Arabpop: trasformare l’anti-arabismo italiano in una meraviglia mediatica creativa

Il sentimento anti-arabo è ancora persistente nella politica e nella società italiana, ma una nuova rivista letteraria e culturale mira a sfidare questi stereotipi dannosi e le inquadrature orientaliste concentrandosi sulla vita quotidiana di coloro che vivono nel mondo arabo.

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Farah-Silvana Kanaan – 28 ottobre 2021

Quando il cantante italo-egiziano Mahmood vinse il festival musicale italiano di Sanremo nel 2019, l’allora vice primo ministro Matteo Salvini del partito di destra della Lega Nord, si affrettò a mostrare il suo malcelato disgusto su Twitter.

Mentre la carriera di Mahmood ha conosciuto un’ascesa fulminea – diventando uno degli artisti più popolari della musica italiana contemporanea, con altri italiani con radici arabe che abbracciano la loro identità e rivendicano con orgoglio uno spazio dinamico nel paese che chiamano casa – il sentimento anti-arabo in Italia è ancora molto palpabile e continua senza sosta e senza vergogna.

 “In Italia c’è un’idea del mondo arabo ancora un po’ antiquata e retrograda. Le cose che vengono in mente ai più sono il terrorismo, il fanatismo religioso e il velo. Quindi abbiamo voluto cambiare un po’ l’immaginario, soprattutto con le immagini”

Questo è ciò che ha ispirato la traduttrice ed editrice Chiara Comito nello scrivere il libro sulla cultura e la letteratura araba insieme alla collega arabista Silvia Moresi, libro accolto con entusiasmo e feedback positivi sia dai lettori che dalla critica. Il libro dedica un capitolo a 13 diversi tipi di arte nel mondo arabo.

Come si conviene, la rivista Arabpop ha trovato spazio nella casa editrice indipendente napoletana Tamu: il sud italiano è sempre stato più pronto ad abbracciare la sua cultura araba, spesso deriso dai politici italiani di destra e dai loro sostenitori, che sognano apertamente di dividere l’Italia in Nord e Sud e  riferendosi spesso al Sud come ‘Africa’, ‘Marocco’ o qualcosa del genere.

Sempre più meridionali stanno (ri) rivendicando questa identità creando più spazio e curiosità verso questa complessa identità culturale.

La rivista a colori di 140 pagine è tanto varia quanto l’angolo particolare del mondo che intende evidenziare. Ed è allo stesso tempo dinamica come gli spazi che i suoi collaboratori abitano in tutto il mondo.

Mentre il team di redattori è completamente italiano, alcuni giornalisti che contribuiscono sono italiani con un background arabo, mentre la maggior parte degli scrittori sono arabi.

Curando e traducendo il lavoro di poeti, scrittori, artisti visuali e giornalisti arabi contemporanei su un tema specifico, Arabpop mira a colmare una lacuna nell’accessibilità alle storie arabe rivolgendosi specificamente alle persone interessate a ciò che accade nel mondo arabo al di là dei titoli quotidiani.

“Abbiamo volutamente deciso di pubblicare una rivista in italiano perché, pur essendo ricca di testi accademici da reperire, sulla cultura araba si scrive poco che sia adatto al grande pubblico”, afferma Comito. “In Italia c’è un’idea del mondo arabo ancora un po’ antiquata e retrograda. Le cose che vengono in mente alla maggior parte delle persone sono il terrorismo, il fanatismo religioso e il velo. Quindi volevamo cambiare un po’ l’immaginazione, specialmente  attraverso le immagini”.

Anche se questa intenzione avrebbe potuto facilmente condurre nella direzione opposta: una trappola in cui cadono molti media stranieri, cercando ossessivamente di promuovere l’idea di eccezione all’interno dell'”alterità”, come fotografare o descrivere una donna in un abito  succinto come se in quel particolare contesto fosse insolita. Arabpop offre invece una normalità piacevolmente casuale.

Che tu sia immerso nella scena del cabaret e del punk rock in Egitto, per passare poi al festival femminista queer Chouftohonna in Tunisia, o che tu stia sfogliando l’Educational Bookshop, un piccolo faro incrollabile di resistenza nel cuore di Gerusalemme Est, non c’è mai una fastidiosa sensazione di alterità che si insinua in te.

Al contrario; ti sembra di allontanarti per un attimo dal rumore e dalla negatività che spesso sono sinonimo di notizie dal mondo arabo. “Era esattamente l’idea che avevamo in mente”, dice Comito con un sorriso. “Volevamo cambiare l’immagine dominante con storie diverse, ma mostrando rispettosamente i paesi e le persone per come sono e non come alcune persone vorrebbero percepirle”.

“Non solo Arabpop sfida con successo la nozione di alterità, ma dimostra giocosamente che i creativi nel mondo arabo lottano con gli stessi demoni e celebrano le stesse gioie presenti in Italia e in qualsiasi altra parte del mondo”

Sebbene sia solo una coincidenza che Arabpop sia uscito quasi esattamente 20 anni dopo l’11 settembre, Comito fa riferimento all’estremo aumento del sentimento anti-arabo e anti-musulmano che si è manifestato da allora, sia in politica che nella società. “Lo dico ad ogni presentazione: gran parte del problema sono i media, che negli ultimi 20 anni dall’attacco alle Torri Gemelle hanno scatenato una terrificante propaganda anti-islam e anti-paesi arabi”.

Mentre il tema ufficiale del primo numero è “Metamorfosi”, due fili rossi che possono essere individuati nelle 140 pagine piene di parole e immagini sono l’attivismo anti-establishment e la solidarietà con gli oppressi. Anche se non necessariamente in modo predicatorio o invadente, spesso sono argomenti che traspaiono o possono essere letti tra le righe.

La Palestina, che per Chiara è la ragione per cui ha deciso di studiare l’arabo all’università “come tanti italiani che scelgono di farlo” è in primo piano, con uno sguardo approfondito sulla mediamorfosi del cinema palestinese a partire dalla Nakba di Giovanni Vimercato e con una splendida poesia della poetessa palestinese Carol Sansour.

Ma la vera sorpresa è poter visitare così tante scene specifiche in una così immensa varietà di luoghi visti attraverso una gamma quasi vertiginosa di occhi e menti.

Il lettore inizia il suo viaggio a Tangeri, in un racconto tradotto per la prima volta in italiano da Mohammed Said Hjiouij, e finisce al confine tra Tunisia e Libia in un poema grafico da infarto (chiamarlo fumetto sarebbe riduttivo ) “Non è la nostra guerra “di Rania Majdoub e Issam Smiri. Con soste a volte contemplative e a volte vorticose in una varietà di città in Iraq, Kuwait, Algeria, Siria e Oman.

Il primo numero presenta una dedica speciale a Beirut, che si sta ancora riprendendo dall’orribile esplosione del porto del 4 agosto dello scorso anno e dalla miriade di altre offese che i suoi cittadini hanno subito da allora. La città è sia compianta che celebrata dall’artista e regista Roy Dib nella sua storia “The Apartment2: “Mi hanno rubato la mia città. La mia città. Da allora, il mio appartamento è diventato la mia città”.

Rasha Chatta fa un tuffo profondo nel mondo dei fumetti libanesi, cercando di capire come le persone disegnano il ritmo di una città che cambia, dopo di che il lettore è intrattenuto con gemme contemplative di Lina Merhej, Lina Ghaibeh e JAD (George Khoury). In un estratto dal suo libro di recente pubblicazione, “Lebanon October”, Camille Ammoun ci guida per le strade di Beirut dall’inizio della Rivoluzione d’Ottobre fino al giorno dell’esplosione del porto.

Altri punti salienti includono un estratto dal libro del 2016 “Paolo” del celebre scrittore egiziano Youssef Rakha, tradotto in modo così attento che vorresti che tutti potessero leggere l’arabo tradotto in italiano: la cadenza, la poesia del mondano, il flusso della storia mostra quanto perfettamente le due lingue ondeggiano insieme se accostate con la passione per la lingua e la cultura e l’attenzione per i dettagli.

Arabpop non solo sfida con successo la nozione di alterità, ma dimostra giocosamente il fatto che i creativi nel mondo arabo lottano con gli stessi demoni e celebrano le stesse gioie presenti in Italia e in qualsiasi altra parte del mondo.

Potrebbe sembrare una piccola impresa, ma in un mondo che gira su click e like, dove c’è sempre meno spazio per sfumature e ambiguità, potrebbe essere considerato un piccolo atto di resistenza.

Farah-Silvana Kanaan è una giornalista freelance di Beirut

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org