Il “Sogno Ebraico” si trasforma in un incubo: il mito del “Grande Israele” affronta il momento della verità

Questo è un momento di verità per gli ebrei di tutto il mondo. Le vecchie argomentazioni sostenenti che altrove accadono atrocità peggiori, o che i palestinesi sono responsabili per i crimini commessi contro di loro, suonano oggi così assurde e ridicole che, in effetti, una nuova generazione di ebrei trova sempre più difficile mantenere la tradizionale fedeltà al sionismo o a Israele.

Fonte: English version

Di Ilan Pappe – 15 dicembre 2022

Immagine di copertina: Attivisti ebrei con uno striscione contro l’occupazione israeliana. (Foto: tramite la pagina Facebook dei cristiani palestinesi)

La classificazione di Israele come Stato di Apartheid da parte di Amnesty International e Human Rights Watch è la maturazione di un lungo processo di definizione e riformulazione della questione palestinese. Il processo è stato sia politico che accademico. Cominciò con un gruppo di studiosi palestinesi che formarono, nel 1965, il Centro di Ricerca dell’OLP a Beirut, e tra loro, accademici come Fayez Sayigh e Ibrahim Abu Lughod introdussero l’applicazione del modello colono-coloniale al caso palestinese.

In seguito, Uri Davis, nel suo fondamentale lavoro su Israele, ha chiarito il posto dell’Apartheid all’interno dei mezzi usati dal movimento colono-coloniale del sionismo e dallo Stato di Israele per attuare la logica principale di qualsiasi progetto colonialista: “L’eliminazione della popolazione nativa”.

Il lavoro del Centro di Ricerca dell’OLP ha contribuito a spiegare la differenza tra il colonialismo classico e sfruttatore, e la varietà coloniale di coloni che operava in Nord America, Australia e altri luoghi, dove l’obiettivo principale dei coloni europei era quello di spostare, o eliminare, la popolazione nativa e sostituirla.

Un ulteriore sviluppo nello studio del colonialismo colonico si è verificato quando negli anni ’90 un gruppo di studiosi principalmente australiani (come Patrick Wolfe e Lorenzo Veracini), appassionati e impegnati per la Palestina, ha identificato ulteriori caratteristiche del colonialismo colonico nel nostro tempo: principalmente la sua natura strutturale. Nel caso della Palestina, ha significato che la stessa ideologia che ha configurato la pulizia etnica del 1948 e il desiderio sionista di eliminare i palestinesi, sta configurando l’assedio di Gaza, la giudaizzazione di parti della Cisgiordania e della Grande Gerusalemme e il sistema di Apartheid all’interno di Israele.

Questa ricerca e i successivi lavori di studiosi palestinesi e di studiosi interessati alla Palestina, hanno anche contribuito a chiarire cosa accadde ai movimenti coloniali come il sionismo quando non riuscirono ad attuare pienamente il loro programma di pulizia etnica, come accadde nel 1948. L’obiettivo di eliminare completamente la popolazione nativa non scompare a causa del suo fallimento; un fallimento, va notato, che fu causato nel 1948 dalla resilienza e resistenza dei palestinesi, e agevolato dallo scarso aiuto che ricevettero dal mondo arabo, in particolare dalle società e meno dai governi.

Il fatto che metà del popolo palestinese sia rimasto in Palestina, nonostante la Nakba, e che Israele, nel 1967, abbia occupato il restante 22% della Palestina che non era riuscita a conquistare nel 1948, ha fatto sì che anche una massiccia pulizia etnica, come quella perpetrata da Israele durante la guerra del giugno ’67 e negli anni successivi, non è riuscita a produrre quella “terra desolata” che i sionisti affermavano esistesse prima del loro arrivo. Né era possibile istituire uno Stato democratico senza la volontà di far parte di un’autentica entità democratica palestinese e non sionista.

Così, in modo del tutto assurdo, il fallimento della pulizia etnica del 1948 portò alla creazione dello Stato di Apartheid israeliano, prima all’interno dei confini precedenti al 1967, e oggi in tutta la Palestina storica.

Si sarebbe pensato che questo fallimento avrebbe messo completamente a nudo la natura del regime e l’essenza della questione palestinese. In un certo senso, molti Stati africani, asiatici e arabi hanno riconosciuto questa realtà quando hanno approvato una risoluzione delle Nazioni Unite nel 1975, equiparando il sionismo al razzismo.

Eppure, l’Occidente sembrava non cogliere quella realtà, o l’ha colta, ma ha deciso di ignorarla. Questa negazione è stata fatta in nome di due argomentazioni: una era la temporalità, l’Apartheid israeliano avrebbe cessato di esistere una volta che ci fosse stata la pace con i palestinesi (e la sua assenza era colpa dei palestinesi), e la seconda, e ancora più importante, che l’Apartheid sionista in via eccezionale dovrebbe essere esentato dalla condanna internazionale.

Questo è stato il successo e l’impegno della sinistra sionista, ormai ai suoi ultimi giorni. L’élite politica e i media occidentali hanno confermato la loro insistenza sul fatto che sia che si tratti di colonialismo, razzismo o Apartheid, se è di matrice ebraica, è unico e non può essere trattato allo stesso modo di quando questi atteggiamenti e ideologie sono sottoscritti o esercitati da indù, musulmani o cristiani. Questo è il motivo per cui la logica irrazionale di un pulitore etnico liberale, di un occupante progressista e di un genocida illuminato sono stati facilmente accettati dall’Occidente come sostenibili.

Questo eccezionalismo fu cruciale per le comunità ebraiche in Occidente, in particolare per gli ebrei americani. Sono stati in grado, attraverso questa doppia argomentazione, di evocare un “Grande Israele”: una democrazia fiorente, dove anche il razzismo, la pulizia etnica, il Genocidio e l’oppressione sono così unici da non rovinare il sogno.

Il lavoro di ricerca che ha dimostrato la validità accademica dell’Apartheid di Israele, l’incredibile lavoro svolto dalle organizzazioni palestinesi per i diritti umani e l’impressionante successo del movimento BDS, hanno reso molto difficile sostenere il sogno del “Grande Israele”, che fintanto che gli ebrei ci crederanno, continueranno a sostenere Israele materialmente e moralmente.

I risultati delle ultime elezioni israeliane, la composizione del governo designato e le sue dichiarazioni sulle sue politiche future, non solo hanno rovinato il sogno, ma lo hanno trasformato, o avrebbero dovuto trasformarlo, in un incubo ebraico.

Il tempo dirà quale sarà l’impatto di questo nuovo sviluppo. Ma questo è un momento di verità per gli ebrei di tutto il mondo. Le vecchie argomentazioni sostenenti che altrove accadono atrocità peggiori, o che i palestinesi sono responsabili per i crimini commessi contro di loro, suonano oggi così assurde e ridicole che, in effetti, una nuova generazione di ebrei trova sempre più difficile mantenere la tradizionale fedeltà al sionismo o a Israele.

Non abbiamo mai accettato, giustamente, l’indifferenza tedesca per i crimini nazisti contro il popolo ebraico. Come individui, o attraverso le istituzioni, abbiamo agito, abbiamo chiesto un risarcimento, riconoscimento e impegno per una Germania e un’Europa non razziste e democratiche. Israele ha usurpato alcune di queste richieste giustificate dal popolo tedesco e ne ha abusato per immunizzare le sue politiche contro i palestinesi. Purtroppo il sistema politico tedesco ha assecondato questa manipolazione che viola la sacralità della memoria dell’Olocausto e mina il processo di riconoscimento e riconciliazione.

Ma con questo nuovo governo e le sue politiche, e l’enorme sostegno di cui gode in Israele per il suo estremismo e razzismo e i suoi piani per consolidare e legittimare l’Apartheid israeliano e la colonizzazione, qualsiasi ebreo con un minimo di decenza può davvero continuare a sostenere e promuovere un “Grande Israele” che non è mai esistito e mai esisterà?

Quando vengono commessi crimini in nostro nome, anche se non si è direttamente coinvolti in essi, spetta a noi, come esseri umani, dire: “Non nel mio nome” e con ciò un altro cambiamento significativo nell’impegno internazionale per la Palestina e nella volontà globale di salvare i palestinesi.

Ilan Pappé è professore all’Università di Exeter. In precedenza è stato docente di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È autore di The Ethnic Cleansing of Palestine, The Modern Middle East (La Pulizia Etnica della Palestina, il Medio Oriente Moderno); A History of Modern Palestine: One Land, Two Peoples (Una Storia Della Palestina Moderna: Una Terra, Due Popoli) e Ten Myths about Israel (Dieci Miti su Israele). Pappé è descritto come uno dei “Nuovi storici” israeliani che, dal rilascio dei pertinenti documenti del governo britannico e israeliano all’inizio degli anni ’80, hanno riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org