No, la vita durante il coronavirus non è come a Gaza.

Un post è diventato virale sui social media, in cui si chiede: “Caro mondo, come va il blocco?” Firmato: Gaza.

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Nada Elia –  19 marzo 2020

Immagine di copertina: una ragazza palestinese accende una candela all’interno della sua casa durante un’interruzione di corrente a Jabalya, nel nord della striscia di Gaza, il 17 novembre 2013. (Foto: REUTERS / Mohammed Salem)

Sui social media è diventato virale un post  in cui si chiede: “Caro mondo, come va il blocco?” Firmato: Gaza. ” Il suggerimento è che le persone in Italia, Spagna, Francia o Stati Uniti, ora sappiano come vivono i palestinesi a Gaza. Il post è stato persino condiviso da palestinesi della stessa Gaza, nonché da arabi in varie parti del mondo. Scrivendo delle nuove restrizioni imposte ai viaggi e ai raduni in Europa, nonché della terribile realtà degli ospedali italiani dove a causa di mancanza di posti e di apparecchiature è necessario fare un triage dei pazienti, Ahmed Abbas si è chiesto: “Come posso non pensare a Gaza?”

Parlando per me, e parlando come qualcuno che pensa molto a Gaza, posso dirlo: vivo appena fuori Seattle, l’epicentro americano dell’epidemia COVID-19, e mi inserisco nella categoria ad alto rischio, dal momento che soffro d’asma, così come di ipertensione arteriosa, considerata come circostanza aggravante, poiché un numero  molto alto di vittime apparentemente aveva anche l’ipertensione. Sono in auto-quarantena e ho fatto scorte: riso integrale, lenticchie e ceci, essenziali per la mia dieta vegana. Tuttavia, mentre comprendo l’impulso di ricordare al mondo che Gaza è sottoposta a un blocco da tredici anni, ho trovato snervante il meme che confronta le mie attuali circostanze con l’assedio di Gaza e mi sento costretta a sottolineare alcune differenze significative, a cui anche Abbas allude in realtà.

Ho ancora elettricità. Ciò significa che non sto leggendo a lume di candela, la mia connessione Internet è attiva 24 ore al giorno, il mio frigorifero funziona, così come tutti i miei elettrodomestici, dalla lavastoviglie al microonde. Significa anche che il mio congelatore è pieno, quindi mentre potrei rimanere senza verdure fresche, ho degli spinaci surgelati. Durante questa pandemia, mi aspetto di avere sempre l’elettricità.

Possiamo parlare di acqua? L’acqua è vitale no? Posso far scorrere l’acqua per tutto il tempo che voglio mentre mi lavo le mani. Questa mattina mi sono immersa in una vasca da bagno. L’acqua a Gaza non è potabile , ed è essa stessa portatrice di germi e malattie.  Molti studi “predicono” che entro il 2020 Gaza sarà invivibile a causa del livello di inquinamento e di contaminazione delle acque. E sì, siamo già nel 2020.

Non sarò colpita da un cecchino solo per essere uscita da casa mia. Anche nei casi più severi di quarantena, le persone possono ancora arrivare in ospedale. A Gaza, gli ospedali sono a malapena funzionanti, privi di forniture di base. Ottenere un “permesso umanitario” da Israele per  farsi curare al di fuori della Striscia assediata è un processo tortuoso, così  lungo che i pazienti a volte muoiono in attesa del permesso. Se lo ottengono, a volte i bambini piccoli possono andarsene, ma senza la rassicurante compagnia dei genitori.

Posso lavorare da casa. La maggior parte dei datori di lavoro chiede ora ai dipendenti che ne hanno la possibilità di lavorare online e, sebbene ciò non sia l’ideale, è un’opzione. Non voglio minimizzare la gravità della crisi negli Stati Uniti e so che nel settore dei servizi molti non possono lavorare da casa, così come milioni di persone perderanno il loro reddito. Gli Stati Uniti non hanno una rete di sicurezza, nessuna assistenza sanitaria universale e le malattie sono la principale causa di fallimento. Ma faccio anche presente che a Gaza il settanta percento della popolazione è disoccupata.

Negli Stati Uniti gli scenari allarmistici parlano di settimane di distanza sociale. Siamo sconcertati dal fatto che non siamo ancora in grado di riprogrammare a una data specifica gli eventi rinviati. Gaza è sotto un assedio medievale da 13 anni, senza alcun cambiamento in vista.

Un’altra differenza fondamentale sta nel fatto che nessuno incolpa Seattle, o la Bay Area, di essersi “portato” il virus in casa . Nella dicotomia buoni-cattivi, COVID-19 è il cattivo, e le persone che si ammalano sono i  buoni innocenti, che non meritano di morire. Anche se sono stati irresponsabili, anche se hanno viaggiato, festeggiato, abbracciato e non si sono lavati le mani. La popolazione di Gaza invece viene spesso presentata come se avesse in qualche modo causato essa stessa l’assedio. Nonostante le violazioni di Israele del diritto internazionale e dei diritti umani dei rifugiati palestinesi, Israele è ancora, agli occhi di molti, “il bravo ragazzo” che si difende dai palestinesi. Sentiamo ancora, ancora e ancora, che la vera ragione per cui Gaza è sotto un assedio che è stato definito come un genocidio è “Hamas”. Come se, non fosse stato per Hamas, Israele avrebbe permesso ai rifugiati di tornare nelle loro case e terre rubate.

E l’ultimo elemento di questo paragone tra realtà diverse? Oltre all’assedio, agli scaffali già vuoti, all’impossibilità di viaggiare, alla povertà, alla disoccupazione, alla contaminazione dell’acqua e del suolo e alla mancanza delle necessità di base, Gaza deve ora affrontare la minaccia del coronavirus. La scorsa settimana, Israele ha autorizzato l’ingresso a Gaza di 200  kit di test, per una popolazione di due milioni di persone, e lo ha fatto perché, secondo le parole del comandante israeliano per il Coordinamento Israeliano delle Attività Governative nei Territori, “Prevenire la diffusione del coronavirus nella Striscia di Gaza, così come la prevenzione di uno scoppio dello stesso nei territori della Giudea e della Samaria, è di fondamentale interesse israeliano ”. L’articolo da cui proviene questa rivoltante citazione, intitolato “Il Coronavirus renderà tranquilla la Striscia di Gaza”, illustra perfettamente la totale disumanizzazione dei palestinesi da parte di Israele,  che vede la malattia mortale come un’opportunità in quanto a causa sua la gente di Gaza  potrebbe dover cessare di affermare i propri  diritti attraverso le proteste alla barriera di separazione.

Quindi, per favore, smettiamo di far circolare il post “Dear World”. È offensivo confrontare la nostra situazione con quella dei palestinesi assediati a Gaza.

 

Nada Elia è un’attivista e scrittrice palestinese che attualmente sta completando un libro sull’attivismo della diaspora palestinese.

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org

 

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