato.  E ovviamente c’erano i Palestinesi, con le proprie voci e i propri corpi, a gridare al mondo intero che loro (r)esistono, ovunque essi siano.

Una commemorazione del continuo esproprio di terra palestinese da parte di Israele dunque, ma anche una celebrazione delle identità, a cominciare ovviamente da quella palestinese che è indissolubile dalla Terra, si nutre di essa e al contempo la nutre.

 

(*) Rossella è una ricercatrice attualmente impegnato con l’Università di Sydney.

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