Il lato positivo della normalizzazione

Gli Stati Uniti e l’Europa non sono riusciti a porre fine all’occupazione. Forse un giorno gli arabi riusciranno a porvi fine, e non necessariamente con la guerra.

Fonte: English Version

Di Gideon Levy – 12 dicembre 2020

Immagine di copertina: il presidente degli Stati Uniti Trump e il primo ministro Benjamin Netanyahu prima di incontrarsi con i ministri degli esteri del Bahrein e degli Emirati Arabi Uniti, per firmare gli accordi di Abraham, Washington D.C., Stati Uniti, 15 settembre 2020. Credito: Saul Loeb / AFP

È molto facile condannare i recenti accordi di Israele con quattro stati arabi, e ancora più facile discernere la loro immoralità. Israele non è mai stato in guerra con questi paesi. Gli accordi sono destinati principalmente ad aiutare questi stati a realizzare i loro interessi nei confronti degli Stati Uniti, in particolare gli accordi sulle armi, e hanno anche a che fare con il fatto che Israele, il loro nuovo amico, è il nemico del loro nemico, l’Iran. È doloroso ed esasperante come i palestinesi siano stati abbandonati al loro destino dai loro fratelli arabi; l’elusione di Israele da una soluzione al loro problema, che è anche il principale problema di definizione dell’immagine di Israele, è ancora più irritante. Questi non sono né accordi di pace, né accordi di normalizzazione: non c’è niente di normale nei legami tra regimi dittatoriali  e uno stato di apartheid.

Dopo aver detto tutto questo, e giustamente, è impossibile essere critici su questi accordi solo perché il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il presidente Donald Trump ne sono stati gli occulti artefici. Netanyahu avrebbe dovuto dire no a quei quattro regimi corrotti che volevano firmare accordi con Israele? Il fatto che gli accordi servano ai loro interessi li rende meno validi o, paradossalmente, esattamente il contrario? Israele ha il diritto di essere ipocrita e di rifiutarsi di firmare un accordo che permetta al Marocco di annettere il Sahara occidentale mentre Israele mantiene un’occupazione ancora più brutale e prolungata?

È ovvio che ciò che si dovrebbe fare è mettere da parte tutto il resto e prima di tutto porre fine all’occupazione. Ma questo non è accaduto negli ultimi 53 anni e presumibilmente non accadrà nei prossimi 53. Israele non ha mai avuto intenzione di liberare i palestinesi dalla sua stretta feroce e il loro tradimento da parte dei paesi arabi non è una novità. Ora il Marocco li ha pugnalati alle spalle, e non per la prima volta. Eppure, ci sono barlumi di speranza in questi accordi, e anche se non fanno presagire un nuovo inizio potrebbero creare una nuova realtà, leggermente migliore.

Trump e Netanyahu non sono uomini né di pace né di coscienza, e certamente non fanno giustizia. Ma non si può ignorare il fatto che Trump ha fatto più pace arabo-israeliana, con o senza virgolette, del suo predecessore, il presidente premio Nobel per la pace Barack Obama. Non si può nemmeno ignorare il fatto che Netanyahu ha aperto le porte agli israeliani in molti più stati arabi rispetto ai suoi predecessori, compresi i premi Nobel per la pace. Gli attuali accordi di pace non meritano alcun premio, perché non hanno richiesto il coraggio di Netanyahu per firmarli. È quasi impossibile complimentarsi con Trump e Netanyahu, dopo tutti i danni che hanno fatto. Ma l’obiettività richiede di riconoscergli quello che è dovuto. Hanno fatto la pace, non la guerra.

Tutti i nemici di Israele sono regimi corrotti, e quello di Israele è lungi dall’essere integerrimo, ma per questo non firmeresti un accordo con l’Iran? L’Egitto è mai stato una democrazia? La Giordania? L’Autorità Palestinese? Nemmeno Israele lo è. E quindi la domanda risulta vana. Se la moralità del governo di un paese fosse una condizione per le relazioni diplomatiche, potremmo escludere più di mezzo mondo.

C’è un barlume di speranza. Forse le masse di israeliani che si stanno preparando per le vacanze nei paesi arabi potrebbero cambiare il loro modo di pensare. Dopo anni di lavaggio del cervello, quando agli israeliani è stato detto che tutti i palestinesi sono terroristi, transienti clandestini, lava auto, operai edili e camerieri nei ristoranti di hummus; che l’unico arabo buono è un arabo morto, e che tutti gli arabi vogliono buttarci in mare, all’improvviso vedono Dubai. E di colpo scoprono che non è quello che gli è stato detto sugli arabi. Di tutte le squadre di calcio israeliane, la squadra del Beitar di Gerusalemme, nota per la sua esuberante tifoseria anti-Arabi, è ora congiuntamente di proprietà arabo-ebraica. I voli diretti per il Marocco ricorderanno agli israeliani di origine marocchina che possono essere orgogliosi di avere origini anche in Israele. Sono ebrei arabi e questo è meraviglioso.

La prova arriverà in seguito. Israele intraprenderà un altro barbaro attacco alla Striscia di Gaza o al Libano, sapendo cosa potrebbe perdere? Gli Stati Uniti e l’Europa non sono riusciti a porre fine all’occupazione. Forse un giorno gli arabi riusciranno a porvi fine, e non necessariamente con la guerra.

Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio Libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato appena pubblicato da Verso.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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