La normalizzazione del progetto sionista da parte dei regimi arabi non è un fenomeno nuovo, e nemmeno l’opposizione ad esso.
Fonte: English version
Di Yara Hawari – 18 ottobre 2022
Introduzione
Il termine “normalizzazione” è emerso in seguito alla firma del trattato di pace Egitto-Israele del 1979, in cui si affermava che “i firmatari stabiliranno tra loro rapporti normali come Stati in pace tra loro”. In precedenza, i rapporti con il regime israeliano erano più colloquialmente indicati come khiyanah (tradimento o slealtà). In risposta al termine “normalizzazione”, palestinesi e arabi hanno iniziato a usare “anti-normalizzazione” per descrivere il rifiuto di trattare con il regime israeliano come un’entità normale.
Mentre il vuoto dibattito sulla costruzione della pace emerso dagli accordi di Oslo del 1993 ha inizialmente oscurato gli sforzi di anti-normalizzazione, nel 2007 la società civile palestinese ha rinnovato il suo consenso sull’argomento attraverso il Movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS). Il Movimento ha definito chiare linee guida per palestinesi e arabi che sottolineano l’importanza di rifiutare il riconoscimento del regime israeliano come un’entità avente diritto a normali relazioni con coloro che opprime, così come i loro vicini. Ciò include il rifiuto di prendere parte a progetti o eventi che riuniscono palestinesi/arabi e israeliani, in cui la parte israeliana non riconosce i diritti fondamentali dei palestinesi secondo il diritto internazionale e in modo non allineato con lo spirito di co-resistenza. I palestinesi hanno invitato gli arabi ad aderire a queste linee guida in risposta ai persistenti sforzi del regime israeliano per normalizzare la sua presenza colonialista in tutta la regione, prendendo atto della loro storia condivisa e della loro lotta contro il progetto sionista.
Nonostante questo rinnovato appello da parte della società civile palestinese, le politiche dei regimi arabi verso la normalizzazione delle relazioni con il regime israeliano sono cambiate a un ritmo allarmante. Ciò è stato incarnato dagli Accordi di Abramo del 2020, che, anziché portare pace e stabilità nella regione come affermato dai suoi sostenitori, hanno riunito governi autoritari per firmare accordi sulle armi e ulteriore condivisione di informazioni tra agenzie dei servizi.
Tuttavia, la normalizzazione del progetto sionista da parte dei regimi arabi non è un fenomeno nuovo, e nemmeno l’opposizione ad esso. La normalizzazione è stata una caratteristica della geopolitica regionale per un secolo. Pertanto, questo resoconto delinea le manovre di normalizzazione storiche e contemporanee nella regione; traccia poi una distinzione tra i regimi arabi e il popolo arabo, che si è continuamente opposto alla normalizzazione. Conclude descrivendo le implicazioni delle politiche di normalizzazione per la liberazione palestinese e il futuro della regione.
Una storia di normalizzazione
Nel decennio successivo alla pulizia etnica della Palestina del 1948, i leader arabi si impegnarono in negoziati segreti con il regime israeliano. Il più importante tra loro era il Marocco, che negli anni ’60 promosse segretamente le relazioni con i servizi di sicurezza del regime, il Mossad, sotto Re Hassan II°. Ciò includeva il permesso al Mossad di aprire un piccolo ufficio a Rabat.
Tale cooperazione raggiunse il culmine al vertice della Lega Araba del 1965 a Casablanca, dove il Mossad sarebbe stato coinvolto nell’aiutare i servizi segreti marocchini a intercettare le stanze d’albergo e le sale conferenze dei leader arabi presenti. I servizi segreti israeliani hanno anche addestrato le loro controparti marocchine in tattiche anti-ribellione da usare contro il Polisario, il Movimento di Liberazione del Sahara Occidentale. Re Hassan II° avrebbe poi ospitato incontri segreti tra il Mossad e funzionari egiziani, che alla fine portarono al primo accordo ufficiale di normalizzazione tra uno Stato arabo, l’Egitto, e il regime israeliano.
Dopo tre decenni di ostilità, l’Egitto ha firmato un trattato con il regime israeliano nel 1979. In cambio, il regime israeliano si è ritirato dalla Penisola del Sinai, che aveva occupato dal 1967. Quattordici anni dopo, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e il regime israeliano hanno firmato gli Accordi di Oslo, aprendo le porte a un’ulteriore normalizzazione regionale. In effetti, il riconoscimento da parte della dirigenza palestinese del regime israeliano come risultato degli accordi ha indicato che non era più un tabù farlo.
Non molto tempo dopo Oslo, la Giordania normalizzò le relazioni con il regime israeliano nel Trattato di Wadi Araba del 1994. L’accordo pose ufficialmente fine allo stato di guerra tra le due nazioni, stabilendo pieni rapporti diplomatici e consolidando la posizione dei valichi di frontiera tra i due Paesi. In cambio, la Giordania ricevette ingenti aiuti militari ed economici dall’Occidente, e consolidò la sua posizione come alleato chiave degli Stati Uniti nella regione.
Nel 1996, il Qatar è diventato il primo Stato del Golfo a riconoscere ufficialmente il regime israeliano stabilendo relazioni commerciali. Al Vertice Economico del Medio Oriente e del Nord Africa del 1997 a Doha, il Qatar ha ospitato il Ministro del Commercio israeliano, una mossa che ha indignato il regime dell’Arabia Saudita dell’epoca. La relazione, tuttavia, si è deteriorata in seguito all’assalto del regime israeliano a Gaza nel 2008, e il Qatar ha successivamente cessato tutti i legami formali. Nel 2010, il regime israeliano ha respinto un’iniziativa del Qatar per ristabilire le relazioni come parte di un accordo per consentire al Qatar di inviare aiuti a Gaza. Tuttavia, le relazioni informali tra i due regimi sono continuate, così come una modesta quantità di scambi.
Mentre gli altri regimi avrebbero impiegato più tempo per normalizzarsi formalmente con il regime israeliano, le relazioni segrete e la cooperazione in materia di sicurezza e spionaggio erano all’ordine del giorno dopo gli accordi di Oslo. Le preoccupazioni per la possibilità di disordini interni sono state un fattore trainante, ancor di più una volta che le rivolte in Nord Africa e nel mondo arabo sono iniziate nel 2011. Il piccolo sostegno iniziale dell’ex Presidente degli Stati Uniti Barack Obama alle rivolte ha preoccupato gli Stati autocratici del Golfo, in particolare quando gli Stati Uniti iniziarono a fare pressioni per portare avanti le riforme democratiche. L’accordo nucleare del 2015 della sua amministrazione con l’Iran ha forgiato un legame ancora più stretto tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, che si sono sentiti entrambi traditi. In effetti, il sentimento anti-iraniano e l’ascesa di una nuova generazione di dirigenti (non eletti) impegnati a rafforzare i legami con l’Occidente e a rompere l’eredità del nazionalismo arabo, hanno portato molti Stati del Golfo ad allinearsi più strettamente con il regime israeliano.
Così anche la prospettiva di tecnologie di sorveglianza condivise. Una recente indagine del New York Times sul programma spia israeliano Pegasus ha rivelato che i funzionari israeliani hanno offerto il programma agli Emirati Arabi Uniti come “offerta di tregua” nel 2013. L’offerta aveva lo scopo di compensare un incidente avvenuto tre anni prima, in cui agenti del Mossad assassinarono un funzionario di Hamas a Dubai senza informare il governo degli Emirati dell’operazione. Pegasus è arrivato al momento giusto, quando gli Emirati Arabi Uniti stavano attivamente reprimendo l’opposizione politica nel tentativo di frenare una rivolta interna.
Nel settembre 2020, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain sono diventati il terzo e il quarto Stato arabo a stabilire formalmente relazioni diplomatiche con il regime israeliano attraverso gli Accordi di Abramo dell’amministrazione Trump. Gli Accordi sono stati salutati come trattati di pace storici da gran parte dei media convenzionali, nonostante il fatto che i due Paesi non fossero mai stati in guerra con il regime israeliano. Tuttavia, i media avevano ragione nell’affermare il significato storico degli Accordi a causa della loro natura sfrontata.
Poco dopo la sottoscrizione degli Accordi, gli Emirati Arabi Uniti hanno firmato un contratto per armamenti da 23,37 miliardi di dollari/euro con gli Stati Uniti, che includeva caccia F-35 e sistemi di droni Reaper. L’ex Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha affermato di aver autorizzato la vendita in linea con lo spirito degli Accordi di Abramo. Netanyahu inizialmente ha espresso la sua opposizione alla vendita di armi per paura che potesse sfidare la superiorità militare qualitativa del regime israeliano nella regione, ma in seguito ha rivisto la sua posizione.
Sebbene l’Arabia Saudita non facesse ufficialmente parte degli Accordi di Abramo, ha sostenuto questo cambiamento politico. Infatti, se si fosse opposta agli accordi, non sarebbero avvenuti. Anche le relazioni dell’Arabia Saudita con il regime israeliano hanno visto alcuni sviluppi significativi nel 2022. Dopo anni di negoziati e interventi dell’amministrazione Biden, il regime israeliano ha acconsentito a un accordo del 2017 tra Egitto e Arabia Saudita, che ha visto il trasferimento dell’autorità sulle Isole marine di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso dall’Egitto all’Arabia. Israele ha sfruttato la necessità della sua approvazione, richiesta a causa dei parametri delineati nel trattato di pace Egitto-Israele del 1979, per costringere l’Arabia Saudita a consentire agli aerei israeliani di volare attraverso il suo spazio aereo. Da parte sua, il regime egiziano ha accettato di spostare la forza di osservatori multilaterali dalle isole alle posizioni nella Penisola del Sinai.
In un annuncio ufficiale, i sauditi non hanno nominato direttamente il regime israeliano, ma hanno piuttosto affermato che avrebbero “aperto lo spazio aereo del Regno a tutte le compagnie aeree che soddisfano i requisiti dell’autorità per il sorvolo”. Ciò riflette il continuo astenersi dell’Arabia Saudita dalla normalizzazione ufficiale con il regime israeliano. Infatti, nel luglio 2022, il Ministero degli Esteri dell’Arabia Saudita ha ribadito la sua linea ufficiale secondo cui la normalizzazione arriverà con l’attuazione dell’Iniziativa di Pace Araba del 2002, che prevede l’istituzione di due Stati lungo i confini del 1967, il ritiro del regime israeliano dalle terre occupata nel 1967 e garantire Gerusalemme Est come capitale di un futuro Stato palestinese. Eppure, mentre la Lega Araba rimane ufficialmente aderente all’Iniziativa di Pace Araba, è chiaro da tutte le manovre citate che la statualità palestinese e la lotta palestinese per la liberazione sono state abbandonate a livello statale.
Separare i regimi dal popolo
Tuttavia, questi accordi di normalizzazione non riflettono il sentimento popolare. Infatti, dall’inizio del progetto sionista in Palestina, la popolazione in tutta la regione si è costantemente e fermamente opposta. Anche prima del 1948, la solidarietà araba con i palestinesi era evidente e durante la stessa guerra del 1948 migliaia di volontari provenienti da tutta la regione si unirono all’Esercito di Liberazione Arabo in difesa della Palestina. Anche altre forze di volontari si sono recate in Palestina, anche dall’Iraq, il cui sacrificio è onorato ancora oggi in un memoriale appena fuori dalla città palestinese di Jenin.
Anni dopo, in seguito alla firma del trattato di pace Egitto-Israele del 1979, la Lega Araba votò per sospendere e sanzionare l’Egitto. I diplomatici furono richiamati e funzionari egiziani lamentarono una campagna di isolamento politico. Tuttavia, le sanzioni non furono rovinose e l’adesione dell’Egitto fu completamente ripristinata nel 1989. Il tradimento sentito dalla popolazione araba, tuttavia, durò molto più a lungo. Ci sono state manifestazioni in tutta la regione che hanno definito il Presidente egiziano, Anwar Sadat, un traditore per aver rotto con il consenso arabo. Gli stessi egiziani hanno anche espresso la loro opposizione alla normalizzazione, soprattutto dopo l’invasione del Libano da parte del regime israeliano nel 1982.
L’opposizione araba alla normalizzazione rimane forte fino ad oggi. Un sondaggio condotto tra il 2019-2020 dal Centro Arabo per la Ricerca e la Politica rivela che, in tutta la regione, i popoli arabi continuano a essere contrari alla normalizzazione diplomatica con Israele. In Kuwait, Qatar e Marocco l’opposizione alla normalizzazione è dell’88%, mentre in Arabia Saudita solo il 6% è favorevole. Infatti, i legislatori e le organizzazioni della società civile in Algeria, Tunisia e Kuwait hanno spinto per criminalizzare qualsiasi forma di normalizzazione con il regime israeliano e l’Iraq ha approvato una tale legge nel maggio 2022.
In particolare, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein non sono stati inclusi nel sondaggio 2019-2020 perché si è rivelato troppo difficile porre domande di tale natura politicamente sensibile. Infatti, il governo degli Emirati Arabi Uniti è stato particolarmente attivo nel mettere a tacere e punire l’opposizione alla normalizzazione, arrivando a inviare messaggi WhatsApp avvertendo le persone che opporsi alla politica era proibito. Al famoso poeta emiratino, Dhabiya Khamis Al-Muhairi, è stato vietato di lasciare gli Emirati Arabi Uniti dopo aver pubblicamente annunciato la sua opposizione alla normalizzazione con il regime israeliano. Di conseguenza, l’opposizione alla normalizzazione è venuta principalmente dagli emiratini in esilio.
Allo stesso modo, il Bahrain ha approvato una legge che impedisce ai dipendenti statali di opporsi alla politica di normalizzazione del governo. Tuttavia, poco prima della ratifica degli Accordi di Abramo, decine di gruppi popolari e della società civile in Bahrain hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in cui rifiutano la normalizzazione e ribadiscono il sostegno alla lotta palestinese per la liberazione. Tra loro c’erano vari gruppi di sinistra, sindacati e associazioni professionali. Nel 2019 è stata istituita anche la Coalizione del Golfo contro la normalizzazione, che riunisce attivisti dei Paesi del Golfo impegnati per la liberazione della Palestina.
Allo stesso modo, ci sono centinaia di individui che rifiutano la normalizzazione, tra cui atleti e figure culturali di tutta la regione che rifiutano di prendere parte a eventi con partecipanti o sponsor israeliani. Ad esempio, la judoka algerina Fethi Nourine si è ritirata dalle Olimpiadi di Tokyo 2021 per protesta contro un avversario israeliano. Di conseguenza, Nourine è stata sospesa per dieci anni dalla Federazione Internazionale di Judo.
Normalizzazione e futuro della regione
La normalizzazione del regime arabo con il progetto sionista e il regime israeliano non è una novità. Di fatto, gli accordi di Abramo del 2020 non sono stati una grande sorpresa per i palestinesi. Nondimeno, hanno inaugurato un nuovo tipo di spudorata normalizzazione che approfondisce il coordinamento diplomatico, militare e di sicurezza con il regime israeliano mentre lo ostenta pubblicamente. Gli eventi culturali normalizzanti, le acrobazie pubblicitarie e le campagne sui social media tra emiratini e israeliani dimostrano questo cambiamento, che differisce notevolmente dalle forme di normalizzazione stabilite a seguito degli accordi di pace egiziani del 1979 e giordani del 1994.
In effetti, entrambi questi regimi continuano a minimizzare la normalizzazione semplicemente come una questione di porre fine allo stato di guerra con un’entità confinante, un punto particolarmente importante per la Giordania, che ospita una numerosa popolazione di rifugiati palestinesi. Il potenziale di mobilitazione popolare intorno alla causa palestinese per avere un effetto di ricaduta, generando un controllo più ampio della dirigenza egiziana e giordana richiede un cambiamento, allo stesso modo costringe i rispettivi regimi a mantenere discreti i loro accordi di normalizzazione e riflette la fragilità delle loro prese sul potere. Pertanto, la tendenza è senza dubbio che la capacità di uno Stato di normalizzarsi in modo così sfacciato e pubblico con il regime israeliano vada di pari passo con la forza e la stabilità dell’autoritarismo a cui è soggetto il suo popolo.
Questo è esattamente ciò che rende così preoccupanti queste ultime manovre di normalizzazione: l’unione di regimi autocratici regionali per concordare un’alleanza basata su forniture di armi, scambi di tecnologia di sorveglianza e coordinamento della sicurezza annuncia un futuro spaventoso per i popoli della regione. L’opposizione a questi accordi di normalizzazione non riguarda quindi solo la lotta per la liberazione palestinese, ma anche la lotta per un futuro migliore e più libero per la popolazione della regione.
Infatti, la lotta per la liberazione della Palestina deve andare di pari passo con la lotta per la liberazione di tutti i popoli arabi sotto regimi dispotici. Sfidare e porre fine a questi regimi oppressivi deve avvenire oltre i confini perché, in definitiva, riconoscere la nostra lotta condivisa contro nemici condivisi è l’unico modo in cui possiamo realizzare un futuro radicalmente diverso da quello che viene attualmente scritto per noi.
Yara Hawari è Analista Capo della Rete Politica Palestinese Al-Shabaka. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Politica del Medio Oriente presso l’Università di Exeter, dove ha tenuto vari corsi universitari e di cui continua a essere ricercatrice onoraria. Oltre al suo lavoro accademico, incentrato sugli studi indigeni e sulla storia tramandata, è una assidua commentatrice politica che scrive per vari media tra cui The Guardian, Foreign Policy e Al Jazeera English.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org