FOTO: Una visita al centro sanitario dell’UNRWA nella città vecchia di Gerusalemme Est, nell’ambito di una missione diplomatica in Israele e nei territori palestinesi, a Rammalah, in Palestina, giovedì 16 maggio 2024.
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di Amer Sultan, 27 novembre 2024
Il Regno Unito e gli Stati Uniti intendevano reinsediare i palestinesi nei Paesi vicini, dopo che questi erano stati costretti a fuggire dalle loro case in Palestina nel 1947 e nel 1948 a causa delle azioni terroristiche delle forze sioniste.
I documenti, portati alla luce da MEMO negli Archivi Nazionali Britannici, mostrano anche che il governo britannico considerava l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) come uno strumento per raggiungere questo obiettivo.
L’UNRWA è stata istituita con una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’8 dicembre 1949 e ha iniziato a operare ufficialmente il 1° maggio 1950, con sede a Beirut, in Libano. Fin dall’inizio, la missione principale dell’agenzia è stata quella di trasferire i rifugiati palestinesi dai programmi di assistenza diretta a quelli di lavoro, in attesa di una soluzione politica alla loro situazione. A metà giugno 1950, le Nazioni Unite ribadirono che l’Agenzia “non ha il mandato per occuparsi della soluzione politica del problema dei rifugiati palestinesi”.
Nel dicembre 1949, le Nazioni Unite adottarono la Risoluzione 194, che riconosceva il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare alle loro case in Palestina. La risoluzione chiedeva che ai rifugiati che desideravano tornare e vivere pacificamente con i loro vicini “fosse permesso di farlo alla prima data possibile”. Fu adottata con 35 voti a favore, compresi quelli di Regno Unito e Stati Uniti, 15 voti contrari e 8 astensioni.
La risoluzione prevedeva anche che venisse fornito un risarcimento a coloro che “scelgono di non tornare e per la perdita o il danneggiamento dei beni che, secondo i principi del diritto internazionale o dell’equità, dovrebbero essere risarciti dai governi o dalle autorità responsabili”.
Tuttavia, nell’agosto del 1949, 13 mesi dopo l’annuncio dell’istituzione di Israele, il governo britannico decise che la “soluzione finale” del problema risiedeva nel “reinsediamento e non nel soccorso”.
Il Primo Ministro Clement Attlee, in una nota sul problema dei “rifugiati arabi palestinesi”, incaricò i suoi ministri degli Esteri, del Tesoro e dell’Economia di “discutere quali ulteriori disposizioni dovrebbero essere prese” per affrontare il problema. “L’enfasi dovrebbe essere posta sul reinsediamento”, scrisse.
Quando le attività dell’UNRWA iniziarono nel 1950, l’agenzia assisteva circa 750.000 rifugiati palestinesi residenti in 58 campi profughi riconosciuti in Giordania, Libano, Siria, Striscia di Gaza e Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Il promemoria di Attlee indicava inoltre di non fornire alcun sostegno finanziario ai governi dei Paesi che ospitavano i rifugiati, a meno che non contribuissero allo sforzo di reinsediamento. “Ogni ulteriore contributo specifico da parte dei fondi britannici dovrebbe essere condizionato al riconoscimento da parte del governo locale interessato, in misura maggiore di quanto fatto finora, delle proprie responsabilità in materia”, aggiungeva il memorandum.
Ciò seguì le deliberazioni dei vari dipartimenti governativi britannici per stabilire una posizione ufficiale britannica sul problema dei rifugiati. I ministri raccomandarono che i governi dei Paesi vicini “contribuissero in modo sostanziale al soccorso e al reinsediamento” dei rifugiati palestinesi. Essi sottolinearono che il governo britannico avrebbe dovuto dare la priorità al reinsediamento rispetto agli sforzi di soccorso e che “l’enfasi principale dovrebbe essere posta sulla definizione del programma di reinsediamento a scapito del soccorso”.
All’epoca si stimava che i costi combinati degli sforzi di soccorso e reinsediamento da parte dei governi occidentali e non occidentali ammontassero a circa 24 milioni di dollari. I ministri raccomandarono di aspettare di vedere quali contributi avrebbero dato gli altri governi prima di impegnare ulteriori fondi britannici. “Dovremmo anche aspettarci che contribuiscano a qualsiasi fondo futuro in misura maggiore rispetto alla loro quota”, scrivono.
In una lettera al Primo Ministro, Lord Jay, ministro dell’Economia britannico, esprime la convinzione che “l’unica soluzione radicale del problema dei soccorsi è il reinsediamento e non il soccorso”.
“La responsabilità principale per questi rifugiati arabi (palestinesi) spetta ai governi locali interessati”, scriveva. Pur riconoscendo che la Gran Bretagna ha una “posizione speciale in Medio Oriente”, Lord Jay suggerisce che la Gran Bretagna ha un “interesse sostanziale” nella questione dei rifugiati. Tuttavia, sostiene anche che il contributo britannico al fondo di soccorso è già “superiore alla nostra quota appropriata”.
La lettera di Lord Jay fu inviata al Primo Ministro dopo una richiesta di Ernest Bevin, l’allora Ministro degli Esteri, che proponeva di “fornire ulteriori fondi per il soccorso e/o il reinsediamento” dei rifugiati arabi palestinesi. Nella sua risposta, Lord Jay sottolineò ancora una volta che l’attenzione principale “dovrebbe essere rivolta al reinsediamento”.
Il governo britannico considerava la questione dei rifugiati come “una responsabilità diretta” condivisa non solo da Israele, ma anche dagli Stati arabi confinanti e dalla comunità internazionale.
Nella sua lettera, Lord Jay rammenta ai colleghi che gli Stati arabi “abitano un’area così importante dal punto di vista politico e strategico” e osserva che gli arabi “tendono a considerare che la politica britannica degli ultimi trent’anni è stata responsabile della creazione di uno Stato ebraico e, in qualche misura, dello spostamento di questi rifugiati arabi”.
I documenti rivelano anche che il Regno Unito e gli Stati Uniti erano in frequente contatto per discutere il modo migliore per reinsediare i rifugiati palestinesi nei Paesi ospitanti attraverso le attività di soccorso in corso.
I britannici “hanno valutato sia a Londra che con le autorità americane il modo migliore per stimolare i governi locali a continuare l’opera di soccorso e a trasformarla in reinsediamento”, spiega la lettera di Lord Joy. Gli inglesi e gli americani ritenevano che il reinsediamento “avrebbe fornito l’unica soluzione a lungo termine del problema”.
I documenti rivelano che meno di un anno dopo, alcuni rifugiati palestinesi in Libano si appellarono alla Gran Bretagna e ai difensori dei diritti umani per ottenere il diritto di tornare in Palestina, la loro patria. In una lettera al primo ministro britannico, inviata tramite il console britannico a Beirut, scrissero in arabo: “Crediamo veramente che lei possa rimandarci a casa nostra usando i suoi poteri, se lo desidera”.
La lettera era stata scritta da Ali Ahmed El-Abed, costretto a lasciare il suo villaggio, Shafa Amr, nel nord della Palestina. Ha dovuto vivere come rifugiato nel campo di Wavel, situato a Baalbek, a est di Beirut.
La lettera ha attribuito la responsabilità della situazione dei rifugiati palestinesi al Regno Unito. Ricorda al governo britannico che i palestinesi sono stati sotto la protezione britannica per 30 anni e osserva che: “ Come risultato, siamo dispersi lontano dalle nostre case, dal nostro Paese e dal nostro popolo”. La situazione dei rifugiati si stava deteriorando, spiegava la lettera, affermando che “la situazione va di male in peggio” e avvertendo che “la morte è più vicina a noi della vita”.
La lettera, datata 21 giugno 1950, ricordava al governo britannico che i rifugiati si consideravano ancora “sotto la protezione britannica e hanno passaporti con la corona britannica”.
Il 18 luglio, il governo britannico respinge la petizione. Nella sua risposta, il governo esprimeva “simpatia” per i rifugiati, ma chiariva che “non è possibile per il governo di Sua Maestà intraprendere alcuna azione in questa materia se non attraverso il mezzo delle Nazioni Unite”. La risposta, inviata a El-Abed, affermava il “pieno e incondizionato sostegno” del governo britannico alle Nazioni Unite nell’affrontare la questione.
Poche settimane dopo, l’ambasciatore dell’ex Unione Sovietica ricevette una lettera simile, firmata da 10.000 rifugiati, in cui si chiedeva di sostenere il ritorno dei palestinesi alle loro case. Questa lettera respingeva l’UNRWA come un progetto che “mirava a impedire l’attuazione delle decisioni delle Nazioni Unite”. I firmatari consideravano questo progetto come un “perseguimento di una politica imperialista”.
La lettera, scritta in arabo con una traduzione in inglese e inoltrata al governo britannico, insisteva sull’attuazione della Risoluzione 194 delle Nazioni Unite, che affermava il diritto dei palestinesi a tornare alle loro case in Palestina.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org