Con l’espulsione dei Palestinesi, Jaffa potrebbe diventare il prossimo Sheikh Jarrah,

I palestinesi di Jaffa affermano che il governo israeliano sta tentando di espellerli attraverso quella che i residenti sostengono sia una pulizia etnica attraverso il settore immobiliare.

Fonte: English version

Jessica Buxbaum – 13 ottobre 2022

FOTO Un attivista tiene un cartello che dice: “Jaffa non è in vendita”, con i manifestanti che ostacolano il traffico durante una manifestazione contro lo sfollamento dei palestinesi da Jaffa. (Foto: Jessica Buxbaum)

Situato vicino alla costa mediterranea, lo storico quartiere di Ajami a Jaffa è diventato un campo di battaglia tra l’Autorità per le terre israeliane (ILA) e i residenti palestinesi veterani della zona. A circa 1.400 famiglie sono stati notificati ordini di sfratto da parte di Amidar, una società di edilizia residenziale pubblica che in passato ha affermato di eseguire semplicemente gli ordini dell’ILA. Amidar non ha risposto alle richieste di commento di Mondoweiss per questo articolo.

Circa 120.000 palestinesi vivevano a Jaffa prima dell’istituzione dello stato israeliano nel 1948. Tuttavia, prima e durante la fondazione dello stato, i palestinesi fuggirono o furono espulsi dalla città portuale dalle forze paramilitari sioniste in quella che oggi è conosciuta come la Nakba (o catastrofe in Arabo). Di conseguenza, oggi a Giaffa rimangono circa 3.200 palestinesi.

Secondo la legge israeliana, le proprietà lasciate dai palestinesi in fuga dalla Nakba sono considerate assenti o abbandonate e sono cadute sotto la proprietà dell’ILA.

“Lo stato si è appropriato delle loro terre d’origine”, afferma l’avvocato Amir Badran, membro del consiglio comunale di Tel Aviv-Jaffa. “Stanno parlando dei palestinesi come assenti, e le loro proprietà sono ora proprietà dello stato, anche se [Israele] non ha pagato nulla per loro”.

Molti palestinesi che sono rimasti o sono tornati a Jaffa dopo il 1948 hanno stipulato accordi con lo stato trasformandosi da precedenti proprietari di case in locatari. Attraverso la Protected Tenant Law emanata nel 1972 e originata dal periodo del mandato britannico, i residenti palestinesi pagano una grossa somma per possedere il 60% delle loro case, mentre Israele controlla l’altro 40%. Successivamente, i residenti diventano inquilini protetti pagando un canone mensile notevolmente ridotto ad Amidar per la durata di tre generazioni. Tuttavia, il periodo di tre generazioni è fuorviante, ha spiegato Badran, poiché lo stato considera l’inquilino la prima generazione, il coniuge la seconda generazione e il figlio la terza generazione.

Ora, con molti di questi inquilini di terza generazione di età superiore ai 50 anni e i prezzi delle case a Tel Aviv-Jaffa alle stelle, le autorità statali stanno bussando alle porte degli inquilini chiedendo che acquistino l’unità o se ne vadano.

 

Fatima e Saleem Balbisi stanno davanti alla loro casa di Jaffa che ha un ordine di sfratto.

Espulsi perché palestinesi

Saleem Bilbisi, che vive nella sua casa di Jaffa da quando aveva cinque anni, deve affrontare un Amidar che chiede un prezzo di 2,8 milioni di shekel (circa 782.000 dollari ), un prezzo che la sua famiglia operaia non può permettersi.

“Ci sono ebrei che vivono in case con lo stesso status, ma [Israele] non li prende di mira. Prende di mira solo gli arabi”, ha detto il 61enne.

Secondo gli attivisti che a Jaffa combattono lo sfollamento, solo 400 famiglie circa hanno i mezzi finanziari per acquistare le case, mentre il resto no. Eppure, per alcune famiglie, il problema non è il denaro.

La famiglia Hamati afferma di potersi permettere il prezzo di circa 4-5 milioni di shekel (circa 1 milione di dollari), ma, secondo loro, l’ILA non vuole i palestinesi in queste case.

“Amidar non ha problemi a vendere a me” ha spiegato Charlie Hamati, residente a Jaffa. Per lui, l’ostacolo principale è ILA. “Pensano in modo ideologico e non vogliono gli arabi”.

Hamati, la cui famiglia è a Jaffa dal 1931, vuole acquistare l’intera unità abitativa, ma solo 2/3 della proprietà è in vendita. Questo perché nel 1950 lo stato permise  a una famiglia ebrea di abitare parte della casa per 15 anni. Quindi Amidar gli dice che parte della casa – che contiene la sua camera da letto e quella dei suoi figli – non è sua.

Come a Sheikh Jarrah, i palestinesi di Jaffa stanno subendo un lento e calcolato processo di espulsione. Tuttavia, a differenza di Sheikh Jarrah, il governo non sta attuando questi sfratti per mano di gruppi organizzati di coloni. Invece – affermano gli attivisti – lo stato sta tentando di espellere i palestinesi per fare spazio a ricchi ebrei provenienti dall’estero disposti a pagare prezzi alti per le proprietà sul mare. L’ILA non ha risposto alle richieste di Mondoweiss.

Charlie Hamati  accanto a sua zia, Angel, nella loro casa di Jaffa.

Pulizia etnica attraverso il settore immobiliare

L’idilliaco quartiere di Ajami ha ancora un’aria della vecchia Jaffa. Pareti calcaree, persiane colorate e vicoli ad arco fiancheggiano le strade. All’interno, le case sono adornate con ritratti di famiglia in bianco e nero, alti soffitti affrescati e finestre in stile gotico. Ma decenni di abbandono municipale hanno lasciato le case in rovina con vernice scheggiata e pareti screpolate.

La sorella di Saleem, Fatima Bilbisi, teme che anche l’acquisto della restante percentuale della casa non risolverà il problema della ristrutturazione. In Israele, qualsiasi proprietario di casa che desideri modificare o ampliare la propria casa deve prima richiedere un permesso di costruzione attraverso il comitato locale di pianificazione e zonizzazione. Il processo di approvazione può richiedere mesi e non è garantito.

“Anche se ottieni la casa, hai un periodo limitato durante il quale ti è permesso sistemare  la casa”, ha detto Fatima Bilbisi. “Quindi, [Israele] ci sta imponendo regole molto rigide solo per spingerci fuori”.

Le famiglie stanno lavorando con le organizzazioni locali per coordinare accordi  tra loro e gli enti governativi, con uno di questi accordi che consente alle famiglie di acquistare le case attraverso prestiti della Banca d’Israele e assistenza finanziaria dal comune di Tel Aviv-Jaffa e dall’ILA. Tuttavia, questi accordi non sono ufficiali, in quanto non è stata ancora redatta alcuna garanzia scritta. Il comune non ha risposto alle richieste relative alle azioni intraprese per prevenire questi sgomberi.

“Nel 1948 [Israele] cacciò le persone con le armi e la paura. Ora lo sta facendo con strumenti finanziarie e immobiliari. È solo un altro modo di espellerci!”Fatima Bilbisi

Nel frattempo, attivisti solidali e residenti con avvisi di sfratto stanno attirando l’attenzione sulle proteste settimanali del venerdì in cui bloccano il traffico e chiedono che Jaffa non sia messa in vendita.

Con l’escalation della crisi abitativa di Jaffa, Fatima Bilbisi confronta la situazione attuale di Jaffa con il passato della Nakba.

“Nel 1948, Israele cacciò le persone con le armi e la paura”, ha detto Fatima Bilbisi. “Ora lo sta facendo con strumenti finanziari e immobiliari. È solo un altro modo di espellerci.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org