Dareen Tatour: Ero prenotata per leggere poesie insieme a Rasmea Odeh a Berlino, poi è intervenuto Israele

Secondo la legge tedesca, la critica di Israele può essere considerata un discorso di incitamento all’odio dopo che una legge del 2017 ha cambiato la definizione di antisemitismo.

di Dareen Tatour, 4 aprile 2019

 

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Il mio viaggio in Germania non è stato facile. Il mese scorso sono stata invitata a parlare a un evento, “Donne palestinesi nella lotta per la liberazione”, al fianco di Rasmea Odeh, un’attivista palestinese di 71 anni che è stata privata della sua cittadinanza americana a causa di una condanna per frode di immigrazione nel 2014, perché dieci anni prima aveva mancato di riportare una condanna nei suoi documenti di naturalizzazione. Il panel era stato organizzato in concomitanza con la Giornata internazionale della donna di Samidoun, il Palestinian Prisoner Solidarity Network e di Hirak, un’organizzazione giovanile palestinese in Germania.

Rasmea ha passato dieci anni in prigione in Israele. Nel 1969, quando era una studentessa universitaria di 21 anni, fu arrestata con l’accusa di terrorismo in una retata di oltre 500 persone, tra cui le sue due sorelle, una delle quali paralizzata, e suo padre. Confessò, ma dice che la confessione fu fatta sotto tortura. Afferma di essere stata torturata con scariche elettriche, violentata e di nuovo violentata durante l’interrogatorio, durato 45 giorni. Suo padre nel 1979 raccontò una scena orribile al Sunday Times. A un certo punto gli interrogatori lo portarono in una stanza dove c’era Rasmea, ammanettata e nuda, e minacciarono di costringerlo a violentarla. Davanti al suo rifiuto gli interrogatori la aggredirono sessualmente davanti a lui con un bastone.

Dopo aver confessato ritrattò, tuttavia nel 1970 fu condannata con l’accusa di aver pianificato attentati che avevano ucciso 2 persone e ferite 9, e per appartenenza a un’organizzazione vietata, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina o FPLP. Fu condannata a due ergastoli in un tribunale militare israeliano, un sistema con un tasso di condanne del 99,7% di cui Human Rights Watch dice che operi in mancanza di un giusto processo e violi la legge internazionale. Nel 1980, dopo essere stata rilasciata con uno scambio di prigionieri, rese testimonianza della sua presunta tortura alle Nazioni Unite e ad Amnesty International.

Non ho mai avuto modo di parlare con Rasmea all’evento, perché la polizia tedesca le ha proibito di parlare e revocato il suo visto dopo le denunce di funzionari israeliani.

Prima di arrivare a Berlino, sono iniziate le mie personali difficoltà.

Quando sono arrivata all’aeroporto Ben-Gurion a Lod per partire per l’Europa, il primo passo del mio viaggio è iniziato con segregazione, discriminazione razziale e classificazione. Poi un’indagine, domande e il mio monitor di sicurezza privato che mi ha seguito ovunque, qualsiasi cosa abbia fatto. Anche solo per andare a comprare una bottiglia d’acqua, sono stato seguita.

Il mio passaggio attraverso la sicurezza dell’aeroporto è stata lunga e amara e la perquisizione è andata avanti per tre ore e mezza.

Invictapalestina sostiene Edizioni Q

Il mio viaggio dentro questo viaggio si è rivelato essere qualcosa di simile a un’indagine di polizia. Mi sono sentita come se fossi di nuovo nella stanza degli interrogatori in prigione e non all’aeroporto! L’accusa contro di me questa volta era soltanto essere una passeggera palestinese all’aeroporto Ben Gurion e essere stata imprigionata una volta per aver scritto un poema.

Non sono mai passata per il controllo di sicurezza di routine attraverso cui passano i passeggeri perché, come con mia sorpresa ho appreso da una dipendente della sicurezza aeroportuale, sarei dovuta andare con lei per un’ispezione speciale. Dopo aver preso il mio passaporto e avergli piazzato sopra un adesivo giallo, ho dovuto mettere degli adesivi gialli anche sulle mie borse. Poi mi ha chiesto: “C’è un’arma nella tua borsa?” Ho risposto: “Ci sono solo poesie e vestiti.” Dopo mi ha portato in una stanza semi-chiusa per dare inizio al mio viaggio con domande e risposte e con la perquisizione della mia borsa. Poi ha perquisito il mio corpo e alla fine c’è stata una perquisizione svestita.

Dopo aver subito solo discriminazioni razziali ed etniche, senza altri passeggeri nelle vicinanze, ho lasciato l’area di perquisizione e investigazione con solo otto minuti per arrivare al mio aereo prima che decollasse. Finalmente sono arrivata a Berlino.

Nel frattempo, a Berlino, il Senato della città aveva vietato la partecipazione di Rasmea all’evento, sotto la pressione del governo israeliano a detta dello stesso ministro della Pubblica sicurezza israeliano Gilad Erdan. Erdan, che ha ripetutamente tentato di collegare attivisti palestinesi impegnati nel boicottaggio contro Israele al “terrorismo”, ha rivelato che l’ambasciatore israeliano in Germania era coinvolto nella cancellazione insieme a “un gran numero di organizzazioni ebraiche”. Anche l’ambasciatore di Washington in Germania ha parlato contro la programmata presenza di Rasmea. Ha detto al quotidiano tedesco Bild che l’evento dava a “una terrorista palestinese condannata per omicidio e terrorismo… una piattaforma pubblica che legittima l’antisemitismo in un momento in cui dovremmo condannarlo”, ha riferito Deutsche Welle.

Secondo la legge tedesca, la critica di Israele può essere considerata un discorso di incitamento all’odio dopo che una legge del 2017 ha cambiato la definizione di antisemitismo.

La cancellazione dell’intervento di Rasmea dall’evento sembrava chiudesse la vicenda visto che la polizia tedesca indicava che si poteva continuare senza la sua partecipazione.

Prima dell’evento, via Facebook, ho ricevuto diverse lettere di incitamento contro di me e la mia partecipazione. Le minacce sono persino arrivate a minacce di morte e di stupro nel caso avessi partecipato alla lettura di un discorso. Tra i tanti messaggi i più violenti sono stati: “Il tuo terrore non passerà attraverso la Germania”, “Terrorista, la morte è il tuo destino”, “Sarei la persona più felice se potessi violentarti e buttarti in mare per salvare Israele dal tuo terrore”, “Lo stupro è la migliore risposta al tuo terrore” e “Un proiettile spezza la tua voce”.

 

Rasmea Odeh a Berlino. (Foto: Dareen Tatour)

 

Il 15 marzo, il giorno dell’evento, mi aspettavo ancora un confronto con Rasmea in cui ognuna di noi avrebbe parlato delle proprie esperienze in prigione, delle fasi della lotta delle donne palestinesi e delle condizioni delle donne palestinesi prigioniere.

Dovevo parlare di crimini della polizia come donna palestinese durante gli interrogatori in carcere e parlare delle pratiche illegali di Israele contro di me e altre prigioniere palestinesi. Dovevo anche leggere alcune delle mie poesie.

Quando sono arrivata alla sala eventi, sono rimasta sorpresa da qualcos’altro. La sede era stata vandalizzata con graffiti.

Poi la polizia tedesca è intervenuta e ha annullato del tutto l’evento perché un pericolo per la sicurezza pubblica, secondo la loro affermazione, e hanno subito portato tutti fuori dalla sala. Ci hanno fatto stare in strada al freddo e sotto la pioggia.

Fuori si era radunata una grande folla. Più di un centinaio di persone sosteneva l’evento, mentre decine di manifestanti filo-israeliani si erano radunati, organizzati da un attivista sionista della destra locale. Per strada, senza una pianificazione e spontaneamente, abbiamo organizzato una manifestazione contro queste pratiche razziste e la politica di mettere a tacere le bocche dei palestinesi in Germania.

In tutto questo, Rasmea è stata quella che ha ricevuto gli attacchi più violenti. È stata portata alla più vicina stazione di polizia e la polizia le ha consegnato un file contenente quasi 50 pagine piene di bugie prese in prestito dai media tedeschi, dai gruppi di difesa di destra e dai media israeliani che spiegano la sua vita e attività. Inoltre le è stato consegnato un ordine che le impediva di partecipare a qualsiasi attività politica o riunione e a qualsiasi impegno oratorio quel giorno. L’ordine revocava anche il visto di zona Schengen per l’Europa, con effetto al più tardi il 22 marzo 2019. Le è stato confiscato il passaporto e detto di presentarsi a un ufficio di registrazione straniera la settimana successiva.

E’ stato un vero peccato che il governo tedesco abbia affrontato il problema in questo modo, ascoltando solo un partito senza dare a noi palestinesi l’opportunità di spiegare i motivi del panel e lo scopo della sua istituzione. E non hanno nemmeno pensato di chiedere a noi partecipanti delle molestie che abbiamo vissuto.

È una sensazione dolorosa quando un evento culturale o politico a cui avrei dovuto partecipare, in particolare a Berlino, viene cancellato. Questo è particolarmente vero per il fatto che ho sofferto molto per le sistematiche politiche legate all’occupazione della Palestina e per le costanti pressioni del Ministero della Cultura israeliano sulle istituzioni culturali. Sempre più spesso in Israele opere artistiche e culturali vengono dichiarate canali per il terrorismo che lo Stato deve abolire. Non avrei mai immaginato per un solo momento che avrei rivissuto sentimenti di sanzione artistica, o qualsiasi tipo di incitamento alla violenza contro di me, anche in Europa. Né che avrei assistito alla cancellazione del visto a una donna solo perché stava per parlare su un palco di un’esperienza che aveva già raccontato alle Nazioni Unite circa 40 anni fa.

Sono tornata in Palestina perché dopo questa dimostrazione spontanea non avevo più nulla da fare in Germania. Ma Rasmea è rimasta in Germania e ha deciso di combattere e appellarsi alla decisione di espellerla in questo modo apparentemente illegale.

È stata sottoposta a posizioni molto razziste in seguito alla proliferazione della propaganda, anche dal Partito dei Verdi in Germania, un gruppo che presumibilmente sostiene libertà, giustizia, umanità e diritti umani, tranne che per i palestinesi. Una campagna online si è svolta in inglese e in tedesco per chiedere a Berlino di cancellare l’evento, compresi post realizzati da un progetto di social media gestito dal governo israeliano, 4iL.

Con l’appello di Rasmea nei lavori, un gruppo di attivisti di solidarietà con il suo caso ha deciso di darle la possibilità di parlare e difendersi. Hanno tenuto un evento ufficiale il 28 marzo a Berlino, L’evento è stato supportato da Samidoun Palestinian Prisoner Solidarity Network, Berlin Muslim Feminists, Bündnis gegen Rassismus, Hirak, The Coalition Berlin, Bloque Latinoamericano Berlin, Brot und Rosen organizzazione internazionale socialista femminile, Revolutionäre Internationalistische Organizzazione – Klasse Gegen Klasse, Berlin Against Pinkwashing, Jüdische Stimme für gerechten Frieden in Nahost (Jewish Voice for a Just Peace), RefrACTa Kollektiv Brasilien-Berlin, BDS Berlin e il collettivo femminista Kali.

Nonostante tutte le restrizioni, Rasmea è stata in grado di parlare e urlare in presenza di decine di sostenitori. Usando una scappatoia legale, non ha partecipato personalmente ma una sua registrazione è stata visualizzata su uno schermo. Il pubblico ha ascoltato la sua voce senza che fosse necessaria la sua presenza e senza violare nessuno dei divieti imposti dalle autorità tedesche. La polizia è arrivata sul posto alla ricerca di Rasmea e non l’ha trovata. Sono stata molto felice quando ho ricevuto questa notizia e per il fatto che Rasmea è stata in grado di far sentire la sua voce nonostante tutta la pressione. Perché la sua voce è la voce di ogni palestinese.

 

Dareen Tatour è una poetessa, fotografa, attivista dei social media e cittadina palestinese di Israele di Reineh. Dareen ha trascorso quasi tre anni in carcere e agli arresti domiciliari. È stata condannata nel maggio 2018 con l’accusa di istigazione e sostegno a organizzazioni terroristiche dopo aver pubblicato il suo poema “Resist, My People, Resist Them” sui social media.

 

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

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