Siamo troppo deboli per fermare Israele.

Per i Palestinesi non ha importanza chi vincerà le elezioni israeliane la prossima settimana.

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di Raja Shehadeh (*)
The New York Times, 4 aprile 2019

Ramallah, Cisgiordania.

In Israele ci saranno le elezioni martedì, e le comunità palestinesi nei territori occupati non le stanno seguendo con molto interesse. Non perché chiunque venga eletto non avrà un grande impatto sulle nostre vite. È perché nessuno dei candidati di punta ha un programma per la pace. I principali contendenti si sono impegnati a mantenere gli insediamenti ebraici illegali costruiti in Cisgiordania. Non cercano la fine dell’occupazione.

Israele non ha formalmente annesso la Cisgiordania o la Striscia di Gaza, ma spadroneggia su queste terre come un potere sovrano. O peggio. Ha sequestrato le entrate fiscali all’Autorità Palestinese,che dovrebbe amministrare la Cisgiordania; tiene Gaza sotto assedio. Ordina che noi, i Palestinesi, possiamo solo guardare restando a casa i risultati di un’elezione il cui esito governerà le nostre vite e il futuro della nostra terra. Gli Ebrei israeliani che vivono in Cisgiordania sono cittadini, ma noi non lo siamo. Loro potranno entrare in Israele per votare. Noi no.

Durante le ultime elezioni israeliane, nel 2015, scrissiche i Palestinesi erano diventati meno interessati al risultato di quella competizione che alla prospettiva di intentare varie cause legali internazionali. Per quanto mi riguarda, avevo affidato le mie speranze alla preparazione di diversi reclami da portare davanti alla Corte Penale Internazionale dell’Aja. Uno di questi avrebbe impugnato la costruzione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Non mancavano le prove, pensavo, e il trasferimento di civili da parte di un governo nei territori che occupa è una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra del 1949.

Adesso penso: lasciamo stare il valore di cause di questo tipo. Con il governo degli USA che minaccia di rifiutare il visto al personale della Corte (questo, in relazione ad un altro caso che ha a che fare con sospetti crimini in Afghanistan) abbiamo davvero poche probabilità di successo.

Lo scorso mese l’amministrazione Trump ha anche riconosciuto la sovranità di Israele sulle Alture del Golan, territorio conteso che Israele ha sottratto con la forza alla Siria nel 1967. Ciò può solo incoraggiare Israele a realizzare prima o poi la formale annessione della Cisgiordania.
Israele, in parte grazie al supporto da parte degli USA, appare ora impunemente vincitore su tutti i fronti. E noi Palestinesi sembriamo troppo deboli per fermarlo.

Gli Israeliani, dal canto loro, sembrano vivere sotto l’illusione diffusa dal loro primo ministro, Benjamin Netanyahu, che il loro governo possa governare il conflitto, anzi, che in realtà non ci sia nessun bisogno di risolverlo. Tuttavia nell’arco di tempo del governo Netanyahu la situazione è passata da deprimente ad ancora più deprimente, da tempi bui a tempi più bui, da una qualche forma di speranza alla disperazione.

Eppure, a questo punto, forse sarebbe meglio per noi se la situazione fosse ancora più buia, forse quello è l’unico modo per uscirne. La mia unica consolazione nel guardare Israele percorrere la sua strada è pensare che sta danneggiando anche se stesso.

Consideriamo questi tre esempi:

  • La violenza da parte dei coloni ebrei e degli attivisti della destra contro i Palestinesi in Cisgiordania è più che triplicatalo scorso anno, rispetto al 2017.
  • Una famiglia israeliana ha costruito una casa su terra sottratta ai Palestinesi, e poi ha cercato di affittarla su Airbnb. Quando la compagnia si è rifiutata, citando la nuova politica, annunciata lo scorso anno, contro la pubblicità di case che si trovano nelle colonie, la famiglia ha intentato una causa per discriminazione negli USA. (La famiglia palestinese sta a sua volta ricorrendo).
  • La scorsa settimana una famiglia vicino al villaggio di Hizma, a nord di Gerusalemme, la cui casa si trova in un insediamento israeliano, ha scelto di distruggere la casa che possedeva da più di tre decenni piuttosto che pagare le autorità israeliane per fare quel lavoro (e venire anche multati).

Non è che ad un certo punto anche la società israeliana si accorgerà degli atroci effetti della disumanità del suo governo verso di noi?
Nel romanzo di Arundhati Roy, Il ministero della suprema felicità, uno dei suoi personaggi, Musa, dice che se gli abitanti del Kashmir non sono riusciti ad ottenere l’indipendenza dall’India, almeno nella lotta per essa hanno svelato la corruzione del sistema indiano. Musa dice al narratore del libro, un Indiano: “Voi non ci state distruggendo. Voi ci state costruendo. È voi stessi che state distruggendo”.

I Palestinesi oggi potrebbero dire lo stesso della nostra lotta con Israele.

(*)Raja Shehadeh è avvocato e autore di “Dove è tracciata la linea: Una storia di incroci, amicizie e cinquanta anni di occupazione in Israele-Palestina.”

Traduzione di Rossella Rossetto
A cura di Assopace Palestina

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