Il governo di estrema destra israeliano getta la maschera che ha consentito la compiacenza occidentale

Forse l’Occidente dovrà accettare che non vi è alcuna differenza legale o morale tra l’occupazione in Ucraina e l’occupazione in Palestina.

Fonte: English version
Di Gideon Levy – 16 dicembre 2022

Immagine di copertina: Itamar Ben-Gvir, leader israeliano di estrema destra del Partito Otzma Yehudit (Potere Ebraico), partecipa a una campagna il 6 ottobre 2022 (AFP)

Agli occhi di chi guarda, Israele sta visibilmente cambiando. Il mutamento è più evidente dall’esterno: il mondo vede una democrazia liberale occidentale muoversi con allarmante velocità verso l’ultranazionalismo, il fondamentalismo, il razzismo, il fascismo e il crollo delle strutture democratiche a seguito delle recenti elezioni.

Sebbene corretta, questa visione è allo stesso tempo distorta. Presuppone che fino ad ora Israele fosse davvero una democrazia occidentale e che ora stia visibilmente diventando qualcos’altro. La verità, tuttavia, ha meno a che fare con il cambiamento radicale di Israele, e più con il gettare la maschera e mostrare la sua vera natura.

Ciò che sta cambiando è l’aspetto. Le crepe che appaiono nell’immagine di Israele hanno poca relazione con l’essenza sottostante. Da questo punto di vista, e solo da questa prospettiva, il nuovo governo può essere visto come un precursore di un cambiamento positivo: la verità su Israele verrà alla luce, sia pure a caro prezzo in termini di oppressione dei palestinesi e di deriva delle fragili strutture democratiche che fino ad allora servivano gli ebrei di Israele.

Il nuovo governo sarà il più di destra e religiosamente conservatore nella storia di Israele. La verità, almeno in termini di ideologia della maggior parte dei suoi ministri, è che oggi sarà anche il governo più estremista dell’Occidente. L’estrema destra in Israele è molto più estremista della destra in Europa, e forse anche degli Stati Uniti.

Ora governerà Israele e controllerà le posizioni più alte. Un governo in cui Benjamin Netanyahu è l’alfiere dei laici e dei liberali è davvero un governo molto estremista.

Minacce sono in agguato ovunque: distruzione del sistema giudiziario, danni alle minoranze, uno spudorato aumento della supremazia ebraica, la pesante ingerenza della religione nella vita di tutti i giorni e un’occupazione sempre più crudele verso i suoi sudditi palestinesi. È difficile in una fase così precoce sapere quale di questi avverrà effettivamente.

Un attivista di destra tiene un cartello con la scritta “traditori di sinistra” durante una protesta di attivisti di sinistra a Gerusalemme il 12 dicembre 2022 (AFP)

Israele ha già avuto governi di destra e partiti estremisti la cui ascesa al potere ha avuto un effetto moderatore sui loro piani, per molteplici ragioni. “Le cose sembrano diverse da qui rispetto a lì” è la spiegazione solitamente accettata. Ma è certamente nel regno delle possibilità che i nuovi alleati di Netanyahu siano il nocciolo duro e realizzeranno l’incombente minaccia di un cambio di regime in diverse aree di importanza cruciale per Israele.

Il centrosinistra in preda al panico

Di fronte a una potenziale realizzazione di questo scenario estremo, la sinistra e il centro israeliani sono andati nel panico, in particolare intraprendendo una campagna di tentativi di intimidazione. Non passa giorno senza un’altra previsione nefasta, e alcune, se non tutte, di queste previsioni saranno sicuramente confermate.

Tuttavia, non si può fare a meno di chiedersi: il cambiamento minacciato è davvero così radicale? Israele era davvero un baluardo così unico di democrazia, uguaglianza davanti alla legge, tutela dei diritti umani e sacralità dei sistemi giudiziari che questo nuovo governo instaurandosi potrebbe distruggere?

Era quell’Israele dei “bei vecchi tempi”, quello prima del nuovo governo, un Paese così lontano dal fascismo, dall’ultranazionalismo e dall’Apartheid che il nuovo governo potrebbe cambiare completamente, in modo che Israele si trasformi in quel tipo di Paese ora?

Ovviamente no. Senza minimizzare i pericoli posti dal nuovo governo e dal suo percorso scelto, non si può fare a meno di notare che le campagne allarmistiche in risposta alle sue dichiarazioni sembrano avere un sottinteso nascosto su quanto fosse bello qui quando la sinistra e il centro sionisti erano al potere; come tutto questo finirà ora, e quanto sarà brutto. Quell’immagine, tuttavia, è tutt’altro che accurata.

Considerate i 166 palestinesi, tra cui almeno 39 bambini, che sono morti per mano dell’esercito e dei coloni israeliani in Cisgiordania e Gerusalemme Est dall’inizio di quest’anno. Altri 49 palestinesi, tra cui 17 bambini, sono stati uccisi a Gaza durante i tre giorni di assalto israeliano ad agosto contro la Striscia assediata.

Sono stati uccisi sotto il terrificante nuovo governo con Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, o sotto il cosiddetto “governo del cambiamento” con le promesse liberali di Yair Lapid e Benny Gantz, il cui mandato sta per finire?

La principale differenza tra i regimi sarà molto probabilmente la retorica: il centrosinistra cerca di sorvolare sui fatti, mentre l’estrema destra non nasconde nulla. In un certo senso, questo può rivelarsi vantaggioso.

Il nuovo governo, con le parole e con i fatti, potrebbe costringere gli alleati di Israele, insieme al campo di sinistra quasi inesistente in Israele, a guardare onestamente Israele e riconoscere la realtà. Con un governo come quello che sta arrivando, non ci sarà più la possibilità di ignorare, distogliere lo sguardo e offuscare, accontentandosi di deboli condanne e aggrappandosi a un finto “Processo di Pace” o a una soluzione a Due Stati che è stata a lungo irrealistica.

Il nuovo governo costringerà l’Occidente a guardare Israele e ad ammettere, almeno a se stesso: questo è uno Stato di Apartheid. Continuare la finzione con Israele diventerà insostenibile. Il nuovo governo potrebbe persino costringere gli alleati di Israele a fare un passo avanti e, per la prima volta nella storia di Israele, intraprendere azioni concrete contro di esso.

Motivo di speranza

Non è detto che tutto ciò accada. Israele potrebbe non radicalizzarsi nella misura in cui alcuni vorrebbero farci temere; oppure, nonostante la sua radicalizzazione, l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, potrebbe continuare a insistere sul fatto che gli zirconi sono diamanti, affermando che Israele è l’avamposto in prima linea dell’Occidente in Medio Oriente e insistendo sul condannare la critica allo Stato sionista a causa dell’Olocausto.

Ma c’è anche un’altra possibilità. Quando Israele legifererà spaventose leggi ultranazionaliste; quando le demolizioni di case e le espulsioni nella Cisgiordania occupata si intensificheranno; quando la Corte Suprema di Israele verrà spogliata di ogni potere; quando l’esercito ucciderà un numero ancor più inimmaginabile di palestinesi e l’annessione dei Territori Occupati diventerà un fatto non più negabile, forse allora, l’Occidente non avrà altra scelta che voltare le spalle al suo amato Israele, campione mondiale di impunità, per il quale quasi tutto è lecito.

Forse allora la posizione dell’Occidente dovrà cambiare. Forse l’Occidente capirà finalmente che non c’è alcuna differenza legale o morale tra l’occupazione in Ucraina e l’occupazione in Palestina, e che le misure prese tempestivamente contro l’occupazione russa possono finalmente essere considerate contro l’occupazione israeliana, dopo 55 anni che hanno solo rinviato l’esito finale?

È vero che il nuovo governo, e in particolare alcuni dei suoi ministri, potrebbero compiere passi irreversibili che potrebbero aumentare ulteriormente la disuguaglianza, l’oppressione, la privazione, la discriminazione e la supremazia ebraica in tutti i settori della vita. È anche vero che i primi a pagare il prezzo di tutto questo saranno i palestinesi dei Territori Occupati e i cittadini palestinesi di Israele. La loro vita potrebbe certamente cambiare, ma teniamo presente che la loro situazione è già intollerabile da decenni.

Anche una schiera di attivisti per i diritti umani in Israele potrebbe pagare un prezzo, insieme alla libertà di espressione, che sta già affrontando significativi tentativi di limitazione.

Inoltre, il previsto danno agli equilibri governativi potrebbe mettere in pericolo l’intera struttura statale, da una prevista “clausola di esclusione” che indebolisce il potere della Corte Suprema in un Paese senza costituzione, alla proposta di legislazione volta a consentire ai criminali condannati di prestare servizio nel governo. Sono già stati scritti molti articoli di opinione per mettere in guardia contro questi pericoli, che non dovrebbero essere sottovalutati.

Nel frattempo, è giunto il momento per Israele di attuare un forte cambiamento, anche nell’atteggiamento dei suoi amici in Occidente. Per più di cinquant’anni, Israele ha affermato che l’occupazione del 1967 era temporanea, e il mondo ha accettato quell’inganno.

Il nuovo governo porrà fine a tutto questo. L’occupazione sarà permanente, non temporanea, e chiaramente non ci sarà alcuna intenzione di concedere diritti nazionali alla metà delle persone che vivono tra il Fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.

Ciò richiede una risposta internazionale; non è una questione interna israeliana. Chiunque pensi che Israele cambierà mai rotta volontariamente, di propria iniziativa, non conosce molto bene Israele. Israele non ha alcun motivo e alcun incentivo per farlo. Il mondo ha finora accettato Israele con il suo Apartheid e la sua oppressione, mentre Israele ignora la comunità internazionale, le sue istituzioni e le sue decisioni.

Nessun altro Paese può farsi beffe del diritto internazionale come fa Israele senza pagarne il prezzo. Ma a quanto pare, c’è un punto in cui una massa critica di insolenza, arroganza e eccessiva fiducia non potrebbe lasciare al mondo altra scelta che agire. La speranza è che questo nuovo governo avvicini Israele proprio a quel punto, oltre il quale, poche speranze sono auspicabili.

Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org