Il governo israeliano sta cercando di trasformare l’industria cinematografica in un’arma di propaganda

La fiorente industria del documentario israeliana è rimasta un luogo importante per spiegare al pubblico la realtà nei Territori Occupati, e il prezzo che entrambe le società pagano per questo

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Di Noam Sheizaf – 1 febbraio 2023

Immagine di copertina: Soldati israeliani in Shuhada Street a Hebron passano accanto a bambini palestinesi. Un fotogramma tratto da “H2: The Occupation Lab” (Il Laboratorio dell’Occupazione). Credito: Philippe Bellaïche

La città di Hebron, in Cisgiordania, a meno di un’ora di auto da Gerusalemme, è un luogo unico: l’unica città palestinese in cui i coloni ebrei vivono tra i residenti locali, e non in comunità separate.

Questo è il motivo per cui, dopo che l’esercito israeliano si è ritirato da altre città della Cisgiordania a metà degli anni ’90 come parte degli Accordi di Pace di Oslo, ha mantenuto il controllo sull’antico centro di Hebron, che comprende il luogo sacro della Grotta dei Patriarchi, venerato come il luogo in cui Abramo stesso fu sepolto. Conosciuta come H2, è un’area urbana sotto una delle più lunghe occupazioni militari dirette al mondo, un fatto immediatamente visibile a qualsiasi visitatore: i negozi sono chiusi; La mobilità palestinese è fortemente limitata; e muri di cemento, filo spinato, telecamere di sicurezza, posti di blocco e di controllo sono ovunque.

Avendo prestato servizio a Hebron come giovane ufficiale di fanteria negli anni ’90, sento un legame speciale con questa città. Ci sono tornato negli anni successivi come giornalista e più recentemente ho lavorato, insieme al veterano documentarista israeliano Idit Avrahami, a un film che racconta la sua storia recente, usando le testimonianze dei generali israeliani che hanno governato la città per raccontare la storia del controllo militare di Israele sulla Cisgiordania. Intitolato “H2: Il Laboratorio dell’Occupazione” (H2: The Occupation Lab), il nostro film è stato presentato in anteprima a Tel Aviv lo scorso maggio ed è stato trasmesso sul canale documentaristico israeliano. Nelle ultime settimane, però, il nostro documentario è stato attaccato; le proiezioni sono state cancellate; ed è iniziata una campagna diffamatoria contro di noi in Rete. Da quando il nuovo governo di Benjamin Netanyahu ha preso il potere a dicembre, le cose sono peggiorate.

Il nuovo Ministro della Cultura, Miki Zohar, ha accusato il nostro film e un altro nuovo documentario, “Due Bambini al Giorno” (Two Kids a Day), che si concentra sugli arresti di minori palestinesi da parte dei militari, ed è accusato di diffamare Israele e danneggiare la reputazione dei militari. Secondo quanto riferito, prima ancora di guardare i film, ha annunciato che il suo ufficio sta esaminando possibili azioni sanzionatorie, tra cui costringere i loro creatori a rimborsare qualsiasi finanziamento del governo, una richiesta che equivarrebbe a una pesante penalizzazione per le società di produzione, dal momento che il denaro in questione è già stato speso.

Il Ministro Zohar spera anche di impedire progetti simili richiedendo ai registi che cercano sovvenzioni governative di impegnarsi a non danneggiare la reputazione del Paese con le loro opere. Data la nuova influenza della destra sul Parlamento, le proposte di Zohar potrebbero presto diventare una realtà, e la dipendenza dell’industria cinematografica israeliana dal sostegno dei contributi pubblici potrebbe benissimo costringere molti cineasti a firmare tali giuramenti di fedeltà, o rischiare di non essere in grado di completare il loro progetti.

Nel complesso, alla società israeliana non piace discutere dell’occupazione, e negli ultimi anni le notizie interne al riguardo sono diventate più rare. Il più delle volte, questi resoconti vengono raccontati attraverso la prospettiva della “questione della sicurezza” e si astengono dal trattare i diritti umani o l’assenza di diritti politici per i palestinesi.

Tuttavia, la fiorente industria del documentario israeliana è rimasta un luogo importante per spiegare al pubblico la realtà nei Territori Occupati, e il prezzo che entrambe le società pagano per questo. Non solo i cineasti continuano a documentare ciò che sta accadendo in Cisgiordania, ma a volte riescono dove altri metodi di impegno pubblico falliscono. I film creano un mondo tutto loro, quindi hanno il potere di evitare narrazioni e ideologie dominanti; si connettono a livello emotivo, non solo intellettuale; raccontano una storia: e spesso offrono l’opportunità di adattare una nuova prospettiva.

E così, acclamati documentari prodotti negli ultimi 15 anni, come: “La Legge da Queste Parti” (The Law in These Parts), il vincitore dell’Emmy “Difensore” (Advocate) e i candidati agli Oscar “I Guardiaporta” (The Gatekeepers) e “5 Videocamere Rotte” (5 Broken Cameras) hanno portato alla luce le brutali pratiche utilizzate da Israele in Cisgiordania e ha scatenato feroci dibattiti pubblici. Altre opere, come “Contenitore Blu” (Blue Box) e “Tantura”, sul massacro sionista nell’omonimo villaggio, si sono spinte addirittura oltre, esaminando criticamente la narrazione formale delle radici del conflitto arabo-israeliano.

Non sorprende che questi documentari generino disagio e ripercussioni. Ora la destra israeliana, che ha cercato a lungo di delegittimare o addirittura criminalizzare le critiche all’Occupazione, sta vedendo un’opportunità per sopprimere tali film.

Qualche settimana fa, le proiezioni del nostro film previste in una sala pubblica a Pardes Hanna-Karkur, a Nord di Tel Aviv, sono state bruscamente annullate dal Consiglio Comunale con l’unico pretesto che gli spazi pubblici non possono ospitare eventi politicamente controversi.

I membri del Consiglio Comunale di Gerusalemme hanno minacciato di tagliare il bilancio della Cineteca di Gerusalemme se il nostro documentario fosse stato proiettato. (Il centro cinematografico lo ha proiettato comunque.) I manifestanti hanno assediato le cineteche nei sobborghi di Tel Aviv di Herzliya e Holon che hanno proiettato “Due Bambini al Giorno”; il numero di telefono privato del sindaco di Holon è stato pubblicato nei gruppi WhatsApp da un attivista di destra. Meme e messaggi che circolano nei gruppi di destra accusano me e il mio co-direttore di antisemitismo e di essere attivisti del BDS.

Per quanto stressanti possano essere gli attacchi personali, gli sviluppi più preoccupanti sono molto più grandi delle nostre stesse vite. La cultura e l’industria creativa di Israele si affidano al contributo del governo per le sue produzioni. Diversi fondi, insieme alla Lotteria Nazionale, danno sovvenzioni ai registi. Politicizzando l’assegnazione dei fondi, minacciando di impedire ai cineasti di sinistra di ricevere sovvenzioni e ponendo i progetti sotto la supervisione politica, sembra che il nuovo governo cerchi di trasformare l’industria cinematografica in un braccio di propaganda per lo Stato, l’Occupazione e il Governo.

E il problema va ben oltre i bilanci cinematografici. Il nuovo Ministro delle Comunicazioni, Shlomo Karhi, sta cercando di chiudere la Società Israeliana di Radiodiffusione Pubblica Kan, uno dei maggiori investitori in contenuti originali in Israele. Secondo stime comuni nel settore, l’intenzione del governo è di dirottare almeno una parte del bilancio di Kan verso reti commerciali, e in particolare verso un piccolo canale di notizie di estrema destra che è ampiamente considerato un portavoce di Netanyahu e dei suoi sostenitori.

La coalizione di Netanyahu ha anche presentato proposte che renderebbero quasi impossibile il giornalismo critico e il lavoro documentaristico. Un disegno di legge vieterebbe la messa in onda di registrazioni fatte senza il consenso dei partecipanti, mentre un altro vieterebbe la registrazione di soldati in azione, o anche la condivisione di tali video in Rete. L’acquisizione dell’industria della cultura e dei media da parte del governo andrebbe di pari passo con gli sforzi per limitare il potere dei tribunali.

Non è azzardato dire che questi sono i primi passi del progetto demagogico, del tipo che il mondo ha visto in Turchia e Ungheria. Nulla garantisce che Israele non segua lo stesso percorso.

Al centro del nostro film c’è l’idea che ciò che accade ora a Hebron può accadere e avverrà altrove, prima in Cisgiordania e Gerusalemme Est, e poi all’interno di Israele vero e proprio. Ecco perché l’abbiamo intitolato “Il Laboratorio dell’Occupazione”. Infatti, l’accoglienza di questo film e i recenti sforzi per sopprimerlo avvalorato questa ipotesi.

Ma la storia qui è più grande del destino di un film, o addirittura dell’intera industria cinematografica. Non si può mantenere una democrazia per i suoi cittadini insieme a una dittatura militare per i suoi non cittadini, senza conseguenze. Israele è riuscito a evitarli per molto tempo, ma ora è arrivato il momento della verità.

Noam Sheizaf è un documentarista e giornalista.

Traduzione di Beniamino Rocchetto -Invictapalestina.org