Il costo per gli Stati Uniti del sostegno incondizionato a Israele (Parte 1)

Il primo di un dossier in 4 parti sulle relazioni speciali tra Stati Uniti e Israele in occasione del 75° anniversario del riconoscimento dello Stato Ebraico da parte del Presidente Harry Truman. Gli Stati Uniti furono il ​​primo Paese a riconoscere lo Stato di Israele, nel 1948, e James McDonald, stretto Consigliere del Presidente Truman, è stato il primo ambasciatore americano a presentare le proprie credenziali al governo israeliano. Lo Stato Maggiore degli Stati Uniti aveva tuttavia previsto che la strategia sionista avrebbe mirato a coinvolgere gli Stati Uniti in una serie di operazioni sempre più ampie al fine di raggiungere il maggior numero di obiettivi ebraici.

Fonte: English version

Di Renè Naba – 5 gennaio 2023

George Marshall: la Palestina sotto tutela o amministrazione dell’ONU. 

Il 12 maggio 1948, anno della Catastrofe palestinese, la Nakba, si tenne nello Studio Ovale della Casa Bianca un triplice incontro che comprendeva il Presidente Harry Truman, il Segretario di Stato Generale George Marshall, e il Consigliere presidenziale Clark Clifford, che il Presidente Democratico ha invitato a perorare la causa del riconoscimento di Israele da parte degli Stati Uniti.

George Marshall, ex Capo dello Stato Maggiore Congiunto (Joint Chiefs of Staff) degli Stati Uniti che ha elaborato il piano per la riconquista alleata dell’Europa dalla Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, autore anche del famoso “Piano Marshall”, il programma di finanziamento della ricostruzione dell’Europa, era considerato dal Presidente Truman “il più grande americano vivente”.

Ma, nonostante l’ammirazione che il Presidente nutriva per lui, George Marshall si oppose al riconoscimento di Israele in terra di Palestina.

Harry Truman ha preferito preservare le sue possibilità di rielezione per un secondo mandato agli interessi a lungo termine degli Stati Uniti. Gli ebrei costituiscono un blocco elettorale importante e sosterranno la richiesta di riconoscimento”, ha sostenuto Clark Clifford con George Marshall.

L’incontro si è concluso in un clima di grande tensione. George Marshall, furioso, si lascerà andare, uscendo dalla Casa Bianca disse: “Se dovessi votare alle prossime elezioni, voterei contro il Presidente”.

I giornalisti, presenti alla Casa Bianca, ne dedussero che Marshall pensava che Harry Truman stesse pensando di sacrificare la sicurezza degli Stati Uniti per raccogliere il voto di una frazione dei voti degli americani, senza fare il collegamento con la questione del riconoscimento di Israele.

Tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la riunione del 12 maggio 1948, cioè in quasi tre anni, il Comando dello Stato Maggiore Congiunto degli Stati Uniti aveva pubblicato 16 studi sulla questione palestinese; una raccolta pubblicata il 31 marzo 1948 con il titolo: “Storia Stato 1948, Le Necessità del Potere per il Potere” (History State 1948).

Lo Stato Maggiore degli Stati Uniti aveva previsto che la strategia sionista avrebbe mirato a coinvolgere gli Stati Uniti in una serie sempre più ampia di operazioni in modo da raggiungere il maggior numero di obiettivi ebraici.

Secondo lo Stato Maggiore, gli obiettivi principali erano:

• Affermare la sovranità ebraica su parte della Palestina.

• Ottenere il riconoscimento da parte delle grandi potenze del diritto all’immigrazione illimitata degli ebrei della diaspora in Israele

• Quindi estendere la sovranità ebraica su tutta la Palestina ed espandere la terra di Israele fino alla Transgiordania (l’attuale Giordania), così come parte del Libano e della Siria.

Non era la prima volta che lo Stato Maggiore degli Stati Uniti esprimeva le sue preoccupazioni. Così, nel 1947, un rapporto americano metteva in guardia contro il fatto che “la decisione di ripartire la Palestina sostenuta dagli Stati Uniti rischiava di pregiudicare gli interessi strategici americani nel Vicino e Medio Oriente al punto che gli Stati Stati dovevano usare la forza per preservare la loro influenza sul territorio”.

Il sito “History State 1948” pubblica anche una sintesi delle note indirizzate da George Marshall a Harry Truman registrando le preoccupazioni espresse dal Segretario di Stato, desunte del resto, secondo lui, dal comportamento degli ebrei nei confronti degli arabi nei Territori Arabi.

Per quanto riguarda la Palestina, George Marshall ha espresso la sua preferenza per il “regime di amministrazione fiduciaria” o per il suo “collocamento sotto l’amministrazione dell’ONU”, un governo che favorirebbe la convivenza tra arabi ed ebrei.

Ha ritenuto che il riconoscimento giuridico di Israele fosse “inopportuno e prematuro in quanto avrebbe infiammato i Paesi arabi rendendo loro difficile fare concessioni al conte Folke Bernadotte, l’inviato delle Nazioni Unite in Palestina che stava lavorando per ottenere da loro concessioni per una giusta soluzione della questione palestinese”.

Il conte Bernadotte (Svezia) fu assassinato il 17 settembre 1948 a Gerusalemme da membri del gruppo terroristico ebraico sionista LEHI (Lohamei Herut Israel, meglio noto come Banda Stern).

“I Paesi musulmani alle Nazioni Unite reagiranno con forza a una decisione prematura a favore di Israele. Di conseguenza, gli Stati Uniti e i Paesi occidentali incontreranno ulteriori difficoltà su altre importanti questioni sollevate all’interno dell’ONU”, sostiene il Segretario di Stato.

In conclusione, George Marshall raccomanda di astenersi dal riconoscimento giuridico di Israele nel ben inteso interesse degli Stati Uniti.

La questione palestinese è una “questione tragica”

Due settimane prima, George Marshall aveva inviato ad Harry Truman un memorandum sulla visita dell’inviato americano in Israele, MacDonald, dicendo che “la soluzione della questione palestinese non può essere raggiunta attraverso la violenza e sostenendo che la questione palestinese è una questione tragica”.

Che “i dirigenti israeliani rischiano di assumere comportamenti pericolosi se pensano di poter risolvere questa tragica questione in modo brutale e senza attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale”.

In sintesi, la posizione di George Marshall si articolava attorno a tre considerazioni:

• Il riconoscimento di uno Stato ebraico farebbe esplodere la rabbia degli Stati arabi.

• Il riconoscimento di uno Stato ebraico complicherà la risoluzione di molti problemi sia nell’ambito delle Nazioni Unite che con l’opinione pubblica internazionale.

• La soluzione della questione palestinese con la violenza sbarrerà la strada a una soluzione pacifica.

“È nell’interesse degli ebrei rinunciare al riconoscimento giuridico”, conclude.

Così George Marshall si oppose al piano di spartizione della Palestina e raccomandò vivamente di non riconoscere Israele. Fu poi accusato di essere un antisemita.

Ma George Marshall è “antisemita” o semplicemente “visionario”, secondo l’espressione dell’ex comandante in capo del CENTCOM, il Generale Joseph Paul Hoar (1988-1990).

“L’ostinazione israeliana può costare vite americane”, ha sostenuto il Generale statunitense incaricato di risolvere la crisi, a sostegno della sua affermazione.

Il CENTCOM (Central Command o Comando Centrale) è l’anello intermedio del dispositivo strategico americano che fa da congiunzione tra la NATO (Atlantico) e l’OTASE (Asia Pacifico). La sua sede è in Qatar, precedentemente in Florida. La sua area di competenza si estende dall’Afghanistan al Marocco.

L’ostinazione israeliana può costare vite americane:l’articolo di Marc Perry del 13 aprile 2013   

Il 13 aprile 2010, sulla scia della visita in Israele di Joe Biden, allora vicepresidente del Presidente Democratico Barack Obama, la rivista Foreign Policy, pubblicava, firmato da Mark Perry, un articolo che titolava: “Le Riserve del Generale David Petraeus: Mettere Joe Bien in Imbarazzo non è il Problema”, riportando i seguenti fatti:

“Il 16 gennaio 2010, un gruppo di ufficiali del CENTCOM e funzionari americani della sicurezza operanti in Medio Oriente ha tenuto una presentazione sul conflitto israelo-palestinese al collettivo degli ufficiali dello Stato Maggiore Congiunto americano riuniti sotto la presidenza dell’Ammiraglio Michael Mullen, Capo dello Stato Maggiore Congiunto dal 2007 al 2010”.

Il gruppo di ufficiali era stato incaricato dal Generale David Petraeus di esprimere la preoccupazione del CENTCOM per la mancanza di risoluzione del conflitto israelo-palestinese. David Petraeus, ex comandante della coalizione militare in Iraq (2007-2008), ex comandante della Forza Internazionale di Assistenza in Afghanistan (2010-2011, è stato direttore della CIA (2011-2012).

Il rapporto concludeva che “gli arabi erano ormai convinti che gli Stati Uniti non fossero in grado di frenare Israele in alcuna azione e che di conseguenza gli arabi cominciassero a perdere la fiducia negli Stati Uniti e nelle sue promesse. L’ostinazione israeliana nel conflitto israelo-palestinese paralizza il ruolo degli Stati Uniti e la sua posizione regionale. Non solo gli Stati Uniti sono diventati deboli agli occhi degli arabi, ma la posizione militare americana si sta indebolendo, nonostante la presenza di centinaia di migliaia di soldati americani nell’area”.

Per la Casa Bianca, la presentazione degli ufficiali del CENTCOM ha l’effetto di una bomba 

Secondo Marc Perry, “l’esposizione del CENTCOM ha avuto l’effetto di una bomba sulla Casa Bianca”. L’amministrazione Obama ha poi inviato l’Ammiraglio Michael Mullen ad incontrare il Generale Gabi Ashkenazi, Capo di Stato Maggiore israeliano (2007-2008), parallelamente alla visita di Joe Biden in Israele.

Il vicepresidente americano ha trasmesso al Primo Ministro israeliano Benyamin Netanyahu la sostanza dell’incontro Mullen-Askénazi, sottolineando che “le cose sono diventate serie per le nostre forze combattenti in Iraq, Afghanistan e Pakistan; Questo espone noi e la sicurezza regionale al pericolo. Marc Perry ritiene che il messaggio americano fosse “perfettamente chiaro”.

Mentre i commentatori erano inclini a pensare che la visita di Joe Biden in Israele avesse causato un cambiamento nel rapporto tra Israele e Stati Uniti, il fatto è che il vero cambiamento nelle relazioni israelo-americane è avvenuto nel gennaio 2010 quando David Petraeus ha inviato un chiaro monito al Pentagono, tramite la delegazione di ufficiali del CENTCOM, un messaggio che si riassumeva in questi termini: “Le relaziono tra Israele e Stati Uniti sono importanti, ma non più importanti della vita dei soldati americani”.

Israele infiamma l’Asia occidentale contro gli Stait Uniti 

La delegazione del CENTCOM presso la suprema gerarchia militare americana è parsa consapevole, nella sua presentazione, del rapporto tra il conflitto israelo-palestinese, da un lato, e i conflitti in Iraq, Afghanistan e Siria, dall’altro. Ha riconosciuto, implicitamente, che la questione palestinese e i Territori Occupati non potevano trovare la pace con la presenza sionista.

Suggeriva inoltre implicitamente che la resistenza armata non è stata praticata esclusivamente contro l’occupazione israeliana, ma anche contro coloro che sostengono, finanziano e armano Israele e gli forniscono una copertura internazionale per continuare la colonizzazione del territorio palestinese.

Questo fatto era già stato menzionato da Georges Marshall, Segretario di Stato di Harry Truman, nel 1948, nelle sue memorie, quando profetizzò che lo Stato Ebraico avrebbe, in futuro, costituito un “grattacapo” per la politica americana: “La strategia sionista mirerà a coinvolgere gli Stati Uniti in una serie di azioni sempre più approfondite e ampie per raggiungere il maggior numero di obiettivi ebraici”.

Operazione Saif Al-Quds (La spada di Gerusalemme) 

Gli americani iniziarono a rendersene conto nell’operazione Saif Al Quds. Lo scontro tra le forze della coalizione israeliane e palestinesi nell’enclave di Gaza nel maggio 2021 è avvenuto in seguito alla decisione delle autorità di occupazione israeliane di sfrattare i residenti palestinesi da un importante quartiere di Gerusalemme per sostituirli con una popolazione israeliana. Si concluse con un disastro, in termini di immagine di Israele, a causa dell’audace risposta balistica palestinese che ostacolò con successo la navigazione aerea israeliana per 48 ore.

Stephen Walt, professore di relazioni internazionali ad Harvard, alla rivista Foreign Policy :” È  tempo di porre fine alla relazione speciale tra Stati Uniti e Israele”. 

In un editoriale intitolato: “È tempo di porre fine alla relazione speciale tra Stati Uniti e Israele”, Stephen Walt, professore di Relazioni Internazionali presso la prestigiosa Università di Harvard (Boston MA), ritiene che gli Stati Uniti abbiano sopravvalutato il “valore strategico” di Israele e che il “sostegno incondizionato” allo Stato Ebraico a volte crea più problemi a Washington del vantaggio strategico che questo Paese dovrebbe fornire.

“Il costo di questa relazione strategica sta aumentando e questo costo non è solo politico ma anche economico”, afferma.

“Quando gli Stati Uniti fanno uso per tre volte del diritto di veto, da soli, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU su un cessate il fuoco, testimoniano, concretamente, il “Diritto di Israele a difendersi”; un diritto che fanno coincidere con una transazione militare dell’ordine di 735 milioni di dollari (776 milioni di euro)”.

“Ma, quando, allo stesso tempo, gli Stati Uniti si limitano ad offrire ai palestinesi il diritto di vivere in libertà e sicurezza”, sostenendo “la soluzione dei Due Stati, ipotesi a cui pochi esperti danno credito, invocando, in questo contesto, la superiorità morale degli Stati Uniti diventa una formula vuota e falsa”, conclude Stephen Walt, coautore con il suo collega accademico americano, John Mearsheimer, di una notevole opera: “La Lobby Pro-Israele e la Politica Estera Americana” (The Pro-Israel Lobby and American Foreign Policy – edizioni La Découverte).

“La Lobby Pro-Israele e la Politica Estera Americana” è un libro che riprende ed estende la tesi esposta nell’articolo “La Lobby Pro-Israele” (The Pro-Israel Lobby) pubblicato sul numero del 23 marzo 2006 della Recensione del Libro di Londra (London Review of Books). Secondo questa tesi, il considerevole sostegno materiale e diplomatico fornito dagli Stati Uniti a Israele non può essere sufficientemente spiegato da ragioni strategiche o morali.

Il libro supporta e completa questa tesi fornendo come fattore esplicativo l’azione collettiva, ma non centralizzata, di un insieme di individui che lavorano per quelli che ritengono essere gli interessi dello Stato di Israele: la Lobby filo-israeliana, tra cui organizzazioni come l’AIPAC, avrebbe un potere considerevole sulla politica statunitense.

Il Presidente Joe Biden, il Segretario di Stato Anthony Blinken e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jack Sullivan, affrontano molti problemi a causa di questo piccolo Stato mediorientale.

Nonostante ciò, gli Stati Uniti sono coinvolti in gran parte nelle crisi che questo Stato provoca. Queste crisi assorbono molto tempo e distolgono gli Stati Uniti dall’affrontare temi come il cambiamento climatico, la Cina, la pandemia di Covid, il ritiro dall’Afghanistan, la ripresa economica. “Se gli Stati Uniti intrattengono davvero relazioni speciali con Israele, quelle relazioni dovrebbero ricevere tutta l’attenzione che meritano, ma non di più”, continua.

Il sostegno incondizionato a Israele complica in molti modi la politica estera degli Stati Uniti verso il Medio Oriente. Così, per quanto riguarda il nucleare iraniano e la questione cruciale della limitazione della corsa agli armamenti, “i negoziati sarebbero più facili da condurre e concludere se gli Stati Uniti non appoggiassero la costante opposizione al governo di Benyamin Netanyahu, senza parlare della forte opposizione della Lobby israeliana americana”.

Ancora una volta, gli Stati Uniti devono avere una relazione speciale con l’unico Stato della regione a disporre di armi atomiche, se questo aiuta Washington a limitare la proliferazione nucleare.

“La preoccupazione degli Stati Uniti di proteggere Israele porterebbe Washington a stringere relazioni con Stati che dispongono di poca logica strategica e moralità”, conclude.

La storia ne è testimone: ciò che il cosiddetto “più grande soldato americano vivente”, George Marshall, predisse 60 anni fa è stato confermato da molti inviati internazionali. A cominciare dal conte Folke Bernadotte, favorevole a limitare l’emigrazione ebraica in Palestina”.

Il Regno Unito, sebbene all’origine della promessa Balfour di creare una “casa nazionale ebraica in Palestina”, era riluttante a creare uno Stato ebraico, preferendo porre la Palestina sotto l’amministrazione fiduciaria delle Nazioni Unite. Ma gli Stati Uniti avevano fatto pressioni su Londra affinché riconoscesse lo Stato Ebraico.

Il rapporto  di Human Rights Watch : “Israele è uno Stato di Apartheid” 

La battaglia di Saif Al Quds, nel maggio 2021, ha ricordato l’atmosfera che regnava prima, nel 2010, durante la missione del Generale David Petraeus presso lo Stato Maggiore Congiunto degli Stati Uniti.

All’indomani di quella battaglia, Israele è stato accusato di aver commesso crimini di Apartheid e di aver compiuto “atti terroristici” all’interno dello stesso Congresso degli Stati Uniti, senza suscitare alcuna protesta degna di nota.

L’opposizione di George Marshall al riconoscimento giuridico di Israele non era tanto un riflesso del suo antisemitismo, quanto piuttosto un riflesso dei suoi timori che la creazione di Israele avrebbe portato l’America a impegnarsi nella difesa di un Paese che stava per costare all’America risorse e vite americane.

Il Presidente Harry Truman ha riconosciuto Israele il giorno stesso della sua creazione, sia per ragioni elettorali che personali, nonostante l’opposizione di una parte del Dipartimento di Stato e i suoi sentimenti personali. Gli appunti del suo diario rivelano che trovava gli ebrei “crudeli”.

L’AIPAC, la prima Lobby americana filo-israeliana, nasce nel 1951, tre anni dopo la nascita di Israele. Originariamente si chiamava Comitato Sionista Americano per gli Affari Pubblici. Contrariamente a quanto prevale in Francia, dove il lobbismo è associato a una teoria del complotto, negli Stati Uniti il ​​lobbismo è istituzionalizzato.

Il diritto di veto degli Stati Uniti a favore di Israele nel Consiglio di Sicurezza  

Il 53% dei veti statunitensi ha bloccato risoluzioni riguardanti Israele.

La prima volta che Washington usò il veto da sola fu nel 1972 per evitare una risoluzione che censurasse Israele. Da allora, è diventato il più importante utilizzatore del veto, soprattutto contro le risoluzioni che criticano le politiche di Israele. Questo è motivo di continui attriti tra l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza.

Laurent Fabius, Ministro Socialista degli Affari Esteri, ha proposto lunedì 22 ottobre 2012 la riforma del ricorso al diritto di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, chiedendo che il suo uso sia ridotto al solo caso in cui uno Stato detentore di questo diritto sia stato minacciato di azioni ostili da parte delle autorità internazionali. Questa proposta è stata fatta nel pieno della guerra siriana per limitare il diritto di veto esercitato dalla Russia a favore di Damasco. In analisi, il socialista più falso della meritocrazia francese ha cercato, in questo modo, di privare la Russia del suo diritto di veto a favore della Siria, ma, a sua volta, ha privato Israele del suo scudo diplomatico americano.

Dalla Seconda Guerra Mondiale, Israele è stato il più grande destinatario di aiuti esteri statunitensi in generale.

L’assistenza militare statunitense a Israele dal 1948 è ammontata a 142,3 miliardi di dollari (130,8 miliardi di euro, al netto dell’inflazione), secondo le stime del Servizio di Ricerca del Congresso (Congressional Research Service). Questo è l’equivalente del totale cumulativo di cinque bilanci annuali della difesa francese.

Nel 2016, sotto la presidenza di Barack Obama, Stati Uniti e Israele hanno concluso un accordo prevedendo un totale di aiuti pari a 38 miliardi di dollari (35 miliardi di euro) dal 2019 al 2028. Donald Trump ha fornito il suo accordo, sempre in dono, per la consegna all’aeronautica militare israeliana di 50 aerei da combattimento F 35, l’ultima innovazione nell’industria aeronautica americana.

Un’altra prova di sfrenata generosità fu l’aiuto per la produzione in Israele di un importante mezzo trasporto truppe da 60 tonnellate, considerato il mezzo corazzato americano più efficiente sul mercato mondiale.

Nel 2019, l’anno più recente per il quale sono stati rilasciati dati completi, Israele è stato il secondo maggior destinatario di aiuti esteri statunitensi dopo l’Afghanistan, secondo l’USAID.

Uno degli eserciti più avanzati del mondo gode dei fondi per l’acquisto di sofisticate attrezzature militari dagli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti sovrintendono alla ricerca e allo sviluppo delle armi di Israele, contribuendo a finanziare importanti progetti di difesa israeliani come il carro armato Merkava e l’aereo da caccia IAI Lavi (Giovane Leone). Israele partecipa attivamente allo sviluppo dell’aereo da combattimento Lockheed Martin F 35 Lightning II.

Israele e Stati Uniti cooperano in diversi progetti per lo sviluppo di tecnologia militare: possiamo citare il sistema antimissile Arrow e il sistema a guida laser Nautilus. I due eserciti conducono esercitazioni congiunte per testare la loro buona interoperabilità.

In cambio, la Sesta Flotta statunitense staziona ad Haifa e Israele fornisce logistica e manutenzione alle forze statunitensi schierate nella regione. I due Paesi stanno anche parzialmente unendo i loro servizi di spionaggio.

Meglio: unica potenza nucleare del Medio Oriente, Israele, con l’aiuto degli Stati Uniti, sfugge al controllo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, organismo delle Nazioni Unite con sede a Vienna, sull’uso pacifico del nucleare, mentre i Paesi arabi, in particolare l’Egitto, sono colpiti da un divieto in questo settore e l’Iran, circondato da quattro potenze atomiche (Russia, Pakistan, India, Israele), peraltro circondato dalle basi della NATO lungo il Golfo Persico nonché vittima di una caratterizzata aggressione da parte dell’Iraq negli anni ’80, sono minacciati dall’aggressione combinata di Israele e Stati Uniti in caso di sviluppo di programmi nucleari.

Renè Naba è un giornalista-scrittore, ex capo dell’Arab Muslim World (Mondo Arabo Musulmano) al servizio diplomatico dell’AFP, poi consigliere del direttore generale di RMC Middle East, capo dell’informazione, membro del gruppo consultivo dell’Istituto Scandinavo dei Diritti Umani e dell’Associazione di Amicizia Euro-Araba.