In difesa di Francesca Albanese

Nel 2014, dopo il devastante attacco di Israele alla Striscia di Gaza,Francesca Albanese scrisse una lettera al vescovo di famiglia e in seguito la pubblicò sulla sua pagina Facebook. La lettera denunciava l’anomalo sostegno degli Stati Uniti e dell’Unione Europea all’offensiva di Israele.

Fonte: English version

Di Jamie Stern-Weiner – 15 dicembre 2022

Nel luglio 2014, Israele intraprese  un brutale assalto militare contro la Striscia di Gaza.  Le forze israeliane uccisero  più di 2.000 palestinesi, tra cui 550 bambini. Il presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa  osservò: “Non ho mai visto una così massiccia distruzione prima d’ora”.

Con lo svolgersi di questa devastazione, Francesca Albanese, allora specialista sui rifugiati palestinesi, ora Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, scrisse al suo vescovo di famiglia lanciando l’allarme e sollecitando la raccolta di fondi umanitari. Francesca Albanese pubblicò quella lettera sulla sua pagina Facebook. La lettera denunciava l’anomalo sostegno degli Stati Uniti e dell’Unione Europea all’offensiva di Israele nei seguenti termini:

“Mentre Paesi come Perù, Ecuador, Cile e Brasile hanno già condannato il massacro in atto a Gaza e interrotto ogni rapporto militare e commerciale con Israele, America ed Europa, la prima soggiogata dalla lobby ebraica, la seconda dalla colpa per l’Olocausto  , rimangono in disparte e continuano a condannare gli oppressi invece di richiamare Israele alle sue responsabilità ai sensi del diritto internazionale”.

Ora si sostiene che il riferimento di Francesca Albanese a una potente “lobby ebraica” americana fosse antisemita. Questa accusa è priva di fondamento.

Primo, è chiaro che Francesca Albanese si riferiva al sostegno degli Stati Uniti all’assalto israeliano a Gaza, non al governo degli Stati Uniti in generale. È certamente possibile sopravvalutare l’influenza delle organizzazioni di difesa degli ebrei americani, e qualsiasi suggerimento che tali gruppi controllino la politica statunitense nel suo complesso sarebbe manifestamente inesatto. Ma Francesca Albanese non ha detto questo.

Secondo, nel dibattito politico non è solo legittimo, ma normale, fare riferimento al potere dei gruppi di pressione: negli Stati Uniti, ad esempio, alla stretta mortale dell’Associazione Nazionale delle Armi (National Rifle Association – NRA) sulla politica delle armi, alla stretta mortale delle grandi case farmaceutiche (Big Pharma) sulla politica dell’assistenza sanitaria, o alla morsa della lobby cubana sulla politica di Cuba.

Terzo, gli stessi lobbisti filo-israeliani pubblicizzano il loro ruolo nel sostenere il sostegno degli Stati Uniti a Israele. L’AIPAC si è vantata della valutazione del New York Times su di essa come “l’organizzazione più importante che influisce sulle relazioni dell’America con Israele”, mentre un alto funzionario dell’AIPAC una volta si è vantato che “in ventiquattr’ore, potevano ottenere le firme di settanta senatori”.

Inoltre, quando questi gruppi di pressione sostengono Israele, spesso lo fanno come gruppi ebraici. Durante l’offensiva israeliana a Gaza del 2014, un tipico comunicato stampa recitava: “I leader ebrei invitano la comunità internazionale a schierarsi con Israele”. Il Comitato Ebraico Americano (American Jewish Committee) si definì “il Dipartimento di Stato del popolo ebraico” in quanto “si è mobilitato per presentare la causa della risposta militare di Israele ai leader statunitensi”.

Aveva ragione Francesca Albanese a suggerire che tali interventi avevano un effetto politico? Aveva ragione il New Yorker a definire l’ampio sostegno del Congresso all’attacco israeliano a Gaza del 2014 come “un trionfo per l’AIPAC”? L’eminente professor Ian Lustick aveva ragione a riferirsi all'”effettivo veto della lobby israeliana sulla politica estera degli Stati Uniti nei confronti di Israele e in particolare nei confronti del conflitto israelo-palestinese”? Queste domande richiedono una discussione ragionata, non epiteti velati.

Il Times of Israel afferma che “i riferimenti agli ebrei e alle lobby ebraiche che esercitano un potere sproporzionato sono considerati antisemiti”. In effetti, un ex direttore della Lega Anti-Diffamazione (Anti-Defamation League) può descrivere casualmente “gli ebrei americani” come “politicamente e strategicamente critici” per le relazioni USA-Israele senza timore di polemiche. Anche la lettera di Francesca Albanese su Gaza, scritta a titolo personale più di otto anni fa, è stata insignificante. Ora è stata ripescata solo per due motivi. Per indebolire i suoi sforzi come Relatore Speciale delle Nazioni Unite per ritenere Israele responsabile rispetto agli standard universali dei diritti umani. E per screditare la sua opposizione, insieme a molti gruppi ebraici ed esperti accademici, a una campagna politica in corso volta a fondere critiche legittime e accurate a Israele con l’antisemitismo.

C’è da sperare che il pubblico non venga ingannato da questa campagna diffamatoria per farla tacere.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

RispondiInoltra