Riflessioni sull’insegnamento della letteratura nella Gaza assediata (e la previsione di un futuro alternativo)

Lo studio della letteratura (post) coloniale mostra come la costruzione dello Stato palestinese non sia riuscita a realizzare le promesse liberatorie del nazionalismo palestinese contemporaneo.

Fonte: english version

Haidar Eid – 5 Maggio 2021

Immagine di copertina: Gassan Khanafani

Insegno in un corso sul romanzo come genere letterario e la mia visione della narrativa non è solo qualcosa che insegno e studio in una classe, al contrario, ha tutto a che fare con la vita reale, compresa la nostra resistenza al colonialismo sionista e l’apartheid in Palestina. Questo è un riflesso della mia convinzione nella logica alla base della nostra professione di insegnanti di letteratura in tutto il mondo, in generale, e nel mondo (post) coloniale, in particolare.

La letteratura nella maggior parte dei paesi (post) coloniali è stata ridotta a corsi di composizione in cui l’apprendimento è rappresentato dal conoscere solo “grandi autori” e “grandi libri”; l’obiettivo finale di tale processo di apprendimento è la memorizzazione, piuttosto che possedere un pensiero analitico e critico. Sfortunatamente, ci aspettiamo che i nostri studenti memorizzino riassunti della trama ed elenchi di temi e personaggi tipici e così via. Ma ciò di cui abbiamo bisogno per la letteratura e la critica letteraria è una critica del pensiero istituzionale che offra un’alternativa. E questo può accadere solo se insegnanti e studenti si liberano dalla prigione del “significato!” Purtroppo, il nostro obiettivo finale è stato quello di produrre ripetitori attraverso l’insegnamento della letteratura inglese. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di leggere la letteratura in modo diverso e insegnarla come un’attività critica.

Da qui la domanda che stavo contemplando: Non è il momento di includere la letteratura palestinese nel corpo di ricerca che divenne noto come teoria critica della razza, poiché la maggior parte di essa è stata ideologicamente impegnata nella lotta contro il razzismo istituzionalizzato?

Proprio per questo motivo ho deciso di includere i romanzi di Ghassan Kanafani nel mio corso. Leggendo a cuore e mente aperti il suo “Ritorno ad Haifa”, da adolescente, ho finito per credere che fosse un pensatore stimolante che ha capito che le verità più profonde tendono a sconcertare, rompendo con i modelli ereditati e il cosiddetto buon senso, specialmente quando si tratta di nazionalismo (i). È la tipica storia palestinese di una coppia di Haifa che fu, insieme a più di 750.000 palestinesi, vittima della pulizia etnica delle milizie sioniste nel 1948. Lasciano il loro bambino appena nato e quando Israele occupa il resto della Palestina storica, decidono di tentare la fortuna e cercare il loro figlio scomparso. In un colpo di scena, scoprono che è diventato un ufficiale israeliano nelle forze di occupazione in quanto è stato adottato da un sopravvissuto all’Olocausto.

La conversazione in corso tra il padre palestinese “tornato” e il figlio soldato israeliano non è solo una seria sfida a ciò che è dato per scontato, ma anche una forma di pensiero radicale che prevede un futuro alternativo. L’ultima domanda che ci rimane riguarda i modi migliori per combattere la matrice di potere sionista, vale a dire il colonialismo, l’apartheid e la pulizia etnica.

E la reazione dei miei studenti è andata oltre le mie più rosee aspettative. Questa è la generazione di Facebook, Twitter e sitcoms che preferisce riassunti di testi, immagini, filmati ecc. Da qui la sfida. I miei studenti sono nipoti di rifugiati che sono stati epurati nel 1948; hanno familiarità con le storie della Nakba e, quindi, non hanno dimenticato, come sperava il primo Primo Ministro israeliano, David Ben Gurion. Le loro domande si concentrano sui migliori modi pratici per tornare ad Haifa (Palestina) e sulle possibilità di convivenza con gli ebrei israeliani sulla base della giustizia e dell’uguaglianza. Questo, per la maggior parte di loro, significa smantellare il colonialismo sionista e l’apartheid in Palestina tutti insieme. E questo è il tema principale di Ritorno ad Haifa

La conclusione della nostra lettura di questo romanzo, tra gli altri testi del Sudafrica e di altri paesi precedentemente colonizzati [1], è che né il tipo di costruzione dello Stato emerso dagli accordi di Oslo, difeso sia da politici di destra che di sinistra e da pseudo-intellettuali, né la versione di un mini Stato Islamista difeso da Hamas a Gaza ha veramente mantenuto le promesse liberatorie del nazionalismo palestinese contemporaneo. Piuttosto, il futuro della Palestina sta in uno sforzo rinnovato e congiunto dei palestinesi e dei pochissimi israeliani anti-sionisti per attuare una visione più inclusiva, sostenibile ed equa di uno stato democratico laico all’interno di una decolonizzazione più pienamente emancipatrice.

Note:

[1] Questi testi includono “Music of the Violin” (Musica del Violino) di Jabulo Ndebel, “Black Girl” (La Ragazza Nera) di Ousmane Sembene, il romanzo razzista di Sir Vidiadhar Surajprasad Naipaul”A Bend In the River” (Ansa Del Fiume), “My Father, The English Man, and I” (Mio Padre, l’Uomo Inglese, e Me) di Nurrddin Farah, “God of Small Things” (Il Dio Delle Piccole Cose) di Arundhati Roy e i racconti di Nawal Sadaawi, tra gli altri.

Haidar Eid è professore associato di letteratura postcoloniale e postmoderna presso l’Università al-Aqsa a Gaza. Ha scritto ampiamente sul conflitto arabo-israeliano, inclusi articoli pubblicati su Znet, Electronic Intifada, Palestine Chronicle e Open Democracy. Ha pubblicato articoli su studi culturali e letteratura in numerose riviste, tra cui Nebula, Journal of American Studies in Turkey, Cultural Logic e Journal of Comparative Literature.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org