Intersectional imperialism, la NATO non può appropriarsi dei temi LGBTQ+

La NATO non può vendersi come sostenitrice del progresso in quanto struttura fondante dell’imperialismo guerrafondaio.

di Lorenzo Poli – Invictapalestina – 2 luglio 2021

“Diversità e inclusione ci rendono più forti. Mentre celebriamo il #Pride2021, riconosciamo gli importanti contributi delle persone LGBTQI+ alla nostra Alleanza e riaffermiamo il nostro impegno per la libertà e la dignità di tutti. #YouAreIncluded”

Questo il vergognoso post su Facebook della NATO sull’inclusività delle persone LGBTQ nel mese dei Pride.

Una grandissima operazione di ipocrisia e di appropriazione culturale da parte di un’organizzazione militare, braccio armato dell’imperialismo, inteso come stadio monopolistico del capitalismo, e della globalizzazione tout court che non prevede un mondo al di fuori della trazione atlantista, del riarmo nucleare, delle devastazioni e delle stragi. Dopo trent’anni della presenza NATO in Afghanistan la condizione dei diritti umani è drasticamente peggiorata, soprattutto se guardiamo alla condizione femminile. Un’organizzazione responsabile di guerre imperialiste, di strage di popoli, che oggi con “bombe intelligenti” vuole diffondere nel mondo il “sogno americano” fatto di libertà, diritti civili, eguaglianza… ma esclusivamente per i pochi “fortunati” (se così possiamo dire) che vivono nel Primo Mondo, che hanno la presunzione di chiamarsi “primi”, mentre ci saranno sempre dei secondi, dei terzi e dei quarti a pagarne le conseguenze.

Perché, allora, oggi la Nato sente il bisogno di esprimersi sui temi che riguardano i diritti LGBTQ+? Difficile rispondere, ed amareggia dire che non c’è alcun interesse di cambiare nulla in una struttura militare dove l’inferiorizzazione e il nonnismo sono conseguenze strutturali.

La mercificazione e la strumentalizzazione dei temi e delle lotte LGBTQ+ non è una novità. Multinazionali sfruttatrici e violatrici di diritti di ogni tipo come Mercedez-Benz, BMW, il produttore di videogame statunitense Bethesda Softworks, il costruttore di computer cinese Lenovo, le aziende di costruzioni per bambini come la Lego ed altre grandi multinazionali sono finite al centro di discussioni per aver proposto nelle pagine social il proprio logo in versione “arcobaleno” per celebrare il mese dell’orgoglio LGBTQIA+, ma nel frattempo nelle pagine social destinate alle aree del mondo in cui i diritti delle minoranze sessuali sono meno riconosciuti, questo logo non appare: perché? Perché quando si tratta di attirare clienti e consumatori in parti del mondo in cui è molto diffusa la sensibilità sui temi della democrazia sessuale, il valore dell’eguaglianza può essere usato come brand e come operazione di marketing da sventolare; quando si tratta di attirare clienti e consumatori in parti del mondo in cui la sensibilità non è sviluppata, si fa a meno finanziando addirittura organizzazioni politiche dichiaratamente omofobe (https://www.ilgrandecolibri.com/multinazionali-lgbt-friendly/ ).

Questo “doppio standard” sull’eguaglianza e sui diritti rimane, pur continuando a non applicare l’eguaglianza quando si tratta di diritti sindacali, di diritti dell’ambiente e di diritto alla salute, esattamente come Coco Cola che oggi fa le bottigliette con scritto “Love is Love” mentre nel 1936 proponeva frasi inneggianti il Terzo Reich, mentre oggi sindacalisti e lavoratori colombiani sono vittima della sua politica di terrore. Nonostante l’impressionante lista di violazioni, l’impunità è generale e la Panamco-Coca Cola amplia i suoi interessi nel paese latinoamericano, partecipando alla guerra sporca contro il movimento sindacale in Colombia, paese assunto a modello dell’uso estremo della violenza per imporre la mondializzazione neoliberale e dove tutte le organizzazioni sociali di opposizione stanno per essere sterminate.

Lo stesso meccanismo vale anche per la NATO, la quale parla di temi LGBT grazie alla grande sensibilità sui temi della “democrazia sessuale”, strumentalizzandoli ed usandoli come nuovo brand e nuovo marketing soprattutto per il consenso. Oggi vi è questa perversione maniacale di ridurre tutto a “forma” a discapito della “sostanza”, l’apparenza al posto dell’essenza, sperando che la gente possa continuare a confondersi per poter continuare a farla franca.

La NATO oggi punta alla sua evoluzione postmoderna passando da un imperialismo fortemente connotato da una struttura militare “naturalmente” machista, esclusiva e pensata per pochi “forti, coraggiosi ed indomabili” esaltati dal mito della “difesa della patria” e della “difesa di tutto ciò che la patria conquista”, all’intersectional imperialism in cui si prendono persone di colore, LGBTQ+, disabile, donna, o qualsiasi altra identità oppressa e si inseriscono nelle strutture di potere perché non cambi assolutamente nulla. Il fine è quello di usare l’identità come scudo per continuare a perpetrare lo stesso identico sistema, ma con una diversa sfumatura (rosa, arcobaleno, nera..) che lo rende più digeribile, giustificabile, tollerabile, approvabile in quanto “si è sforzato di includere” e, soprattutto, legittimo. La NATO, come tantissime altre strutture di potere oppressivo, sta basando la sua nuova ri-legittimazione sull’inclusività delle identità.

In un periodo in cui a livello culturale l’identità è messa in pericolo dagli identitarismi, tutta questa enfasi sull’identità rischia di diventare retorica se presa da sola. Non basta la consapevolezza sull’identità per fare la Rivoluzione. Quando un’identità è al servizio di un sistema razzista, capitalista e patriarcale, quale arma di cambiamento può diventare se non l’ennesima arma di distrazione di massa e di silenziamento della lotta?

In questa prospettiva la NATO non solo non ha niente a che fare con le rivendicazioni del movimento LGBT, ma è direttamente opposto a ciò che è la storia del movimento di Liberazione Omosessuale a partire dai Moti di Stonewall del 1969. “Via la mafia e gli sbirri dai bar gay!” – questo quello che si leggeva nei volantini che si distribuivano fuori da Stonewall Inn, in opposizione a tutte le violenze poliziesche commesse negli anni precedenti sulla pelle delle persone gay, lesbiche e trans.

Bottiglie e pietre vennero lanciate dai dimostranti che scandivano lo slogan “Gay Power!”. La folla, stimata in 2.000 persone, battagliò contro oltre 400 poliziotti.  La polizia inviò rinforzi composti dalla Tactical Patrol Force, una squadra anti-sommossa originariamente addestrata per contrastare i dimostranti contro la Guerra del Vietnam. Le squadre anti-sommossa arrivarono per disperdere la folla, ma non riuscirono nel loro intento e vennero bersagliate da pietre e altri oggetti.

La rivolta dei Moti di Stonewall del 28 giugno 1969 nacque come antirazzista, anticapitalista, antifascista, antisessista, antimilitarista e anti-classista e fu considerata un momento di rottura nella storia della comunità omosessuale proprio perché ciò che ne venne fuori aveva molte più somiglianze con i movimenti di lotta politica. Il movimento di liberazione omosessuale, a differenza dei “movimenti omofili” che fino a quel giorno avevano condotto la lotta per i diritti degli omosessuali con il fine d’integrarli nella società così come era, il nuovo movimento, rifiutava l’integrazione in una società strutturalmente incapace di accettare le diversità, sostenendo che andasse sovvertita, capovolta e rivoluzionata.

La rivolta del Movimento LGBTQ, negli anni Settanta era politica, anti-militarista e, per Mario Mieli, poiché la struttura dell’oppressione sessuale è al servizio di altre strutture di sfruttamento, come il patriarcato e il capitalismo, la lotta della liberazione sessuale era necessariamente collegata e unita alla lotta operaia e alla lotta femminista. Il movimento LGBTQ aveva una visione politica e un’ottica di classe e non era una semplice bandiera o logo da appendere per le proprie operazioni di marketing.

Eppure ora la NATO posta video in cui affermava che “la diversità è la nostra forza” ( https://twitter.com/NATO/status/1366355680681209859 ): una vera operazione di pinkwashing.

Alla luce di questo è importante ricordare che molti dei primi leader della NATO erano nazisti che sognavano una Germania che fosse tutt’altro che diversificata e inclusiva. Fino ad oggi, la NATO ha continuato a sostenere i neonazisti in paesi come l’Ucraina, mentre gli stati della NATO, in cui vengono consentite manifestazioni in onore dei collaboratori nazisti, solo ora stanno impedendo alcune marce per motivi legati alla crisi sanitaria da Covid-19. Nonostante Donald Trump sia sostenuto da suprematisti bianchi, sionisti ultraconservatori, nazionalisti e i peggior nostalgici del Ku Klux Klan, anche Biden non è da meno. Durante la sua campagna presidenziale, mentre si scagliava contro i neonazisti a Charlottesville in Virginia, Biden ha incontrato il leader neonazista Oleh Jaroslavovyč Tjahnybok, leader del partito ultranazionalista di estrema destra Svoboda (Unione Pan-Ucraina “Libertà”) nato nel 2004 dalle radici del Partito Social-Nazionalista d’Ucraina (PSNU), un’organizzazione di stampo neonazista fondata nell’ottobre 1991 che associava al simbolo neo-Nazi Wolfsangel (la runa) l’“idea della nazione”. Un partito che vuole abolizione dell’autonomia della Crimea, entrata dell’Ucraina nella NATO, ri-acquisizione di armamenti nucleari tattici da parte dell’Ucraina, “decomunistizzazione” delle vie pubbliche e la lustratio del passato comunista dagli apparati statali. Stiamo parlando degli stessi neonazisti ucraini che, organizzati in movimenti paramilitari, vogliono cancellare le Repubbliche Popolari del Donbass.

Mi domando dunque quanto sia positiva l’“omofilia” della NATO che, in linea con tutte le rivendicazioni neoliberali, permette e concede “emancipazione” nel sistema e non “liberazione” dal sistema, dando alle varie identità la libertà di accedere ai ruoli di potere senza mettere in discussione la stessa natura del potere.

Non dimentichiamo, inoltre, che il sostegno della NATO all’inclusione delle persone di colore è arrivato dopo il bombardamento della Libia, che ha fornito copertura alle milizie jihadiste per sodomizzare a morte con una baionetta il leader libico Muammar Gheddafi, spianando la strada alla reintroduzione di schiavitù in alcune zone dell’Africa e dando il via a forti immigrazioni di massa.

La NATO non può vendersi come sostenitrice del progresso in quanto struttura fondante dell’imperialismo guerrafondaio.