Come Israele insegna ai suoi ragazzi a odiare

Proprio come i bianchi sudafricani, gli ebrei israeliani non rinunceranno mai volontariamente alla loro posizione privilegiata di coloni

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di Asa Winstanley, 26 luglio 2019 – Aggiornamento 3 agosto ore 12.10

L’importante studio dell’accademica dissidente Nurit Peled-Elhanan, “Palestina nei libri di scuola israeliani”, è una lettura essenziale per chiunque voglia comprendere alcune importanti realtà sullo stato israeliano e sulla società israeliana.

Come entità di insediamento colonico-coloniale, il vero cambiamento non potrà mai provenire dalla società israeliana. Deve essere imposto dall’esterno. Proprio come i bianchi sudafricani, gli ebrei israeliani non rinunceranno mai volontariamente alla loro posizione privilegiata di coloni.

L’apartheid sudafricano è stato sconfitto dalle masse del Sudafrica (con il sostegno di alcuni dissidenti bianchi) e dai loro leader politici, in alleanza con una campagna di solidarietà globale.

Allo stesso modo, l’apartheid israeliano sarà sconfitto dalla lotta palestinese. Questa lotta è sostenuta da una minoranza di dissidenti israeliani e dal movimento internazionale di solidarietà – in particolare il movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS).

Il libro di Peled-Elhanan è il risultato di un importante studio fatto su 17 libri scolastici israeliani di storia, geografia e educazione civica. Come si può vedere da quello che dice nell’intervista qui sopra, è pervenuta ad alcune tristi conclusioni.

Quand’anche menzionano i palestinesi, i libri di testo ufficiali di Israele insegnano un ‘discorso razzista’, che cancella del tutto letteralmente la Palestina dalla mappa. Le mappe nei libri di scuola mostrano sempre e soltanto ‘la terra di Israele’, dal fiume al mare.

Spiega che nessuno dei libri di scuola includeva “un qualsiasi aspetto culturale o sociale positivo del mondo palestinese: né la letteratura o la poesia, né la storia o l’agricoltura, né l’arte o l’architettura, né i costumi o le tradizioni vengono mai menzionati”.

Le rare volte in cui vengono ricordati i palestinesi, viene fatto in un modo straordinariamente negativo e stereotipato: “tutti [i libri] rappresentano [i palestinesi] con icone razziste o immagini umilianti che li catalogano come terroristi, rifugiati e agricoltori primitivi – i tre ‘problemi’ che loro costituiscono per Israele”.

Conclude che i libri di testo dei bambini “presentano la cultura ebraico-israeliana come superiore a quella arabo-palestinese, concetti di progresso ebraico-israeliano superiori allo stile di vita arabo-palestinese e comportamento israeliano-ebraico in linea con valori universali”.

Tutto questo è esattamente il contrario della narrazione stereotipata e fuorviante fatta dei libri di scuola dei bambini in Palestina. I libri stampati dall’Autorità Palestinese dagli anni ’90 sono spesso descritti nella demonologia anti-palestinese come portatori delle peggiori calunnie antisemite sul popolo ebraico.

Nel suo complesso, questa narrazione è una rozza fabbricazione istigata da gruppi di propaganda anti-palestinese, come quella condotta dal colono israeliano Itamar Marcus e dal suo “Palestinian Media Watch”.

Il libro di Peled-Elhanan demolisce in modo esauriente un secondo, complementare mito israeliano: che gli israeliani – al contrario degli ignobili palestinesi – invece “insegnano ad amare il tuo vicino”, per citare l’ex ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni, criminale di guerra.

 

 

Sette anni fa, quando il libro di Peled-Elhanan è stato pubblicato, avvertiva che, contrariamente alle speranze liberali di cambiamento all’interno della società israeliana, le cose si stavano muovendo ‘indietro e al contrario’ e che i libri di testo di allora erano poco più che ‘manifesti militari’.

“Abbiamo tre generazioni di studenti che non sanno nemmeno dove sono i confini,” tra la Cisgiordania e il resto della Palestina storica, si disperava nell’intervista qui sopra, registrata nel 2011.

Sette anni dopo la pubblicazione del libro, le cose vanno solo progressivamente peggiorando.

Lo si può vedere nel video che è circolato sui social media questa settimana in cui giovani soldati israeliani festeggiavano e applaudivano dopo aver demolito con la dinamite case palestinesi a est di Gerusalemme. Quegli stessi soldati sono un prodotto del sistema educativo israeliano.

Aggiornamento: inserito un video precedentemente tradotto e diffuso da Invictapalestina.

L'educazione all'odio.

Pubblicato da Invictapalestina su Giovedì 11 maggio 2017

Come la violenta oppressione israeliana di un intero popolo autoctono diventa sempre più evidente agli occhi del mondo, così l’opinione pubblica si sta spostando sempre più contro Israele, anche tra gli elettori e la base attivista del Partito Democratico negli Stati Uniti che prima lo sostenevano.

Dato che Israele può contare sempre meno sul supporto esterno, diventa sempre più importante per lo stato dell’apartheid andare all’attacco e assicurarsi che alla prossima generazione di coloni e soldati venga inculcata l’ideologia ufficiale dello stato israeliano: il sionismo.

Il mese scorso è emerso che Israele ha iniziato a richiedere a tutti gli studenti delle scuole superiori – compresi quei palestinesi che sono ‘cittadini’ di seconda classe di Israele – di superare un corso di propaganda governativa online prima di poter partecipare a viaggi all’estero.

Secondo il gruppo palestinese per i diritti umani Adalah, il corso “promuove un’ideologia razzista”, facendo il lavaggio del cervello agli studenti con il mito che i palestinesi sono dei selvaggi intrinsecamente violenti.

Adalah dice che viene posta la domanda: “In che modo le organizzazioni palestinesi utilizzano i social network digitali?” La risposta richiesta è “incoraggiando la violenza”.

“Un’altra domanda chiede agli studenti di individuare le origini dell’antisemitismo moderno”, spiega Adalah. “La risposta corretta dell’esame è ‘le organizzazioni musulmane’ e il movimento BDS.”

In questo modo, Israele sta insegnando ai suoi ragazzi a odiare: odiare i palestinesi, odiare i musulmani, odiare gli arabi in generale e odiare chiunque sostenga o si alzi in loro solidarietà contro l’oppressione.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

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