Più di 40 anni dopo “Orientalismo” di Edward Said, la stampa britannica ancora non lo capisce.

Nonostante Edward Said lo abbia messo in luce 43 anni fa, l’orientalismo è vivo e vegeto nella stampa britannica. Per superarlo, i media non dovrebbero solo analizzare come riportano le notizie, ma anche fare veri cambiamenti interni.

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Anttoni James Numminen – 8 novembre 2021

Immagine di copertina: Giornalisti lavorano all’interno del media center alla Conferenza COP26 delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, a Glasgow, in Scozia, il 1 novembre 2021. [Getty]

Potremmo presumere che più di 40 anni dopo che la nozione di orientalismo è entrata per la prima volta nella coscienza pubblica, nel media odierni sia diventata un concetto obsoleto, o almeno non prevalente nelle raffigurazioni di Paesi, culture e popoli del Medio Oriente o dell’Asia.

Ma guardando quasi tutti i giornali o tabloid del Regno Unito, si troverà che l’eredità dell’orientalismo è ancora viva e vegeta in gran parte delle notizie e delle rubriche di opinione. Non solo ciò è deludente e testimonia l’incapacità dell’industria dei media di evolversi, ma lo è ancor di più in quanto si persiste anche nella promozione della superiorità occidentale, che a sua volta ha conseguenze nella vita reale – dalla giustificazione di campagne militari illegali alla normalizzazione di discorsi discriminatori e razzisti.

Pubblicato per la prima volta nel 1978, il libro fondamentale di Edward Said “Orientalismo” è arrivato a plasmare vari aspetti della vita moderna, che vanno dalla discussione post-coloniale alle analisi culturali. L’argomento chiave dell’accademico americano-palestinese riguarda come una visione del mondo incentrata sull’Occidente abbia creato una narrativa della superiorità occidentale che include non solo il diritto, ma anche la necessità di intervenire nei paesi del Medio Oriente, cioè “l’Oriente” in generale.

Said ha scritto che l’orientalismo è “un modo di venire a patti con l’Oriente che si basa sul posto speciale dell’Oriente nell’esperienza occidentale europea”.

 “Ma se si analizzano quasi tutti i giornali o tabloid nel Regno Unito, si troverà l’eredità dell’orientalismo ancora viva e vegeta in gran parte delle notizie e nelle rubriche di opinione”

È interessante notare che, quando si tratta di orientalismo, un malinteso comune a riguardo è che se l’Oriente o la cultura orientale vengono lodati, allora questo non è un atto di orientalismo. Tuttavia, questo tipo di pensiero viene direttamente dal copione coloniale, dove l’imperialismo era giustificato sulla base del dovere dell’Occidente di aiutare a “modernizzare” un Medio Oriente “arretrato”.

Purtroppo molti di coloro che si definiscono “antirazzisti” sono molto inclini a fare affidamento su questi tropi. In questo senso, un buon numero dei recenti articoli sull’Afghanistan e sui rifugiati afgani che ho visto di recente non avevano fondamentalmente aspetti negativi della storia anzi, molti di essi erano piuttosto “positivi”,  ma erano comunque intrisi di discorsi orientalisti. Gli esempi più eclatanti erano così pieni di saviorismo bianco da domandarsi come avessero potuto essere autorizzati alla pubblicazione.

Per fare un esempio, un articolo pubblicato dall’Independent su “donazioni di miglia per i voli destinati ai rifugiati”,  parlava di come “è stimolante vedere il popolo e il pubblico americano riunirsi per accogliere i nostri nuovi vicini afghani”. L’articolo era pieno di elogi per l’azione americana e occidentale nell’aiutare i rifugiati afghani, e su tutto ciò che “loro”, i rifugiati, significavano per gli americani, senza  mai citare il popolo afgano, per non parlare del ruolo del governo e delle aziende statunitensi nel creare la crisi attuale.

Potrei continuare, ma per brevità darò solo un altro esempio, e particolarmente scioccante, questa volta dal Telegraph, in un articolo intitolato “Famiglie britanniche si preparano ad accogliere i rifugiati afghani nelle loro case”, come perfetto esempio di come l’Oriente sia, come dice Said, “definito dal posto speciale nell’esperienza occidentale”.

La premessa del pezzo ruota attorno alle aspettative dei britannici della classe media. Uno degli intervistati cita la possibilità di “incontrare qualcuno con cui probabilmente non avrei incrociato la strada”, mentre un altro dice: “abbiamo detto [ai nostri figli] che avrebbero imparato molto su qualcuno di un altro paese”.

Come se non fosse già abbastanza grave che le persone in fuga da guerre e persecuzioni non abbiano la possibilità di parlare per sé stesse, esse vengono definite da quelle occidentali e in alcuni casi sono solo un mezzo per quelle stesse persone occidentali per definire sè stesse e le proprie esperienze del mondo. Certo, è lodevole che le persone possano avere buone intenzioni per aiutare chi sta peggio di loro, ma spesso questi atteggiamenti orientalisti perpetuano l’alterità, piuttosto che l’accoglienza.

Non c’è dubbio che l’omogeneità dei media britannici sia alla radice di questa ignoranza e mancanza di comprensione continua quando si tratta della copertura di razza, religione e questioni internazionali. La mancanza di diversità all’interno della sua stessa struttura è evidente, come evidenziato da una relazione del Consiglio Nazionale per la Formazione dei Giornalisti (NCTJ): a partire dal 2021, il 92 per cento dei giornalisti proviene da comunità etniche bianche, solo il due per cento in meno rispetto al 2016.

Ancora: il 90% dei giornalisti è nato nel Regno Unito, con solo il 5% dall’UE27 e il restante 5% dal resto del mondo. Sebbene dal 2016 l’equilibrio di genere sia migliorato, con il 53% dei giornalisti donne, resta ancora molto da fare.

Le organizzazioni dei media dovrebbero riflettere a lungo su sè stesse. Non solo è necessario un cambiamento nel modo in cui vengono riportate le notizie, ma anche un cambiamento radicale a livello istituzionale, ad esempio in termini di chi viene assunto, di chi gestisce l’assunzione e di chi è nominato a posizioni editoriali e ruoli di vertice. I media rimangono una delle professioni più d’élite del Regno Unito, con il rapporto NCTJ che rileva un aumento della “specializzazione” del giornalismo “che potrebbe agire contro i tentativi di aumentare alcuni aspetti della diversità”.

Se non c’è comprensione delle esperienze vissute dalle diverse comunità, la stampa non può rappresentare con precisione e dare voce alle comunità più bisognose di essere ascoltate. Non solo sarebbe la cosa giusta da fare, ma come hanno dimostrato le conseguenze degli attentati dell’11 settembre, quando nelle redazioni c’è poca rappresentanza, c’è poco contrasto  alle decisioni editoriali potenzialmente pericolose.

All’inizio degli anni 2000, l’ambiente dei media è degenerato in narrazioni islamofobe – e molto orientaliste – che hanno rapidamente guadagnato terreno, con impatti che si sentono ancora oggi. NeI discorsi popolari, l’associazione dell’Islam e dei musulmani con il fondamentalismo e il fanatismo ne è un chiaro esempio.

 “Nonostante tutti i suoi difetti, Said sembra aver previsto l’ascesa dell’islamofobia nel discorso dei media occidentali, ma mi chiedo se si aspettasse che guadagnasse un posto così egemonico”

Nel 1981, pochi anni dopo la pubblicazione di “Orientalismo”, Edward Said scrisse un seguito, intitolato ironicamente “Covering Islam”. Esaminando la copertura dei media occidentali dell’Oriente e del mondo islamico, Said fece una potente profezia, ovvero che dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’Islam “sarebbe arrivato a rappresentare il principale diavolo straniero dell’America”.

Nonostante tutti i suoi difetti, Said sembra aver previsto l’ascesa dell’islamofobia nel discorso dei media occidentali, ma mi chiedo se si aspettasse che guadagnasse un posto così egemonico. Questa sfortunata eredità dell’orientalismo prospera nella copertura della stampa; le organizzazioni dei media e i giornalisti dovrebbero esaminare attentamente il modo in cui riferiscono le notizie.

Ma non basta esaminare, occorre un vero cambiamento. Si spera che ciò avverrà con il crescente numero di giovani che si uniscono all’industria dei media.

Anttoni James Nummine è un giornalista e scrittore freelance con un interesse per la ricerca sui media e scrive per numerose pubblicazioni britanniche e internazionali su una vasta gamma di questioni.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org