Israele: l’oppressione razzista e violenta è il fulcro dell’apartheid

l rapporto di Amnesty International evidenzia come la polizia israeliana protegga il suprematismo ebraico da qualsiasi sfida da parte dei cittadini palestinesi.

Fonte: english version

Di Jonathan Cook – 1 luglio 2021

Foto di copertina: Le forze israeliane arrestano un attivista nella Gerusalemme est occupata il 25 giugno 2021 (AFP)

La polizia ha effettuato arresti a tappeto della grande minoranza israeliana di cittadini palestinesi dopo che le proteste hanno scosso il paese a maggio durante l’attacco di 11 giorni di Israele a Gaza. È stato documentato che gli agenti picchiavano i manifestanti e, in alcuni casi, li torturavano durante la detenzione. La polizia non è intervenuta per proteggere la minoranza palestinese da attacchi pianificati in stile vigilantes da parte di estremisti ebrei dell’estrema destra sionista.

Questo è stato il verdetto schiacciante di un rapporto di Amnesty International pubblicato la scorsa settimana. I risultati indicano che la polizia israeliana vede la minoranza palestinese del paese, un quinto della popolazione, come un nemico piuttosto che come cittadini con il diritto di protestare.

Il rapporto fa eco a quanto affermato da tempo dai leader palestinesi in Israele e dai gruppi locali per i diritti umani: che il trattamento standard della comunità palestinese in Israele è razzista e violento. Riflette gli stessi valori del suprematismo ebraico visti nel brutale trattamento riservato dall’esercito israeliano ai palestinesi sotto occupazione.

Il contrasto tra il modo in cui la polizia ha risposto alle proteste dei cittadini palestinesi e alle dichiarazioni di sostegno dei loro leader, da un lato, e all’incitamento dei leader ebrei israeliani e alle violente reazioni dell’estrema destra ebraica, dall’altro, è davvero netto.

Più di 2.150 arresti sono stati effettuati dopo le violenze intercomunitarie di maggio. Ma secondo i rapporti citati da Amnesty, più del 90% dei detenuti erano palestinesi, cittadini israeliani o residenti di Gerusalemme Est occupata.

La maggior parte affronta accuse non correlate ad attacchi a persone o proprietà, nonostante il modo in cui le loro manifestazioni siano state ampiamente descritte dalla polizia e dai media israeliani. Piuttosto, i manifestanti palestinesi sono stati incriminati con accuse come “insulto o aggressione a pubblico ufficiale” o “partecipazione a raduno non autorizzato”, questioni relative alla repressione della polizia affrontata dalla minoranza palestinese.

“Stanza delle torture”

Amnesty cita ripetuti esempi di aggressioni ingiustificate da parte della polizia contro manifestanti pacifici in città come Nazareth e Haifa. Ciò contrasta con la continua indulgenza da parte della polizia alle provocazioni dell’estrema destra ebraica, come la loro marcia attraverso i quartieri palestinesi di Gerusalemme Est occupata il 15 giugno, durante la quale i partecipanti hanno cantato: “Morte agli arabi” e “Che il tuo villaggio possa bruciare”.

Amnesty documenta anche la testimonianza che la polizia israeliana ha picchiato i detenuti legati nella stazione di polizia di Nazareth, allestendo quella che il gruppo locale per i diritti legali Adalah ha descritto come una “sala delle torture” improvvisata.

Inoltre, un manifestante ad Haifa sembra essere stato legato a una sedia e privato del sonno per nove giorni, usando tecniche di tortura familiari ai palestinesi nei territori occupati.

Al contrario, la polizia israeliana è stata allertata in tempo reale dai messaggi di gruppi estremisti ebraici sui piani precisi per distruggere i negozi “arabi” e aggredire i cittadini palestinesi per strada. Tuttavia, la polizia ha ignorato quegli avvertimenti o è stata lenta a intervenire. Un’indagine di Haaretz ha inoltre suggerito che la polizia in seguito non è riuscita a utilizzare i filmati per identificare questi vigilantes ebrei e, di conseguenza, ha effettuato pochi arresti.

Questa immagine della polizia che chiude un occhio sulla violenza ebraica pianificata riecheggia scene del tempo delle proteste. Il filmato mostrava agenti di polizia che consentivano ad agitatori ebrei armati, molti dei quali provenienti dagli insediamenti, di vagare liberamente per i quartieri palestinesi durante il coprifuoco nella città di Lod. C’erano persino filmati di polizia ed estremisti ebrei dell’estrema destra sionista che conducevano quelle che sembravano “operazioni” congiunte, con la polizia che lanciava granate stordenti mentre gli estremisti ebrei lanciavano pietre.

I politici ebrei che hanno incitato contro la minoranza palestinese, dall’ex Presidente israeliano, Reuven Rivlin, e il sindaco di Lod, Yair Revivo, al legislatore di estrema destra Itamar Ben-Gvir, non hanno subito conseguenze.

Accusato di “atti terroristici”

Invece, la polizia ha organizzato quello che è stato un assalto provocatorio e del tutto inutile da parte delle forze speciali contro la casa di un leader della comunità palestinese, Kamal al-Khatib, per arrestarlo. Il vice capo del Movimento Islamico Settentrionale è stato accusato di sostenere il terrorismo dopo aver espresso orgoglio per quella che ha definito la solidarietà della minoranza con il popolo di Gaza e Gerusalemme Est occupata.

E la scorsa settimana, apparentemente troppo tardi per essere inclusa nel rapporto di Amnesty, la polizia razzista di Israele si è mossa in nuove direzioni.

Un piccolo numero di cittadini palestinesi sospettati di aver aggredito ebrei è stato accusato di “atti terroristici”, in alcuni casi senza alcuna prova fisica o del DNA che li collegasse al crimine. In diversi casi, gli imputati sono stati incriminati sulla base di confessioni fatte dopo un lungo interrogatorio da parte della polizia segreta israeliana, lo Shin Bet.

Attivisti protestano contro l’occupazione israeliana vicino a Sheikh Jarrah l’11 giugno 2021 (AFP)

Il sistema giuridico israeliano tratta la violenza intercomunitaria come un atto di terrorismo quando sono coinvolti cittadini palestinesi e come una normale questione di ordine pubblico, ammesso che venga affrontata, quando sono coinvolti ebrei israeliani.

A sottolineare questa distinzione c’è la decisione di mettere i cittadini palestinesi di Israele in detenzione amministrativa, incarcerandoli senza accusa e non permettendo agli avvocati di vedere le presunte prove contro i loro clienti. Questa drastica prassi, con un tale ordine approvato la scorsa settimana dal Ministro della Difesa Benny Gantz, è solitamente riservata ai palestinesi sotto occupazione, non ai cittadini israeliani.

Regolamento di conti

Nel suo rapporto, Amnesty ha fatto riferimento a dichiarazioni pubbliche dei comandanti della polizia israeliana che indicano che l’attuale dura repressione riguarda in realtà il “regolare i conti”. E in parte, questo è vero.

Quasi due decenni fa, un’inchiesta pubblica condotta dalla magistratura ha concluso che la polizia israeliana trattava i cittadini palestinesi come “nemici”. Nulla è cambiato da allora. La polizia considera il loro compito principale proteggere i privilegi della maggioranza ebraica mantenendo la minoranza palestinese oppressa e obbediente, come una comunità subordinata all’interno di uno Stato ebraico auto-dichiarato.

L’esplosione delle proteste a maggio, che ha colto alla sprovvista la polizia, era implicitamente un segno che avevano fallito in quel ruolo. La polizia ha interpretato le manifestazioni come un’umiliazione pubblica per la quale occorreva urgentemente ripristinare la “dissuasione”.

I politici israeliani, incluso l’allora Ministro dell’Interno, Amir Ohana, così come l’estrema destra ebraica, hanno visto le proteste più o meno sotto la stessa luce. All’epoca sostenevano che la polizia era ostacolata da sottigliezze legali e che era compito dei cittadini ebrei sostenere la polizia applicando la legge personalmente.

Tuttavia, il “regolamento dei conti” con la minoranza palestinese riguarda una questione separata. Gli osservatori esterni, come Amnesty, tendono a notare il razzismo della polizia di Israele solo quando la violenza diretta viene usata contro i cittadini palestinesi. Ma l’esperienza della minoranza palestinese di discriminazione da parte della polizia è molto più ampia.

Per anni, la minoranza è scesa in piazza numerosa per protestare contro non solo il controllo violento del dissenso, ma una quasi assenza di controllo complementare nei confronti delle comunità palestinesi in Israele quando si tratta di affrontare la criminalità.

La dura repressione vista nelle ultime settimane contrasta fortemente con l’inazione della polizia poiché un’ondata di criminalità ha travolto le comunità palestinesi, portando ogni anno un numero record di morti violente. Sia le bande criminali palestinesi che quelle ebraiche hanno sfruttato il vuoto di polizia nelle città e nei villaggi palestinesi, sapendo di essere libere di agire finché la violenza è “arabo su arabo”.

Anche durante i blocchi nel mezzo della pandemia, i leader della comunità palestinese hanno mantenuto la pressione, guidando convogli lenti di decine di auto lungo le strade più trafficate di Israele per attirare l’attenzione sulle priorità della polizia razzista di Israele.

Questi presentavano un diverso tipo di umiliazione per la polizia. Insolitamente, i comandanti sono stati costretti a fare marcia indietro, ingoiando critiche e condanne inesorabili per non aver affrontato la criminalità nelle comunità palestinesi. È persino diventata una delle questioni principali per i partiti palestinesi nella serie di recenti elezioni israeliane.

Ora, la polizia sta avendo il suo momento di rivalsa. “Volete una polizia più attiva? Vi daremo la polizia più attiva. Vedrete come vi piacerà questo!” sembra essere il nuovo slogan delle retate di massa.

Suprematismo ebraico

La realtà è che entrambi i tipi di controllo nei confronti dei cittadini palestinesi, il controllo violento del dissenso e l’assenza di controllo sul crimine, sono radicati nella stessa, malvagia ideologia del suprematismo ebraico.

Questo è lo stesso suprematismo evidenziato in un rapporto all’inizio di quest’anno dal gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem. Ha aperto nuovi orizzonti nella comunità dei diritti umani identificando esplicitamente Israele come uno Stato razzista, che tratta i palestinesi come inferiori, sia nei territori occupati che all’interno di Israele, e gli ebrei come superiori, sia in Israele che negli insediamenti illegali.

Il nuovo rapporto di Amnesty è l’ultima istantanea di una società in cui tutto segue la logica dell’apartheid, comprese le forze dell’ordine. Questo non dovrebbe sorprendere nessuno, perché l’apartheid è, per definizione, sistemico.

Coloni israeliani marciano in un nuovo avamposto nella Cisgiordania occupata il 21 giugno 2021 (AFP)

La maggior parte degli ebrei israeliani, che si identifichino con la sinistra o con la destra, ha mostrato scarso interesse per l’ondata di crimini letali che per anni ha travolto le comunità palestinesi vicine alla loro, nonostante le regolari campagne di protesta della minoranza palestinese.

E ora, attraverso il loro silenzio, la maggior parte degli ebrei israeliani comuni e dei loro politici hanno dimostrato di sostenere, o quanto meno di essere indifferenti, all’attuale repressione della polizia sulla minoranza palestinese. Le cause più profonde delle proteste di maggio e la violenta reazione dell’estrema destra, sembrano aver provocato poca auto-riflessione.

L’opinione pubblica ebraica israeliana sembra altrettanto indifferente al fatto che i criminali ebrei di estrema destra abbiano cantato “morte agli arabi” per le loro strade, che i video mostrino la cooperazione della polizia con quei delinquenti o che la polizia abbia effettuato arresti di massa di cittadini palestinesi per settimane intere, mentre non sono riusciti a trovare gli ebrei che sono stati filmati mentre attaccavano i palestinesi.

Occupazione belligerante

La verità è che la polizia israeliana la fa franca con le sue politiche razziste e violente perché la più ampia società ebraica israeliana approva. La polizia si considera come difenditrice di un suprematismo ebraico che molti comuni cittadini ebrei considerano un loro diritto di nascita.

La minoranza palestinese sperava di aver aperto un timido dialogo con gli ebrei israeliani sia sulle responsabilità della polizia in uno Stato che dichiara di essere una democrazia, sia sul diritto alla sicurezza personale degli 1,8 milioni di cittadini palestinesi di Israele.

C’è stato molto clamore riguardo alla Lista Araba Unita di Mansour Abbas, che il mese scorso è diventata il primo partito che rappresenta i cittadini palestinesi ad entrare in una coalizione di governo israeliano, destituendo l’ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Come altri partiti palestinesi, Abbas ha messo i cambiamenti alla cultura razzista della polizia in Israele in cima al suo programma.

Ma qualsiasi segno di progresso è stato fin troppo facilmente cancellato da una riaffermazione del suprematismo ebraico da parte della polizia e dei loro alleati ebrei di estrema destra, e dalla complicità silenziosa della più ampia società ebraica israeliana.

Israele ha avuto la possibilità di affrontare le sue politiche di controllo razziste, ma ciò avrebbe richiesto il difficile lavoro di esaminare le strutture di apartheid molto più ampie che le sostengono. Invece, la maggior parte degli ebrei israeliani è felice di riaffermare lo status quo, opprimendo tutti i palestinesi sotto il dominio ebraico, siano essi soggetti ad un’occupazione belligerante o cittadini di terza classe di uno Stato ebraico.

Jonathan Cook è vincitore del Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. I suoi libri includono “Israele e lo Scontro di Civiltà: Iraq, Iran e il Piano per Ricostruire il Medio Oriente” (Pluto Press) e “Palestina Scomparsa: Gli Esperimenti di Israele Nella Disperazione Umana” (Zed Books). Visitate il suo sito web www.jonathan-cook.net.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org