Le eredità coloniali della Gran Bretagna e le promesse non mantenute

Nel rivendicare la responsabilità morale dei residenti di Hong Kong, la Gran Bretagna avrebbe da tempo potuto fare lo stesso per i palestinesi espropriati che, significativamente, non reclamavano il diritto di stabilirsi in Gran Bretagna, ma il diritto di tornare nelle loro case.

Fonte: Versión Española

Daud Abdullah  –  25 luglio 2020

Immagine di copertina: Manifestanti a Downing Street durante una protesta contro il trattamento dei palestinesi da parte di Israele  – Londra, Regno Unito, il 15 maggio 2018 [Yunus Dalgic / Anadolu Agency ]

Il drastico cambiamento della politica britannica nei confronti della Cina è stato sostenuto da due motivazioni . La violazione da parte di  Pechino degli obblighi previsti dal trattato internazionale a Hong Kong e, in secondo luogo, le sue gravi violazioni dei diritti umani contro la minoranza  uigura nella provincia dello Xinjiang.

Vista da Londra, la legge cinese sulla sicurezza nazionale introdotta a Hong Kong ha costituito un ulteriore passo avanti. I suoi ampi poteri sono visti come una minaccia alla formula “un Paese, due sistemi” che prometteva agli abitanti del territorio  di mantenere le loro libertà sociali ed economiche.

Al momento della consegna nel luglio 1997, Hong Kong cessò di essere una colonia britannica. La sovranità  cinese venne ripristinata e la ex colonia britannica divenne una regione amministrativa speciale con ampi poteri di autonomia.

La Gran Bretagna non ha semplicemente condannato il nuovo Security Act. Il primo ministro Boris Johnson ha offerto a circa tre milioni di residenti di Hong Kong l’opportunità di stabilirsi nel Regno Unito e successivamente acquisire la cittadinanza britannica.

In questo caso, i residenti di Hong Kong possono essere considerati in qualche modo privilegiati rispetto alla “generazione Windrush” che arrivò in Gran Bretagna dai Caraibi tra il 1948 e il 1973. Dei 550.000 che arrivarono come ex sudditi  britannici per ricostruire il Paese, si stima che ancora oggi ce ne siano circa 50.000 il cui status non è mai stato regolarizzato. Non avendo diritti legali, molti sono stati arrestati o espulsi.

La diaspora caraibica verso la Gran Bretagna coincise con l’espulsione di 850.000 palestinesi dalla loro patria. John Dugard, il noto giurista sudafricano, ha sostenuto che la tragedia nazionale palestinese è stata una diretta conseguenza del tradimento britannico della “sacra fiducia” in Palestina. Secondo i termini del mandato conferito dalla Società delle Nazioni nel 1920, la Gran Bretagna accettò una “sacra fiducia” per aiutare il popolo palestinese a realizzare la propria aspirazione a uno stato democratico e indipendente. Quella missione ad oggi rimane incompiuta.

Dal 1948, la Gran Bretagna ha avuto molte opportunità per poter rimediare alle sue ingiustizie storiche in Palestina. Nel rivendicare la responsabilità morale dei residenti di Hong Kong, avrebbe da tempo potuto fare lo stesso per i palestinesi espropriati che, significativamente, non reclamavano il diritto di stabilirsi in Gran Bretagna, ma il diritto di tornare nelle loro case. Che si tratti  di violazione dei trattati internazionali o di violazione dei diritti umani, la risposta della Gran Bretagna agli abusi israeliani non è mai andata oltre il rimprovero verbale. Tuttavia, nelle rare occasioni in cui ciò si è verificato,questi non sono mai stati accompagnati da avvertimenti espliciti e quindi da gravi conseguenze. Pertanto, mentre la legge cinese sulla sicurezza determinato gravi conseguenze, il piano di Israele di annettere la terra palestinese è stato semplicemente considerato illegale e inaccettabile.

Sulla questione specifica dei diritti umani, non è andata meglio per i palestinesi. Anni di richieste di protezione internazionale sono state ignorate, nonostante l’ampio catalogo di violazioni dei diritti umani. Sono passati esattamente dieci anni da quando l’ex primo ministro britannico David Cameron descrisse la Striscia di Gaza come un “campo di prigionia”. Dopo aver condannato il blocco del territorio, dichiarò  che “Gaza non può e non dovrebbe essere permesso  che rimanga un campo di prigionia”. Sebbene i successivi governi britannici abbiano chiesto la fine del blocco, nessun altro primo ministro, prima o dopo Cameron, è stato così esplicito e duro nel descrivere la Striscia di Gaza.

Fumo e polvere dopo un attacco aereo israeliano a Gaza l’8 luglio 2014 [SAID KHATIB / AFP via Getty Images]
Tuttavia, quando si parla di Palestina, i politici occidentali sembrano avere poca memoria. Così, nel gennaio 2020 hanno ricordato la tragedia di Gaza, quando un gruppo di vescovi cattolici provenienti dall’Europa e dal Nord America hanno visitato la Striscia. Al loro ritorno, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta deplorando la “profonda crisi umanitaria” a cui avevano assistito e confermando il fatto che Gaza era diventata una “prigione a cielo aperto”.

Che si tratti di campi di prigionia, carceri a cielo aperto o campi di concentramento, nessuna persona dovrebbe essere soggetta a tale trattamento a causa della sua razza, religione o colore. L’intervento del Primo Ministro Johnson a nome dei musulmani uiguri è certamente ben accetto; ma non deve limitarsi a loro. Deve anche riconoscere la terribile sofferenza inflitta ai due milioni di palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza. Dopotutto, la loro umanità è inestimabile e sacrosanta tanto quanto quella del popolo uiguro.

Se non fosse stato per il suo passato coloniale, la Gran Bretagna non sarebbe stata coinvolta in questo continuo confronto diplomatico con la Cina. Dopo la restituzione di Hong Kong alla Cina nel 1997, fu preso l’impegno nei confronti dei residenti del territorio che l’accordo “uno stato, due sistemi” avrebbe preservato la democrazia liberale e garantito le loro libertà. Oggi  i residenti chiedono che la Gran Bretagna mantenga le sue promesse.

All’altra estremità del mondo, impegni simili  furono assunti nei confronti del popolo palestinese. Innanzitutto, nella Dichiarazione Balfour, nella quale si sosteneva che non sarebbe stato fatto nulla che avrebbe leso i diritti civili e religiosi dei palestinesi. E in secondo luogo, nell’accettare la “sacra fiducia della civiltà” per condurli all’autodeterminazione e all’indipendenza. Entrambe le promesse non sono ancora state mantenute.

Chiaramente, se il Primo Ministro Johnson vuole convincere il mondo di essere veramente impegnato nei diritti umani, deve immediatamente adempiere alle responsabilità storiche della Gran Bretagna non solo verso Hong Kong, ma anche verso la Palestina.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale del Monitor de Oriente.

Il Dr. Daud Abdullah è il direttore del Middle East Monitor

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org

 

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