Israele ha fatto della “vittoria totale” il suo Messia – una redenzione che non potrà mai essere realizzata, ma che impone guerra eterna e distruzione come stile di vita.
di Orly Noy, 27 novembre 2024
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FOTO: Residenti delle comunità israeliane settentrionali evacuate dalle loro case a causa della guerra protestano contro il cessate il fuoco, a Tel Aviv – 26 novembre 2024. (Avshalom Sassoni/Flash90)
I media internazionali sono stati inondati ieri da filmati di persone in Libano che festeggiavano la notizia dell’imminente cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, entrato in vigore questa mattina presto. Come ha spiegato un reportage accompagnato da un video, “la notizia ha portato un momento di speranza e sollievo a coloro che sono stati colpiti dal conflitto in corso”.
Lo stesso video è stato condiviso dalla pagina Instagram ebraica “Push – Real-Time Reports”, che conta più di 860.000 follower. La didascalia era piuttosto diversa: “La gente in Libano festeggia l’accordo di cessate il fuoco: ‘Israele si arrende a Hezbollah’”.
Ho ricontrollato con amici di madrelingua araba e nella clip non si sente una sola parola di “vittoria” o “sconfitta”. Tutto ciò che mostra è la gioia delle persone per la fine della guerra che ha distrutto gran parte delle loro vite, come ci si aspetterebbe dalla maggior parte degli esseri umani normali che soffrono per un conflitto in qualsiasi parte del mondo.
Le reazioni al post su Instagram, inutile dirlo, non sono state gioiose. L’unica cosa che hanno festeggiato è stata la distruzione di vite libanesi. I commenti hanno espresso una diffusa rabbia per l’accordo che si sta delineando, facendo un uso cinico della memoria dei soldati caduti, la cui morte, secondo loro, sarebbe stata “vana” se l’accordo fosse stato firmato. In Libano come a Gaza, gli israeliani non chiedono altro che la “vittoria totale”.
Questa reazione non entusiasta alla prospettiva di un cessate il fuoco con Hezbollah si è estesa ben oltre i confini dei social media. Tra i primi ad opporsi sono stati i leader locali e i residenti delle comunità israeliane settentrionali, che hanno affermato che l’accordo emergente non affronta adeguatamente le loro preoccupazioni in materia di sicurezza. Eitan Davidi, presidente del Moshav Margaliot nell’Alta Galilea, ad esempio, ha affermato che qualsiasi accordo di cessate il fuoco deve includere la condizione di “una zona cuscinetto di 2-3 chilometri, [in modo che] questi villaggi, che ci hanno minacciato per molti anni, appartengano al passato”.
Sul lato israeliano del confine, ci sono almeno 28 comunità in un raggio simile a quello del Libano – compresa la comunità di Davidi – da cui l’ex ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ordinato ai residenti di evacuare un anno fa. Come avrebbe risposto Israele alla richiesta libanese di creare una zona cuscinetto sul lato israeliano, cancellando queste comunità dalla mappa? Perché agli israeliani sembra così naturale e scontato che le loro preoccupazioni per la sicurezza giustifichino una distruzione così massiccia di vite altrui?
Dopo più di un anno di guerra che ha sfollato decine di migliaia di israeliani dalle loro case nel nord, e che si è ulteriormente intensificata dopo che le truppe di terra israeliane hanno invaso il sud del Libano quasi due mesi fa, si può certamente simpatizzare con le loro preoccupazioni. Per molti di loro questo periodo è stato infernale, la spina dorsale delle loro comunità è stata distrutta e sono stati lasciati economicamente devastati. Ma i residenti sfollati non sono stati i soli a disapprovare la prospettiva di un cessate il fuoco.
Lunedì, in preda a un leggero panico, Canale 14, il canale di propaganda di Netanyahu, si è affrettato a pubblicare un sondaggio d’opinione che mostra come il 55% dell’opinione pubblica israeliana sia contraria a fermare la guerra nel nord. Durante una discussione in studio, Yaron Buskila, segretario generale del Forum per la Difesa e la Sicurezza di Israele (noto in ebraico come “HaBithonistim”), ha sottolineato che c’è una “opposizione da parte di tutti” all’accordo all’interno dell’establishment della difesa israeliana. Hanno persino trovato un cittadino libanese che ha dichiarato che “l’IDF ha ottenuto enormi successi e deve eliminare Hezbollah una volta per tutte”.
L’opposizione pavloviana di Canale 14 a qualsiasi tentativo di de-escalation era prevedibile, ma non è stata affatto un’eccezione. Anche Yossi Yehoshua, corrispondente militare e della difesa del quotidiano centrista Yedioth Ahronoth, ad esempio, si è detto insoddisfatto. “Chi ottiene una chiara vittoria detta i termini di un cessate il fuoco, e se l’altra parte non li accetta, allora si continua a colpire”, ha scritto in risposta all’accordo emergente. “Altrimenti, non è una vittoria, e certamente non è una vittoria totale”.
Pur ammettendo che “interi villaggi [nel sud del Libano] sono stati rasi al suolo”, Yehoshua si è subito chiesto: “Cosa succederà se un residente libanese vorrà tornare e ricostruire la propria casa? E supponiamo che arrivi in abiti civili – chi ci garantisce che non sia uno sciita affiliato a Hezbollah, magari un combattente?”.
Ancora una volta, provate a immaginare come reagirebbe Israele se un giornalista libanese mainstream chiedesse di distruggere qualsiasi città o comunità civile da cui l’esercito israeliano lanciasse attacchi sul suo territorio. Ma a Yehoshua era stata promessa una vittoria totale; qualsiasi cosa di meno sarebbe stata semplicemente una promessa non mantenuta.
Naturalmente, reazioni simili si sono avute nella sfera politica, e da entrambe le sponde dello spettro. In un appassionato appello al Primo Ministro Benjamin Netanyahu, il Ministro della Sicurezza Nazionale di estrema destra Itamar Ben Gvir ha implorato: “Signor Primo Ministro, non commetta questo errore. Siamo sull’orlo di una vittoria storica; dobbiamo continuare, continuare, continuare”.
Persino Benny Gantz, la figura dell’opposizione senza spina dorsale che ha sostenuto ogni spregevole crimine di guerra commesso da Netanyahu a Gaza e lo ha difeso con fervore dopo che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto contro di lui, ha scelto di aggirare il primo ministro da destra, criticando la sua intenzione di raggiungere un cessate il fuoco. “Non dobbiamo fare un lavoro a metà”, ha dichiarato.
Ho chiesto a un amico giornalista palestinese di raccogliere le reazioni dei residenti libanesi, alcuni dei quali colleghi giornalisti, sull’imminente cessate il fuoco. “Stiamo cercando di non essere troppo ottimisti perché è risaputo che Israele spesso dice di no [a un cessate il fuoco] all’ultimo minuto, ma in generale tutti vogliono davvero che la guerra finisca”, ha detto uno di loro. “I sostenitori di Hezbollah credono che un cessate il fuoco sarebbe una vittoria, ma altri libanesi ritengono che l’entità della distruzione e della morte neghi qualsiasi nozione di vittoria”, ha detto un altro. “La gente del sud, di Baalbek e Dahiyeh desidera disperatamente tornare alle proprie case”, ha detto un terzo. “Inshallah, un giorno presto anche a Gaza”, ha detto un quarto.
È sorprendente come questa normale reazione umana – desiderare che una guerra finisca, invece di continuare all’infinito – sia completamente invertita quando si tratta del pubblico israeliano. Presumibilmente ha a che fare con il fatto che i loro leader promettono, da più di un anno, una sorta di amorfa “vittoria totale”. Nessuno sa come dovrebbe essere esattamente, ma finché rimane qualcosa da distruggere, è chiaro che non è stata ancora raggiunta e il pubblico rimane insoddisfatto.
Yeshayahu Leibowitz, il defunto intellettuale e filosofo israeliano, era solito dire che “il Messia è colui che verrà sempre”, collocando la redenzione nel futuro. Questa è la funzione che l’anelito messianico dovrebbe svolgere nella vita di un ebreo: obbligarci costantemente a correggere i nostri modi in attesa del suo arrivo. Con una svolta orribile, Israele ha trasformato guerra, distruzione e devastazione nel suo Messia – una redenzione che non potrà mai essere realizzata, ma che impone la guerra eterna come stile di vita.
Orly Noy è redattrice di Local Call, attivista politica e traduttrice di poesia e prosa in farsi. È presidente del comitato esecutivo di B’Tselem e attivista del partito politico Balad. I suoi scritti affrontano le linee che si intersecano e definiscono la sua identità di Mizrahi, di donna di sinistra, di migrante temporanea che vive all’interno di un’immigrata perpetua, e il costante dialogo tra di esse.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org