Afghanistan, una guerra per l’oppio e a favore delle case farmaceutiche

Facendo un bilancio, la guerra in Afghanistan è stata un beneficio non per gli afghani, ma per le case farmaceutiche occidentali, i produttori di armi, le società di mercenari, le mafie anche italiane, le organizzazioni terroristiche islamiche, ma soprattutto gli Stati capitalisti.

Lorenzo Poli – Invictapalestina -24 agosto 2021

Immagine di copertina: credit Javeed Tanver AFP  – via Getty Images

La guerra in Afghanistan in sintesi è: 20 anni di guerra, 240.000 morti tra gli afgani, 71.000 civili, 4.000 morti per la NATO, 54 soldati italiani morti, 2.000 miliardi di dollari sparati contro l’umanità (Dati F. Tonello, oggi Il Manifesto). Tutto questo, a detta di Biden, per rivendicare l’11 settembre ed uccidere Osama Bin Laden. Allora perché la Guerra in Afghanistan è stata una guerra illegittima su tutti i fronti contro il diritto internazionale e addirittura contro il Patto Atlantico del 1949? Era così urgente “esportare democrazia” a suon di bombardamenti “umanitari”? Se è vero che non ha avuto scopi precisi, perché allora ha dato origine al più grande stato d’eccezione della storia contemporanea dopo la Guerra Fredda, mettendo a punto le più forti politiche securitarie in tutto l’Occidente e, di conseguenza, alle più forti politiche islamofobe di sempre? Domande a cui si cerca ancora una risposta ufficiale sensata.

Ad oggi sappiamo benissimo che i motivi erano imperialisti e di rilancio economico attraverso il commercio di armi e la presa di materie prime come rame, litio e terre rare. Eppure vi è un altro business che merita di essere ricordato: il commercio dell’oppio.

Quando nel 2001 iniziò l’invasione americana e degli alleati NATO, in Afghanistan vi erano 8.000 ettari di terra coltivati a papavero da oppio e ad oggi vi sono 224.000 ettari.

Come ha scritto Antonella Soldo, coordinatrice di Megliolegale, su il Manifesto qualche giorno fa: “Va ricordato che l’oppio non è una cultura tradizionale afghana, fu importato negli anni ‘50 ed ebbe la sua massima diffusione negli anni ‘80, gli anni dell’esplosione di eroina in tutto il mondo. A incentivarla furono proprio gli americani attraverso la CIA per creare una sorta di moneta parallela utile a finanziare la guerra contro la Russia. Anche per questo, forse, il silenzio americano sul tema. Il controllo di questo traffico ha avuto conseguenze dirette sul potere dei talebani di acquistare armi, reclutare migliaia di giovani, corrompere e tenere in mano il territorio”.

Un metodo che, come ha sottolineato la giornalista d’inchiesta Stefania Limiti, fu esportato ovunque a tal punto che il traffico di droga in mano a Cosa Nostra negli anni ‘80 non finanziava solo gli arricchimenti dei boss, ma nessun pentito ne ha mai parlato.

La famosa Operazione Bluemoon fu un’operazione sotto copertura messa in atto dai servizi segreti dei Paesi del blocco occidentale all’inizio degli anni Settanta, nell’ambito della Guerra Fredda, finalizzata a diffondere l’uso di droghe pesanti, in particolare l’eroina, tra i giovani attivisti dei movimenti di contestazione e della sinistra extraparlamentare in modo da distoglierli dalla lotta politica.

L’Afghanistan si è quindi trovato una coltivazione ad uso e consumo prima coloniale ed oggi neocoloniale. Nonostante non se ne sia mai parlato in questi anni, la Guerra in Afghanistan, tanto voluta dagli USA, ha portato grande vantaggio delle case farmaceutiche americane.

Secondo gli studi di Franco Fracassi, giornalista ed ex-inviato di guerra in Afghanistan, il governo afghano da sempre vi si è opposto senza offrire alternative, mentre i Talebani ne incitavano la produzione con il fine di incassare grandi percentuali sulle vendite dell’oppio ogni anno. Negli anni alcuni coltivatori afghani avevano chiesto aiuti su coltivazioni alternative, trovando l’opposizione del governo. Quello dell’oppio è tuttora un affare internazionale che, con l’aiuto di burocrati corrotti, di 150 gruppo mafiosi e di 2.000 gruppi criminali, contribuisce in 9.000 tonnellate metriche l’anno. Dal 2016 all’aprile 2018 c’è stato un incremento del 87% attraverso coltivazioni di papaveri da oppio che sono aumentate del 63%. Le coltivazioni per oppio e hashish sono le principali fonti d’economia nel Sud del Paese, mentre in questi anni anche a Nord si sono diffuse queste coltivazioni.

Nel 2017 sono stati prodotti 9 milioni di kilogrammi di oppio con un incremento quasi del 100% rispetto all’anno precedente. La guerra ha ampliato la produzione di droga se pensiamo che nel 2001, quando è iniziata la guerra, furono prodotti solo 180 kg di oppio.

Una parte di questo oppio viene trattato e trasformato anche in eroina di cui, nel 2017, ne sono stati prodotti circa 500.000 kg. Ci sono stati inoltre altri 500.000 kg di oppio che non sono finiti in mano ai “cartelli della droga”, ma bensì alle case farmaceutiche. La maggior parte dei farmaci venduti al mondo è a base di oppio e la guerra in Afghanistan è stato un grande business per Big Pharma. Un’inchiesta portata avanti dal Fracassi e da sua moglie portò alla luce che la maggior parte dei generali della NATO in Afghanistan non si occupano di guerra o di  ricostruzioni, ma di lobbismo per case farmaceutiche, occupandosi di trattare il prezzo dell’oppio per conto loro.

Ad oggi la maggior parte della produzione d’oppio si trova nella regione di Helmand, dove si trovano truppe americane e britanniche,  con la coltivazione concentrata in un’area di 3.280 km quadrati che genera un giro d’affari di 250 miliardi di dollari annui circa. Sempre secondo l’inchiesta portata avanti da Fracassi, di questi solo 1 miliardo circa finisce nelle mani di fondamentalisti come Al Qaida e l’Isis.

Nel 2001 negli Usa c’erano 180mila eroinomani, mentre nel 2019 il numero è cresciuto fino a 4,5 milioni.

Oltre 90 miliardi di dollari l’anno è il fatturato delle case farmaceutiche vendendo farmaci a base di oppiacei, di cui una buona parte proviene dall’Afghanistan e la cui produzione è aumentata del 5.000.000% da quando è iniziata la guerra circa 20 anni fa.

Questo scandalo può farci riflettere su ciò che è successo di recente, alla luce dello scandalo di Purdue e della “crisi degli oppiacei” negli USA in cui case farmaceutiche hanno venduto per anni farmaci a base di oppio portando questi medicinali nella lista dei più venduti al mondo grazie ad un eccesso di prescrizioni.

Il 24 novembre 2020 la Purdue Pharma, azienda produttrice dell’Oxycontin, un farmaco che avrebbe dovuto «alleviare la sofferenza», e invece ha finito per provocarne moltissima, si è dichiarata formalmente colpevole ed è andata a un accordo con il Dipartimento di Giustizia statunitense da 8 miliardi di dollari per aver spinto i medici, con false informazioni e addirittura mazzette, a prescrivere le pillole del suo anti-dolorifico pur sapendo che creava dipendenza. Un effetto collaterale così grave da costringere i malati, diventati drogati, a cercare il farmaco al mercato nero o, addirittura, a sostituirlo con la più economica eroina, per poi morire di overdose causata dal Fentanyl con cui l’eroina viene tagliata.

Questo ha generato una vera e propria strage che dal 1999 al 2019 ha mietuto tra le 400.000 e le 500.000 vittime, più di quelle della crisi sanitari da Covid-19 in Italia, più della guerra del Vietnam e dell’Aids.

La “crisi degli oppiacei” in Usa, ad oggi ha portato alla sentenza Johnson & Johnson in Ohio, in cui  ci sono oltre 2.000 cause pendenti contro diversi produttori. Secondo le autorità Usa i farmaci oppiacei hanno provocato 400.000 morti per overdose dal 1999 al 2017 e la casa farmaceutica Johnson & Johnson è responsabile di aver alimentato la crisi degli oppiacei in Oklahoma, dovendo pagare 572 milioni di dollari per rimediare alla devastazione creata dall’epidemia nello Stato. Questa è la storica decisione del giudice distrettuale della contea di Cleveland, Thad Balkman, nel primo processo contro un produttore di oppiacei, considerato un termometro per le altre 2.000 azioni legali avviate negli Stati Uniti contro diversi produttori, distributori e rivenditori dei medicinali incriminati. Il problema di fondo è stato che oltre il 6% dei pazienti che hanno iniziato un trattamento, a seguito di un’operazione o per la gestione del dolore, hanno continuato ad assume farmaci a base di oppiacei anche dopo la convalescenza. Alla fine degli anni ’90 circa un terzo della popolazione americana (100 milioni di persone) soffriva di dolori cronici e questo ha spinto le società farmaceutiche ad aumentare la produzione di farmaci antidolorifici.

Non è un caso infatti, guardando anche i dati dell’incremento della coltivazione di oppio afghano, che tra il 1991 e il 2011 le prescrizioni negli Usa sono triplicate, da 76 milioni a 219 milioni di ricette l’anno, per poi arrivare nel 2016 con 289 milioni di ricette.

I farmaci più prescritti sono a base di Ossicodone e Idrocodone, il cui rischio di dipendenza è elevato e che  sono popolari anche come droghe ricreative. A causa dei loro effetti sulla parte del cervello che regola la respirazione, dosi elevate di oppiacei possono causare insufficienza respiratoria e morte. La morte per overdose diventa la principale causa di decesso tra gli under 50 negli Usa, e in 2 casi su 3 si tratta di farmaci oppiacei.

Dal 2010 il numero di prescrizioni annue sta lentamente diminuendo, ma il numero è ancora alto se pensiamo che nel 2017 vi erano ancora 58 prescrizioni ogni 100 americani, con una percentuale più alta nei piccoli centri abitati con un elevato tasso di disoccupazione e mancanza di assicurazione.

A fine luglio 2021, lo Stato di New York ha annunciato che Johnson&Johnson e altre tre aziende farmaceutiche, accusate dalle autorità statunitensi di aver alimentato la crisi degli oppioidi, hanno patteggiato e sono pronte a sborsare 26 miliardi di dollari per chiudere il contenzioso e porre fine a circa 4’000 azioni giudiziarie intentate da decine di Stati. Nel dettaglio Johnson&Johnson pagherà 5 miliardi di dollari spalmati su nove anni, mentre i distributori McKesson, Cardinal Health e AmerisourceBergen 21 miliardi nell’arco di 18 anni.

Facendo un bilancio, la guerra in Afghanistan è stata un beneficio non per gli afghani, ma per le case farmaceutiche occidentali, i produttori di armi, le società di mercenari, le mafie anche italiane, le organizzazioni terroristiche islamiche, ma soprattutto gli Stati capitalisti.