I diritti digitali in Palestina

Il regno digitale come spazio e mezzo di controllo, nonché strumento di resistenza.

Di Nadim Nashif – ottobre 2021

Lo scorso maggio, attraverso storie su Instagram e hashtag su Twitter, i giovani palestinesi hanno potuto far sentire la loro voce in tutto il mondo e mobilitare una rivolta nelle parti frammentate della Palestina occupata. La rivolta è iniziata con una richiesta di sostegno da parte di Muna e Mohammed El-Kurd, attraverso i loro account personali sui social media, per fermare lo sfollamento forzato in corso nel loro quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme. Presto i fratelli gemelli hanno fatto  notizia sui media internazionali e hanno portato centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo a marciare per la loro causa in alcune delle più grandi manifestazioni della storia a sostegno della Palestina.

I palestinesi si sono da tempo rivolti agli strumenti digitali per combattere le difficoltà imposte loro dall’occupazione. Usano Internet dagli anni ’90 per connettersi tra loro e con il mondo, nonostante la frammentazione territoriale. I funzionari palestinesi hanno fatto riferimento alla crescente presenza della Palestina nel mondo digitale come parte della “creazione di uno Stato indipendente” e persino della “liberazione”.*1  D’altra parte, i funzionari israeliani hanno continuato a contestare la presenza e la narrativa palestinesi nell’ambito digitale. Nel 2009, il Primo Ministro israeliano ha dichiarato esplicitamente che qualsiasi futuro Stato palestinese “non dovrebbe avere il controllo sui suoi social media”.*2

In Palestina, le gravi violazioni dei diritti umani commesse sotto l’occupazione israeliana si rispecchiano ampiamente nel mondo virtuale. Ciò è particolarmente evidente nel dominio di Israele sulle infrastrutture. Allo stesso modo, Israele mantiene il controllo sulle risorse naturali e le distribuisce in modo ineguale a favore dei cittadini israeliani. Quasi tutte le infrastrutture tecnologiche dell’informazione e delle comunicazioni in tutto il territorio palestinese occupato esistono sotto il controllo israeliano. Tutti i collegamenti nazionali e internazionali effettuati su telefoni, cellulari e Internet in Palestina devono prima o poi passare attraverso la rete israeliana. Ciò ha reso i servizi per i palestinesi significativamente più costosi e di qualità inferiore rispetto a quelli da parte israeliana. Di conseguenza, queste limitazioni rappresentano una seria minaccia al diritto dei palestinesi di accedere a Internet.

Oltre all’uso da parte di Israele del regno digitale come spazio di controllo, esso lo ha anche usato come mezzo per controllare i palestinesi. In primo luogo, Israele ha ripetutamente arrestato palestinesi per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione sui social media. Questi arresti sono stati sostenuti dalla legislazione israeliana che definisce vagamente “terrorismo” e “incitamento” e identifica arbitrariamente le parole con le azioni della vita reale. Uno dei casi più recenti è forse l’arresto di Muna e Mohammed El-Kurd dalla loro casa a Sheikh Jarrah a Gerusalemme, con l’accusa di “minaccia alla sicurezza nazionale”*3 per essersi espressi  sui social media contro lo spostamento forzato.

Oltre al governo israeliano, anche le società private israeliane minacciano i diritti digitali dei palestinesi. In un’indagine del 2019, ad esempio, è stato rivelato che la società tecnologica di sorveglianza israeliana AnyVision aveva utilizzato i dati facciali dei palestinesi, senza il loro consenso, nello sviluppo delle sue tecnologie di riconoscimento facciale. Inoltre, un gruppo di organizzazioni internazionali della società civile ha recentemente rivelato l’uso dello spyware prodotto da Israele noto come “Pegasus” nel prendere di mira oltre 50.000 attivisti e personaggi pubblici in tutto il mondo.

Tali violazioni sono commesse anche da società tecnologiche internazionali. Facebook, ad esempio, continua a lavorare con l’Unità Cibernetica del Ministero della Giustizia israeliano per censurare presunti discorsi di “incitamento” e “odio” da parte dei palestinesi. Ironicamente, Facebook ha fatto ben poco per combattere l’incitamento all’odio in ebraico contro i palestinesi. Altri esempi includono il rifiuto di Google di porre fine alla discriminazione contro gli utenti palestinesi attraverso le sue mappe, l’elenco di proprietà di Airbnb negli insediamenti illegali e il rifiuto di PayPal di estendere i suoi servizi alla Palestina, mentre funziona normalmente nelle aree israeliane, compresi gli insediamenti illegali.

Nell’arena interna, l’Autorità Palestinese ha usato la sua legge sulla criminalità informatica per mettere a tacere le voci palestinesi critiche e di opposizione attraverso arresti e blocchi di siti web. Allo stesso modo, Hamas usa il proprio codice penale sull “uso improprio della tecnologia” per reprimere attivisti e giornalisti. Tali continue violazioni possono ulteriormente sfociare nel preoccupante  fenomeno  degli utenti che spinti  della paura iniziano ad auto-censurarsi . È più probabile che ciò accada ai più vulnerabili nella società palestinese, quelli per i quali Internet è spesso una via essenziale per la comunicazione, l’espressione e la ricerca di sostegno.

I diritti digitali si riferiscono agli stessi diritti umani di cui godono tutte le persone nel mondo al di fuori di internet, ma estesi nel regno digitale. Questi includono il diritto alla privacy, alla libertà di espressione, alla libertà di riunione e associazione. Molti paesi hanno inoltre riconosciuto l’accesso a Internet come un diritto umano fondamentale.*4

Nonostante le violazioni commesse da più parti, il regno digitale ha continuato a rappresentare uno spazio attivo e prezioso per i palestinesi per far sentire la propria voce alle autorità, alla comunità internazionale e al mondo. Ciò è stato più evidente nel maggio 2021, quando abbiamo visto i giovani palestinesi utilizzare i social media in modi creativi per difendere i diritti umani palestinesi e mobilitare sostegno a livello locale e internazionale.

Nell’ambito della campagna sui social media #SaveSheikhJarrah, ad esempio, lanciata dagli ormai noti fratelli gemelli Muna e Mohammed El-Kurd attraverso i loro account privati ​​sui social media, i giovani palestinesi sono stati in grado di difendere a livello internazionale il loro diritto ad essere protetti dagli sfollamenti forzati, poiché centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo hanno manifestato a sostegno del quartiere di Sheikh Jarrah.

I palestinesi ancora una volta hanno usato i social media e gli strumenti digitali per difendere il loro diritto alla libertà di espressione in risposta all’uccisione dell’attivista Nizar Banat, molto attivo nei social media, da parte dell’Autorità Palestinese. Gli utenti hanno condiviso opere d’arte, video, dichiarazioni e statistiche per aumentare la consapevolezza sull’accaduto e hanno mobilitato grandi proteste che hanno avuto luogo in tutti i territori occupati e persino nella diaspora.

Allo stesso modo, i giovani palestinesi hanno continuato a mobilitarsi attraverso i social media e gli strumenti digitali, anche per combattere le ingiustizie sociali interne, come la violenza di genere, costruendo comunità, sensibilizzando a livello locale e internazionale e organizzando azioni online e offline. Ciò è stato evidente, ad esempio, nel movimento femminista palestinese Tal3at, che è iniziato per la prima volta tramite post online su una varietà di piattaforme di social media in risposta al “delitto d’onore” di Isra’ Ghrayib nel 2019.

*1 Helga Tawil-Souri, “Intifada 3.0? Cyber-Colonialismo e Resistenza Palestinese”. Arab Studies Journal,  2014.

*2 Helga Tawil-Souri, “Occupazione Digitale: Limitare lo Sviluppo Tecnologico di Gaza”, Journal of Palestine Studies, 2012.

*3 BBC, “Israele Arresta l’Attivista Palestinese Muna el-Kurd a Gerusalemme Est”, 6 giugno 2020. Estratto da https://www.bbc.com/news/ world-middle-east-57376550.

*4 7amleh, “Conosci i Tuoi Diritti Digitali”, 2020. Estratto da https://7amleh.org/storage/ Research%20and%20Position% 20Papers/Digital_Rights_ English.pdf.

Nadim Nashif è un imprenditore sociale e difensore dei diritti digitali. È anche fondatore e direttore esecutivo di 7amleh, Il Centro Arabo per lo Sviluppo dei Social Media, organizzazione palestinese per i diritti digitali, e co-fondatore di Wusul Digital Academy, un centro formativo di promozione digitale. Nadim è anche un analista politico senior per Al-Shabaka: The Palestine Policy Network. Negli ultimi 20 anni, ha lavorato su questioni relative allo sviluppo della gioventù e della comunità, tra cui la fondazione e la direzione di Baladna, l’Associazione per la Gioventù Araba.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org