Un grido queer di libertà: incontro con i palestinesi LGBTQ che chiedono la liberazione

Centinaia di queer palestinesi hanno protestato la scorsa settimana dopo un anno turbolento per la comunità, costretta a navigare tra l’omofobia e il razzismo anti-palestinese.

Fonte: English version

Lilach Ben David – 2 agosto 2020

Immagine di copertina: Centinaia di palestinesi hanno protestato ad Haifa contro la violenza omofoba in seguito alla pugnalata inferta  a un adolescente transessuale a Tel Aviv la scorsa settimana. 1 agosto 2019. (Oren Ziv / Activestills.org)

È successo tutto senza alcun coordinamento. All’improvviso, tutti e 150 i manifestanti erano per strada: lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e i loro sostenitori. Tutti orgogliosamente palestinesi, in marcia dalla  German Colony di Haifa ai giardini Baha’i. “Un grido queer di libertà”, scandivano.

Coraggiosa e bella, la manifestazione, che ha avuto luogo lo scorso mercoledì ed è stata organizzata dall’organizzazione queer palestinese alQaws, ha aperto un nuovo capitolo nel discorso interno palestinese sui diritti dei palestinesi LGBTQ.

“Si dice lontano dagli occhi, lontano dal cuore: guarda, siamo in tutta la Palestina”,  gridavano i manifestanti.

Gli organizzatori della protesta non erano interessati a parlare con i media israeliani, tra cui +972 Magazine. È un eufemismo dire che la loro esperienza con i media israeliani è stata negativa. E inoltre, il loro messaggio non era rivolto ai lettori ebrei israeliani. I simboli, gli slogan e i discorsi – persino i volantini di protesta – erano tutti in arabo.

La protesta non è stata innescata da un singolo accadimento, ma è stata piuttosto una manifestazione di forza in risposta a una serie di eventi che hanno avuto un forte impatto sulla comunità LGBTQ in Palestina e nel resto del mondo arabo. Alcuni degli eventi più recenti però, come il voto della Joint List al disegno di legge che mette al bando la “terapia di conversione” e il contraccolpo seguito alla decisione di un’importante fabbrica di tahina palestinese di donare a un’organizzazione israeliana per i diritti LGBTQ,sono ancora controversi nella comunità  queer palestinese, e quindi erano quasi del tutto assenti dal messaggio delle proteste.

Per comprendere la dimostrazione di mercoledì e l’evoluzione del discorso palestinese in merito ai diritti LGBTQ, ho parlato con tre attiviste indipendenti disposte ad analizzare il significato di questo momento.

Bandiere arcobaleno a Kafr Yasif

È stato un anno turbolento per la comunità palestinese LGBTQ e per il Medio Oriente in generale . Nel luglio 2019, un’adolescente araba queer è stata pugnalata dal fratello fuori dal centro Beit Dror per i giovani LGBTQ di Tel Aviv. Settimane dopo, gli attivisti hanno organizzato la prima protesta palestinese LGBTQ ad Haifa. Da quel momento, l’Autorità Palestinese iniziò a prendere di mira alQaws, vietando all’organizzazione di operare in Cisgiordania.

Nel maggio di quest’anno, il famoso attore egiziano Hisham Selim ha elogiato pubblicamente il figlio transgender, Nour. Lo stesso mese, Ayman Safieh, un ballerino di talento e membro di spicco della comunità queer palestinese, è annegato in una spiaggia a sud di Haifa. A giugno, Sara Hegazy, sostenitrice dei diritti LGBTQ in Egitto, si è tolta la vita. Hegazy aveva ottenuto asilo in Canada dopo essere stata imprigionata e torturata dalle autorità egiziane per aver sventolato la bandiera arcobaleno durante un concerto di Mashrou’ Leila al Cairo.

L’attivista politica egiziana Sarah Hegazy. (Humena for Human Rights and Civic Engagement / CC BY-SA 4.0)

“Nell’ultimo anno, abbiamo iniziato a parlare dei membri della comunità queer al passato”, afferma Rauda Morcos, un’avvocatessa per i diritti umani che ha aiutato a fondare Aswat, la prima organizzazione palestinese per donne queer palestinesi. “Dal momento che siamo una piccola comunità ancora in crescita, è una cosa che prima non era mai successa. Prima di Ayman [Safieh], c’era stata Maya Haddad (una donna trans morta  suicida lo scorso gennaio, un anno dopo essere sopravvissuta a un tentato omicidio), e dopo di lei c’è stata Nada Zaituni, una meravigliosa attivista egiziana morta di cancro all’età di 30 anni. ”

Morcos ha osservato che il funerale di Safieh ha mostrato un cambiamento positivo nel modo in cui la comunità palestinese  considera i suoi membri LGBTQ. Accanto alla richiesta di seppellire i palestinesi queer in cimiteri separati, non si  è potuto ignorare il fatto che il funerale “sembrava un Pride”.

“Credo che lo spirito di Ayman  abbia potuto percepire l’amore delle centinaia di persone che erano venute a e da Kafr Yasif (dove vive la sua famiglia). E’ stato  giusto che il giorno del suo funerale le bandiere arcobaleno  abbiano sventolato in tutta la città, ma non  avremmo potuto darlo per scontato “, afferma Morcos.

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Nelle ultime due settimane,  il dibattito  sui Palestinesi LGBTQ è diventato ancora più acceso dopo che Julia Zaher, la proprietaria della fabbrica di tahina Alarz, con sede a Nazareth, ha fatto una donazione a The Aguda, la task force israeliana LGBTQ. Le reazioni  sono state diverse. I membri conservatori della comunità palestinese hanno boicottato Alarz e hanno esortato altri a seguire l’esempio. Alcune organizzazioni queer palestinesi hanno visto la donazione come una trovata pubblicitaria rivolta ai clienti ebrei (da allora le vendite di Alarz Tahini sono effettivamente aumentate, nonostante le richieste di boicottaggio), e ritenevano che Zaher avrebbe dovuto sostenere un’organizzazione palestinese. Poi c’è chi sostiene pienamente Zaher e le sue decisioni.

Il rispetto non verrà dalla Knesset

“Anche se non sono d’accordo con le azioni di Julia Zaher, si può vedere come la comunità ha risposto”, afferma Nisreen Mazzawi, attivista femminista, ricercatrice di scienze sociali all’Università di Haifa e co-fondatrice di Aswat. “Molti palestinesi hanno difeso la sua decisione, compresi attivisti famosi e personaggi pubblici”.

“Non credo che questo sarebbe stato possibile 20 anni fa, ed è un segno di successo”, continua Mazzawi. “Questi sostenitori non sono apparsi dal nulla. Sono il risultato di 20 anni di lavoro che organizzazioni come Aswat e alQaws, nonché organizzazioni LBGTQ nel mondo arabo, hanno svolto, ”

Alla fine di luglio, un disegno di legge contro la terapia di conversione  è stato approvato alla Knesset in un’audizione preliminare. Dei rappresentanti della Joint List solo tre, Ayman Odeh, Aida Touma-Sliman e Ofer Cassif, tutti del partito Hadash di sinistra, hanno votato a sostegno del disegno di legge, mentre tutti e quattro i  rappresentanti del movimento islamico hanno votato contro. Due deputati di Hadash e tutti i parlamentari dei partiti Balad e Ta’al  non si sono presentati a votare.

Touma-Sliman è nota per il suo coraggioso sostegno alla comunità palestinese LGBTQ dal 2007, quando Aswat organizzò una conferenza per le lesbiche palestinesi. Ha anche parlato con i media arabi del suo supporto  al disegno di legge e più in generale  ai diritti dei queer.

MK Aida Toma Sliman at the Eli Horowitz Conference for Economy and Society, held by the Israel Institute of Democracy, in Jerusalem, on June 19, 2018. Photo by Yossi Zeliger/Flash90

Ma la libertà per i palestinesi LGBTQ  “non verrà dalla Knesset o dalle leggi lì emanate”, afferma Mazzawi. “Il dibattito sulla legge sulla terapia di conversione è un dibattito interno ebreo-israeliano”, ha aggiunto. “L’opposizione religiosa  ai queer non si basa sul fatto che sia una malattia, ma che sia un peccato. La legge è necessaria perché questo tipo di “terapia” esiste sicuramente, ma a dire il vero nella comunità araba non ho mai sentito parlare di casi  in cui si è tentato di “curare” le persone LGBTQ. Nella comunità esistono altre forme di persecuzione “.

Mazzawi afferma che per comprendere la decisione della maggioranza dei membri della Knesset della Joint List, si deve guardare a luoghi come l’Egitto, dove il governo sta usando la questione LGBTQ come arma politica contro i movimenti islamici.

“Leader secolari come il presidente egizianoal-Sisi usano la questione LBGTQ per mostrare alla loro gente e al mondo che sono altrettanto musulmani – se non di più – del movimento islamico”, dice. “Perseguono le persone  queer per ottenere voti. La stessa cosa è successa con la Joint List. La loro assenza dal voto si basava sulla preoccupazione di  come la loro base elettorale avrebbe reagito. ”

I MK della Joint List che erano assenti o che hanno votato contro il disegno di legge non lo hanno fatto sulla base di alcuna posizione di principio, spiega Mazzawi, ma piuttosto in base a un calcolo politico rispetto a come gli altri partiti della lista avrebbero usato il voto contro di loro . “Mi dispiace vedere che molti leader della nostra comunità non stanno assumendo una posizione chiara, onesta e coraggiosa su questo tema e che a loro interessano solo considerazioni politiche interne”, afferma.

Liberare la terra non precede la liberazione queer

Maisan Hamdan, un’attivista femminista queer, afferma che non c’è giustificazione sul silenzio della maggior parte della Joint List sulla terapia di conversione.

“Non ho fiducia in coloro che chiedono la libertà di un popolo e vogliono liberare la terra, ma sono d’accordo con la discriminazione”, afferma Hamdan, una delle fondatrici di Urfod, un movimento che  sostiene il rifiuto della coscrizione tra i cittadini drusi in Israele (i cittadini drusi prestano regolarmente servizio nell’esercito israeliano). “Non credo in questa gerarchia in cui la liberazione di un Paese precede la libertà delle donne o delle persone LGBTQ. Credo che tutti abbiano il diritto di vivere con dignità. Non solo siamo la loro ultima priorità, ma il problema LBGTQ non è nemmeno nei loro programmi. Stanno zitti quando siamo attaccati, come se non fossimo parte della società araba. Come possiamo avere fiducia in loro?

“Personalmente, per me la questione nazionale è importante “, continua Hamdan. “Ne scrivo, prendo parte alle proteste e credo che il mio popolo abbia il diritto di essere libero. Ma nella nostra società voglio la libertà per tutti i gruppi. Se pensano che il loro silenzio li stia proteggendo dalle critiche, voglio dire loro che esistiamo e che facciamo parte della società palestinese, che gli piaccia o no. Non possono proteggersi dalle critiche, perché lI criticheremo. ”

Alcuni sostengono che i palestinesi LGBTQ abbiano smesso di essere invisibili l’anno scorso.Hai la percezione di  un cambiamento nel dibattito all’interno della società palestinese?

Mazzawi: “Ci sono cambiamenti nel bene e nel male. Sempre più persone partecipano al dibattito, e questa è una buona cosa, perché parti della comunità sono ora aperte a prospettive  di cui su questo tema prima non avevano mai sentito parlare. Allo stesso tempo, più persone parlano di questo argomento, più estreme diventano le posizioni ”.

Hamdan: “Il cambiamento sta avvenendo grazie a organizzazioni come Aswat e alQaws, che ci hanno sostenuto nell’arena politica. Da un lato, respingono il modo in cui Israele presenta i problemi LGBTQ sia internamente che al mondo, il che significa che si oppongono al pinkwashing. Dall’altro, forniscono uno spazio sicuro per le persone. Queste organizzazioni fanno parte della società araba, il che significa che abbiamo spazi sicuri che non sono all’interno della società ebraica israeliana.

“L’attuale dibattito è molto importante perché ha rappresentato un’opportunità per la visibilità LGBTQ all’interno della società palestinese ed è più audace che in passato. D’altra parte, è anche più probabile che  esponga le persone LGBTQ alla violenza, sia verbale che fisica, specialmente in un momento in cui i social media sono diventati una caratteristica fondamentale della nostra vita. In tal senso, il dibattito è spaventoso. Ma se ci concentriamo sugli aspetti positivi,  almeno questo argomento non è più un tabù ”.

LGBTQ  palestinesi e  loro sostenitori marciano nel centro di Haifa, il 29 luglio 2020. (Suha Arraf)

Quando gli attacchi si trasformano in pubblicità gratuita

Mazzawi  parla degli attacchi online contro la comunità LGBTQ: “Il bullismo che a volte accade sui social media è un problema universale e non solo delle persone LGBTQ. È molto facile odiare sui social media, perché ti siedi davanti allo schermo e non vedi l’altra persona. Ti senti arrabbiato e oppresso, quindi partecipi al bullismo e ti senti un eroe. Dovremmo prendere questi attacchi con buon senso.

“Tuttavia, non posso dire che questi attacchi nascano dal nulla. Ci sono palestinesi, musulmani o cristiani, che interpretano la religione in un modo che fa male agli altri. Il primo detto nell’Islam è “Nel nome di Allah, il più compassionevole, il più misericordioso”, il che significa che la prima cosa dell’Islam è mostrare misericordia. È lo stesso nel cristianesimo,  nel porgere l’altra guancia.  “Lascia che chi è senza peccato scagli la prima pietra” e così via.

“Coloro che attaccano gli altri in nome della religione stanno usando la fede in un modo contorto, piegandola  ai loro obiettivi, e sono le stesse persone che attaccano le donne in nome della religione. Il problema non riguarda la religione, ma il modo in cui le persone la interpretano “.

Mazzawi e Morcos vedono l’attuale dibattito da una prospettiva storica più ampia.

“Il discorso nella società palestinese ha iniziato a cambiare diversi anni fa”, afferma Morcos. “Non è qualcosa  che riguarda solo quest’anno. Quando abbiamo fondato Aswat, ricordo che il Movimento islamico chiamò a un boicottaggio contro di noi ed emise una fatwa (un ordine giuridico religioso islamico) contro di me personalmente, perché secondo loro ero “la testa del serpente”. Poiché ogni mese veniva scritto un nuovo articolo su di noi, e ci veniva chiesto di commentare, non fecero altro che aumentare la visibilità di Aswat. Grazie a loro, non dovemmo fare nulla per apparire nei media.

“Quando  organizzammo la conferenza,  ci fu un’ondata di obiezioni e attacchi come mai prima d’allora, e lo dico come veterana attivista femminista. Come femministe,  fummo chiamate traditrici per aver sollevato questioni come l’uguaglianza di genere e gli “omicidi d’onore”, come se stessimo importando quei valori nella società palestinese dall’Occidente. Quando  fondammo Aswat,  fummo accusate della stessa cosa. ”

Da allora, il discorso queer e LGBTQ è entrato nella coscienza palestinese, spiega Morcos. Organizzazioni e pubblicazioni hanno sostituito i nomi dispregiativi con la terminologia introdotta da Aswat. “Abbiamo costruito una nuova lingua, un nuovo discorso. La nostra lotta era con le organizzazioni della società civile, che devono avere una posizione chiara e concreta riguardo all’identità di genere “, ha aggiunto.

Quali sono le esigenze particolari di cui hanno bisogno i palestinesi LGBTQ? In che modo differiscono dai bisogni degli ebrei israeliani LGBTQ?

Mazzawi: “Ogni persona LGBTQ vuole che la propria comunità li accetti per quello che è.  Poter vivere con la famiglia e gli amici come parte di una società e di una cultura che li accetta così come sono.

“Per quanto riguarda i palestinesi LGBTQ, siamo apolidi. Prima di aver bisogno della protezione dello stato, abbiamo bisogno della protezione dallo stato. E non solo lo stato: vedo l’oppressione, sia conscia che inconscia, anche all’interno delle organizzazioni israeliane. Non c’è accettazione per l’identità palestinese. Quindi, come puoi liberare una persona quando non accetti una parte di essa ?

“Nella società palestinese, non puoi liberare le persone LGBTQ se non accetti il loro essere queer. Allo stesso modo, nelle organizzazioni israeliane, non puoi liberare i palestinesi LGBTQ se rifiuti il loro essere palestinese

Attivisti di sinistra protestano contro il  pinkwashing al Pride di Tel Aviv, 28 giugno 2020. (Oren Ziv / Activestills)

Oggi non vedo differenza tra la società civile israeliana e Israele come stato. Sono la stessa cosa, soprattutto quando menzoniamo la questione palestinese. Gli israeliani LGBTQ si identificano con lo stato anche prima del loro essere queer, e non staranno con i palestinesi LGBTQ semplicemente perché entrambi sono queer. Combatteranno contro gli omofobi ebrei, ma quando i palestinesi LGBTQ entreranno in scena, gli ebrei israeliani si schiereranno con altri israeliani ebrei. I palestinesi rimarranno soli. ”

Cosa possono fare gli ebrei LGBTQ e gli attivisti di sinistra per sostenere i palestinesi LGBTQ?

Hamdan: “Prima di tutto, non devono considerarci separati dalla questione, dalla gente o dall’identità palestinese. La nostra lotta come palestinesi è diversa dalla loro lotta. Chi vuole aiutarci deve essere consapevole di tutte le complessità politiche e nazionali che viviamo, per capire che Israele non è un simbolo di libertà e che non condividiamo una lotta. Viviamo sotto diversi livelli di oppressione. ”

Mazzawi: “L’unica cosa che gli ebrei israeliani che vogliono sostenerci devono fare, è porre fine all’occupazione. L’occupazione è vostra responsabilità. Come palestinese LGBTQ sono sottoposta a diverse forme di oppressione: nazionale, religiosa, di genere, etnica e altro. La vostra parte in tutte queste oppressioni è la mia occupazione e la mia Nakba.Io mi occuperò della mia famiglia, della mia società, del mio Paese.

“La prima cosa che chiedo alla persona ebrea che vuole sostenermi è la fine dell’occupazione in Cisgiordania e Gaza”, continua Mazzawi. “La seconda cosa è assumersi la responsabilità della Nakba. La Nakba non è qualcosa che è successa nel 1948 ed è finita. Continua fino ad oggi. La vita nelle località arabe è il risultato della Nakba. Il crimine  verso le comunità arabe oggi è il risultato dell’attuale Nakba del popolo palestinese, perché lo stato lavora contro di me, e non per aiutarmi. Perché non cerca di proteggere la società araba, ma piuttosto di combatterla. Assumetevi  la responsabilità della Nakba e dell’occupazione.

Una boccata d’aria fresca

Siamo tornati a marciare verso il Prisoner’s Square di Haifa. Non abbiamo  visto un singolo membro della Knesset. I manifestanti si sono seduti sulle scale che circondano la piazza e hanno ascoltato alcuni brevi discorsi.

In uno dei discorsi un’attivista di Tal’at ha portato un messaggio di solidarietà e di fratellanza.Tal’at è il nascente movimento femminista palestinese che la scorsa estate scosse la società palestinese con una serie di proteste in tutto il paese contro la violenza di genere: “Come Tal’at, il nostro il femminismo viene dagli emarginati … Queste voci costruiscono la nostra visione per il tipo di giustizia che vogliamo in Palestina e nel mondo, per la sicurezza e la liberazione delle donne e dei queer in tutti i segmenti della società palestinese … l’oppressione che viviamo è anche un’opportunità di resistenza . Per la resistenza congiunta, per collegare le lotte, così  da poter costruire una realtà migliore e un mondo migliore. ”

Madido di sudore, un attimo prima di andarmene, chiedo a una conoscente come giudica  la protesta. “Come una boccata d’aria fresca”, risponde.

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.com

 

 

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