Anche nella morte, i palestinesi subiscono umiliazioni ignobili

L’ultimo oltraggio sta avvenendo nel cimitero di al-Yusufiyah, secolare cimitero musulmano nella Gerusalemme occupata.

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Di Andrea Mitrovica – 1 novembre 2021

Immagine di copertina: La scorsa settimana, una madre palestinese si è aggrappata alla tomba di suo figlio mentre le forze israeliane cercavano  di rimuoverla con la forza. (Agenzia Mostafa Alkharouf-Anadolu)

Anche nella morte, i palestinesi, a quanto pare, non trovano tregua dai funzionari israeliani intenti a privarli della loro dignità e umanità.

L’ultima profanazione sta avvenendo nel cimitero di al-Yusufiyah, secolare cimitero musulmano nella Gerusalemme occupata.

La scorsa settimana, i bulldozer israeliani hanno iniziato a livellare il terreno dentro e vicino al cimitero per far posto a un cosiddetto “Sentiero biblico”, una serie di parchi a tema nel sud della Città Vecchia.

Domenica scorsa, un tribunale israeliano ha confermato il lavoro di “liquidazione”. Questo nonostante i resti, stando a quanto si dice di soldati giordani, siano già stati esumati ed esposti in una sezione del cimitero che le autorità israeliane hanno definito “non autorizzata”, qualunque cosa questo significhi.

Quella indecente violazione ha scatenato il comprensibile panico tra i palestinesi per il fatto che i loro cari sepolti avrebbero subito lo stesso osceno destino.

Le rassicurazioni israeliane che i “siti di sepoltura autorizzati”, qualunque cosa questo significhi, non sarebbero stati danneggiati, non hanno  placato le paure palestinesi.

Lo sceicco Muhammad Hussein, Gran Mufti di Gerusalemme, ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters che il parco, la cui apertura è prevista per la metà del 2022, è un oltraggio sacrilego all’antico cimitero.

“Le tombe degli esseri umani non possono essere violate, indipendentemente dal genere, dalla nazionalità o dalla religione”, ha affermato.

Le immagini e il video della scena mostrano i bulldozer impegnati a livellare la terra all’ombra delle tombe musulmane “autorizzate”.

Una madre palestinese non lo era.

Vestita di nero, Ola Nababteh, si è sdraiata  sulla tomba di suo figlio come un sudario umano. È stato, allo stesso tempo, un atto di sfida e di resistenza, alimentato dall’amore e dall’istinto di una madre di proteggere un figlio che ha perso quattro anni fa e che ancora piange.

“Continuano a minacciare di demolire le tombe”, ha detto Nababteh. “Questo è l’apice della brutalità”.

Com’era prevedibile, la determinazione di Nababteh di proteggere la santità della tomba di suo figlio è stata affrontata con una forza estrema. Decine di poliziotti israeliani ben armati hanno circondato Nababteh mentre singhiozzava tenendosi stretta alla lapide del figlio, una scatola rossa piena di fiori secchi in cima alla lapide bianca. Per tutto il tempo, i bulldozer si sono aggirati  nelle vicinanze.

Una giovane donna palestinese ha cercato di consolare Nababteh e di intervenire. È stata allontanata quando la polizia israeliana ha preso per le braccia Nababteh ,strappandola dalla grande e semplice tomba di suo figlio.

Nababteh ha sfidato la polizia come meglio ha potuto, stendendosi sopra la lapide. Più tardi, si è alzata. Un agente di polizia l’ha afferrata per il collo stringendole la gola e spingendola via. Brandendo manganelli, la polizia ha anche sparato granate stordenti e usato cannoni ad acqua putrida per disperdere i palestinesi che si erano radunati nelle vicinanze.

Nababteh è indomabile.

“Continuerò a stare con mio figlio 24 ore al giorno”, ha detto. “Anche se mi uccidono, non me ne andrò da qui. Non permetterò che la tomba di mio figlio venga rimossa”.

Alla fine, lo Stato di Israele deciderà il destino di Nababteh e del luogo di riposo di suo figlio: al diavolo il diritto internazionale, i codici dei diritti umani e la decenza.

I palestinesi imprigionati esercitano poco, se non nessuno, controllo sulle proprie vite e sul loro futuro, incluso, a quanto pare, dove possono e non possono essere sepolti.

Ma, naturalmente, Arieh King, vice sindaco di Gerusalemme, non la vede così. Ha detto a Reuters che la polizia ha forzatamente allontanato Nababteh per la sua sicurezza e ha insinuato che dovrebbe essere grata per gli scavi al cimitero e nelle vicinanze, poiché il nuovo parco fornirà ai palestinesi un accesso più facile alla Città Vecchia.

Si tratta dello stesso Arieh King che il quotidiano israeliano Haaretz ha definito “famoso” per essere stato “accusato di razzismo” dopo che, tra le altre cose detestabili, i suoi manifesti elettorali paragonavano la chiamata alla preghiera musulmana con il canto di un gallo e inneggiavano all’espulsione delle famiglie palestinesi dalle loro vecchie e amate case nel quartiere assediato di Sheikh Jarrah.

Sospetto che Nababteh e le altre famiglie palestinesi i cui parenti sono sepolti nel cimitero di al-Yusufiyah sappiano che, dati i suoi precedenti, il vicesindaco non ha a cuore la loro sicurezza ed è improbabile che esprimano gratitudine per la sua ospitalità e per un parco.

Le minacce e le coercizioni che i palestinesi che vegliano sul cimitero di al-Yusufiyah devono affrontare sono un microcosmo delle “circostanze attuali” nella Palestina occupata a cui alludeva l’autrice irlandese Sally Rooney quando  il mese scorso decise di non permettere che la sua ultima opera di narrativa fosse tradotta in ebraico da un editore israeliano.

È una faida di perdite, minacce, oltraggi e oscenità che i palestinesi hanno dovuto sopportare a lungo.

La piccola ma meditata espressione di solidarietà di Rooney con i palestinesi come Nababteh, ha spinto i suoi oppositori a precipitarsi sulla stampa e alla radio per sminuirla, deriderla, ridicolizzarla e condannarla con una sorta di infantile esultanza solitamente riservata ai primi ministri e ai presidenti criminali, non ad autori trentenni affermati.

La determinazione di Rooney di rendere visibile il dolore e la sofferenza troppo spesso invisibili dei palestinesi e la reazione ad essa hanno attirato molta attenzione perché lei è qualcuno.

Nababteh è un nessuno, per giunta un nessuno palestinese. Al di fuori di Al Jazeera, Reuters e alcuni siti di notizie con sede in Medio Oriente, quello che le è successo nel  cimitero di al-Yusufiyah non ha registrato un briciolo di copertura tra i redattori di notizie e pagine di opinione che hanno scatenato un esercito di giornalisti ed editorialisti rabbiosi per dissezionare e in gran parte crocifiggere Rooney (un qualcuno) per aver solidarizzato, metaforicamente parlando, con Nababteh (un nessuno).

Nel loro odioso calcolo, il gesto di sostegno di Rooney ai palestinesi “nella loro lotta per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza” giustifica la loro collera e disapprovazione, mnetre non lo fanno  le perdite, le minacce, le indegnità e le oscenità che l’hanno innescata.

Israele sarà sempre innocente. Sally Rooney sarà sempre una stupida sciocca per aver sfidato anche leggermente “l’innocenza” di Israele. E Ola Nababteh, una palestinese, sarà sempre un nessuno dimenticabile.

Silenziosi e assenti sono anche i politici superficiali  che sono rimasti così sconcertati dopo che Israele ha annunciato la scorsa settimana che diversi gruppi palestinesi per i diritti umani, che hanno documentato gli oltraggi e gli abusi perpetrati ripetutamente sui palestinesi, sono covi di “terroristi”.

Lentamente, inequivocabilmente, Israele sta, infatti, dichiarando che qualsiasi palestinese, qualsiasi cosa faccia, in qualsiasi momento, per denunciare, documentare o resistere alla persecuzione sanzionata dallo Stato dei palestinesi nella Palestina occupata, è un “terrorista” che può essere perquisito, arrestato e imprigionato per il tempo che Israele vorrà, spesso in isolamento.

Sono sorpreso che Nababteh non sia stata arrestata come “terrorista” per aver osato difendere la tomba di suo figlio da una possibile demolizione.

Lei, come ogni famiglia palestinese con una persona cara sepolta al cimitero di al-Yusufiyah, dovrà fare affidamento sulla parola di un vice sindaco accusato di “razzismo” con una propensione a cacciare i palestinesi dalle loro case per fare spazio a molti intransigenti coloni e su uno Stato che, più o meno, considera la maggior parte dei palestinesi come “terroristi”, che il cimitero rimarrà intatto, per il momento.

Definitemi uno sciocco, un credulone o anche peggio se dovete, ma Ola Nababteh e le altre famiglie palestinesi in lutto hanno buone ragioni per rimanere poco convinte e all’erta.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org