Prima parte – La Palestina contro un mondo di eco-apartheid

Negli anni a venire, l’eco-apartheid diventerà più evidente in tutto il mondo, poiché la violenza coloniale verrà utilizzata per mantenere e salvaguardare gli interessi e i profitti occidentali. Oggi stiamo assistendo a questo futuro a Gaza.

di Vijay Kolinjivadi e Asmaa Ashraf, 17 novembre 2024

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Copertina: Una panoramica generale della distruzione nelle vicinanze dell’ospedale Al-Shifa, a seguito di un’operazione militare israeliana durata due settimane nella città di Gaza, il 2 aprile 2024. (Credito immagine: © OMAR ISHAQ/DPA VIA ZUMA PRESS APA IMAGES)

Nota dell’editore: quanto segue è il quarto di una serie di articoli co-pubblicati da Mondoweiss e dal Transnational Institute che colloca la Palestina nel lungo percorso delle lotte anticoloniali, da Haiti al Vietnam, all’Algeria e al Sudafrica.

Gaza sta attualmente vivendo il più grande massacro di uomini, donne e bambini degli ultimi decenni e un tasso di distruzione che ha prodotto oltre 40 milioni di tonnellate di macerie che richiederanno più di un decennio per essere rimosse.

Le quasi 100.000 tonnellate di bombe sganciate sulla Striscia di Gaza dall’ottobre 2023 superano i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale su Londra, Dresda e Amburgo messi insieme. Gaza è il luogo di una delle più grandi carestie di massa progettate in questo secolo. In più di un anno, non c’è stato un giorno in cui un bambino non sia stato smembrato dall’esercito israeliano sostenuto dagli Stati Uniti.

Gaza ha visto i suoi ospedali, università, mercati e servizi essenziali fatti a pezzi e i suoi corsi d’acqua, l’aria e i terreni inquinati a livelli altamente tossici dai residui chimici dei bombardamenti a tappeto. La forza distruttiva con cui la Striscia di Gaza è stata bombardata è equivalente a diverse volte quella della bomba nucleare che gli Stati Uniti hanno sganciato su Hiroshima. Eppure, le decine di migliaia di bambini palestinesi che muoiono a causa di mutilazioni, incenerimenti e infezioni derivanti da amputazioni, non contano assolutamente nulla agli occhi dell’Occidente, in netto contrasto con il modo in cui reagisce quando un israeliano viene tenuto in ostaggio, o un americano straricco è intrappolato in un sommergibile sottomarino durante un viaggio di piacere per vedere il Titanic. È assolutamente evidente che le vite dei palestinesi non contano per le potenze imperiali e i loro interessi.

L’eliminazione completa di intere popolazioni ritenute subumane o non equivalenti ai corpi europei o euroamericani ci ricorda come gli orrori della tratta transatlantica degli schiavi e del genocidio coloniale delle popolazioni indigene da parte degli imperi occidentali non ci hanno mai abbandonato.

È anche uno spaventoso riflesso delle priorità dei governanti del mondo mentre assistiamo all’erosione dei sistemi di supporto vitale del pianeta a causa del collasso ecologico. Il desiderio della classe dirigente di preservare una società liberaldemocratica libera dal collasso ecologico si estende solo a un futuro riservato a loro stessi – una minoranza sempre più esigua di multimilionari e miliardari. Nel frattempo, ciò a cui stiamo assistendo a Gaza è un segno di ciò che accadrà in un’epoca di crescente degrado ecologico causato da un ordine mondiale capitalista che non è più adatto allo scopo – se mai lo è stato. Come ha dichiarato il presidente colombiano Gustavo Petro alla conferenza sul clima COP28 a Dubai lo scorso anno: “Gaza è lo specchio del nostro immediato futuro”.

La parola genocidio è tristemente insufficiente per descrivere l’annientamento deliberatamente architettato di persone e delle relazioni ecologiche che sostengono la loro vita. Quello a cui stiamo assistendo in Palestina è l’intento mostruoso di eliminare un intero popolo e un intero ambiente per consolidare gli interessi imperiali guidati dagli Stati Uniti di fronte alla resistenza anticoloniale e per capitalizzare i progetti di petrolio e gas e la “proprietà del waterfront” sulla costa di Gaza.

Con la crescente mobilitazione di fazioni demoniache di estrema destra e un generale spostamento verso il capitalismo autoritario in tutto il mondo, il futuro potrebbe vedere altri casi di annientamento del tessuto sociale ed ecologico dei luoghi, nel tentativo estremo di continuare a estrarre profitti e rimuovere le “popolazioni in eccesso” – ma con meno pretese liberali e progressiste riguardo alla morale, ai diritti umani e alle soluzioni “win win”. Questi atti di annientamento saranno invece inquadrati come situazioni in cui i vincitori “civilizzati” sconfiggono i “cattivi” barbari (secondo le parole dell’ex candidato democratico alla vicepresidenza degli Stati Uniti Tim Walz) – disumanizzando le popolazioni innocenti il cui sacrificio sarà ritenuto necessario per mantenere un ordine mondiale morente e totalmente catastrofico.

In questo saggio spieghiamo perché l’ecocidio e il genocidio combinati a Gaza sono espressione dell’eco-apartheid, un fenomeno di razzializzazione violenta che fa avanzare la frontiera coloniale dell’occupazione delle terre e del saccheggio delle risorse per convogliare la ricchezza verso pochi privilegiati a spese della grande maggioranza delle persone. All’interno dell’ordine razziale imperialista dell’eco-apartheid, la distruzione dei “miserabili della terra” – delle popolazioni di carnagione scura, nere e indigene – e la cancellazione dei loro ambienti, delle loro culture e delle loro conoscenze, è considerata del tutto banale, un sistema che funziona come dovrebbe. È per questo motivo che genocidio ed ecocidio dovrebbero essere considerati due facce della stessa medaglia. Entrambi sono definiti dal tentativo di annientare un intero popolo e gli ambienti di vita di cui fa parte. Il cambiamento climatico è il risultato di secoli di occupazione coloniale e di sfruttamento di persone discriminate e delle loro terre come “risorse”. Ciò che distingue il genocidio dall’ecocidio è il ritmo dell’assassinio: veloce in alcuni luoghi, più lento in altri.

Il processo di incanalare la ricchezza verso una manciata di persone comporta la creazione di zone di sacrificio geopolitiche e geofisiche di diversa gravità. Queste zone di sacrificio possono verificarsi sia nel Sud globale sia nelle zone centrali dell’impero. Ad esempio, mentre la classe operaia americana in alcune zone della Carolina del Nord ha ricevuto non più di 750 dollari in fondi di soccorso dopo la distruzione causata dall’uragano Helene, reso più violento dal cambiamento climatico, il governo degli Stati Uniti dal 7 ottobre 2023 ha dato oltre 22,7 miliardi di dollari in aiuti a Israele per bombardare Gaza e il Libano (pari a oltre 2.300 dollari per cittadino israeliano).

Malgrado le conseguenze del nesso ecocidio-genocidio siano mortali per l’umanità, in questo saggio sosteniamo che l’eco-apartheid è necessario per mantenere il sistema imperialista capitalista per i decenni a venire e per assicurare un futuro colonizzatore suprematista bianco. In questo futuro, le finezze di un ordine liberale basato su regole saranno abbandonate: i miti del multilateralismo, del multiculturalismo, del diritto internazionale e dei diritti umani non saranno più convenienti per la classe dirigente di fronte alle schiaccianti contraddizioni economiche ed ecologiche. Come scrive Nesrine Malik, l’insondabile aggressione a Gaza – senza che i leader politici occidentali abbiano mosso un dito – indica che il nostro è ancora un mondo in cui il potere ha ragione. L’atteggiamento di “guardare dall’altra parte” delle potenze occidentali, che sostengono e incoraggiano attivamente il genocidio dei gazawi, e l’orchestrato silenziamento delle voci di opposizione, prefigurano l’imminente normalizzazione e manipolazione collettiva di una violenza inimmaginabile, mentre la catastrofe climatica continua a manifestarsi.

Nelle sezioni che seguono mettiamo in evidenza alcuni aspetti del regime di eco-apartheid, in cui un numero crescente di persone viene disumanizzato e deliberatamente scacciato di fronte all’ira del cambiamento climatico e della precarietà sociale, anche attraverso una violenta occupazione militare. Allo stesso tempo, l’élite continuerà a sviare le responsabilità e a farsi scudo della cosiddetta “sostenibilità”. Nel preparare questo saggio, abbiamo parlato con difensori della terra e organizzatori di comunità antimperialisti che ci hanno dato consigli su come acquisire la forza necessaria per organizzarsi e lottare in un momento storico in cui la dipendenza dalle istituzioni esistenti è palesemente futile.

La Palestina nell’ecologia mondiale

Il progetto sionista non è che una moderna iterazione della selvaggia storia coloniale dell’Occidente. A partire dalla dichiarazione britannica di Balfour e dalla violenta repressione della Grande Rivolta Araba del 1936-1939, fino alla fornitura di armi pesanti da parte della Francia a metà del XX secolo, e ora agli incessanti aiuti militari degli Stati Uniti, Israele è sempre stato visto come il baluardo centrale del dominio imperialista nella regione. È considerato un avamposto della missione civilizzatrice dell’Europa tra gli arabi “arretrati” e i loro paesaggi aridi, nonché l’antidoto alle espressioni di autodeterminazione araba e ai movimenti arabi progressisti.

Come l’impero britannico prima di lui, che ha legittimato e facilitato il progetto sionista, l’impero statunitense non è interessato alla democrazia, ai diritti umani o alla lotta all’antisemitismo. Questi, come la “sostenibilità” negoziabile, sono solo narrazioni convenienti che servono a far leva sulle preoccupazioni sociali allo scopo di rilanciare i progetti militari ed economici dell’impero statunitense. L’intento di questi progetti è quello di sottomettere territori e persone e spingerli in circuiti di accumulazione intorno al lavoro, alla terra e a nuove forme di debito. Di conseguenza, persone già ricche mantengono e migliorano i loro stili di vita ad alta intensità di acqua ed energia attraverso un’automazione eco-modernista che viene etichettata come resiliente al clima. In sostanza, gli stili di vita ecomodernisti non sono altro che il 10% dei più ricchi che fa strage (letteralmente e metaforicamente) dei propri investimenti. La ricerca coloniale delle risorse conferisce anche uno status di esaltazione al colonizzatore suprematista bianco, soprattutto quando sono gli arabi, i musulmani e i neri o persone di carnagione scura a basso reddito a soffrire – per i capricci degli interessi occidentali – ad Haiti, in Libano, nella Repubblica Democratica del Congo, a Cuba, in Sudan o all’interno degli Stati Uniti o di altri Paesi occidentali.

Israele è l’avamposto più importante dell’impero statunitense, non a causa dei conflitti interreligiosi o dell’influenza della “lobby pro-sionista” in Nord America e in Europa occidentale, ma per la posizione centrale del Medio Oriente nel sistema mondiale capitalista. Dopo la guerra del 1967 con l’Egitto di Nasser, in cui Israele si è dimostrato un partner affidabile dell’imperialismo statunitense, gli Stati Uniti hanno assunto la posizione di sponsor principale del regime sionista, fornendo armi e sostegno finanziario allo Stato dei coloni. Gli interessi degli Stati Uniti nella regione si concentrano sull’economia del petrolio fossile e sulla garanzia di un approvvigionamento stabile di petrolio, nell’ambito dell’ordine globale egemonico statunitense. Ciò comporta un circolo vizioso di feedback positivo, in cui i petrodollari generano altri petrodollari, attraverso campagne militari, sfruttamento delle risorse, guerre ed ecocidio. Solo Israele, con la sua popolazione di coloni in una posizione strategica, i suoi confini vulnerabili, la sua società militarizzata e le sue forze repressive, può essere completamente affidabile per gli Stati Uniti e contribuire a consolidare l’ordine statunitense nella regione.

La lobby sionista che brandisce l’antisemitismo come arma morale geopolitica gioca un ruolo nel sostenere Israele e il suo status esaltato per gli interessi degli Stati Uniti. Nel frattempo, l’entità sionista di estrema destra dipende interamente dagli Stati Uniti per la sua sopravvivenza: finanziariamente, militarmente e politicamente. Infatti, la sopravvivenza di Israele è fondamentale per la sopravvivenza dell’ordine capitalistico globale, che si basa sull’imperialismo statunitense e sull’egemonia dell’Europa occidentale. Una minaccia a Israele è quindi una minaccia al dominio imperiale statunitense. È solo attraverso questa dialettica che possiamo comprendere sia il sostegno incondizionato fornito al genocidio di Israele a Gaza sia l’assoluta normalizzazione del genocidio nella società occidentale. Spiega anche la portata della tirannia e dell’olocausto perpetrati da Israele in risposta agli atti di resistenza palestinesi: un olocausto che viene razionalizzato e ribattezzato come “di routine” o come una serie di “operazioni di terra limitate”.

La resistenza palestinese è la spina nel fianco dell’imperialismo statunitense. Ben prima dell’ottobre 2023, la strategia mediorientale del presidente uscente Joe Biden era stata molto chiara: normalizzare i legami tra Israele e Arabia Saudita, aprire nuovi mercati formali di investimento nella regione e stabilizzare ulteriormente le relazioni imperiali. Con un accordo di normalizzazione saudita-israeliano in procinto di essere annunciato all’approssimarsi dell’inverno 2023, la questione della sovranità nazionale palestinese è stata riportata in primo piano dalla resistenza popolare. Dobbiamo quindi ricordare che l’annientamento di Gaza da parte di Israele, sostenuto dagli Stati Uniti, non è semplicemente un modo per aprire nuovi mercati immobiliari o per impadronirsi di terre per il capitale. La Palestina, il Libano e lo Yemen vengono puniti per il loro ruolo nel contrastare l’accumulazione ineguale di capitale e la fuga di valore dal Medio Oriente. La resistenza palestinese sta attualmente esprimendo la più chiara espressione del dissenso anticoloniale, di un movimento di liberazione nazionale che rifiuta di veder cancellata la propria umanità e le proprie popolazioni soppresse e sacrificate per il dominio imperiale.

Le dimensioni dell’annientamento di Gaza da parte di Israele, dove i tessuti sociali, ecologici e politici sono lacerati da megatoni di arsenale militare che lasciano le membra disperse, diventeranno sempre più comuni con l’intensificarsi delle crisi di accumulazione del capitale globale, sotto lo stress di un clima alterato, di gravi tensioni geopolitiche e di disuguaglianze sociali ed economiche. I bulldozer che devastano l’ecologia di Gaza non sono diversi da quelli che distruggono le foreste pluviali primarie per l’espansione dell’agrobusiness, scatenando la sesta estinzione di massa. Le tecnologie di intelligenza artificiale (AI) che perfezionano le armi utilizzate per uccidere i civili negli ospedali e nelle scuole di Gaza sono le stesse tecnologie AI che richiedono nuove fonti di energia come il carbone, il petrolio e il gas, le energie rinnovabili e persino l’energia nucleare. Questo appetito per l’energia dei signori delle Big Tech come OpenAI, Microsoft, Alphabet e Meta, tra gli altri, non solo annulla i guadagni ambientali derivanti dall’uso di energia rinnovabile, ma rafforza anche pratiche estrattive ecologicamente devastanti e discariche di rifiuti tossici su comunità di persone considerate indegne e subumane nel mondo. Stiamo assistendo a un circolo vizioso di violenza genocida ed ecocida.

Nel suo discorso al vertice COP28 di Dubai, il presidente colombiano Gustavo Petro ha dichiarato:

“Lo scatenamento del genocidio e della barbarie sul popolo palestinese è ciò che precede l’esodo dei popoli del Sud del mondo scatenato dalla crisi climatica”.
Coloro che dissentono nel Nord saranno manipolati e repressi. Coloro che si organizzano per resistere nel Sud saranno accolti con violenza e barbarie. La storia della civiltà occidentale moderna è stata una storia di colonizzazione selvaggia, esproprio, schiavitù e genocidio, ma questo fatto è stato oscurato dal ricorso all’alta moralità. Questa brutalità ha caratterizzato la colonizzazione euro-americana del “Nuovo Mondo”, dal periodo in cui i coloni europei uccisero oltre 55 milioni di indigeni in Nord, Centro e Sud America nell’arco di 100 anni fino al “periodo di civilizzazione” del XIX e XX secolo, durante il quale l’Occidente ha condotto le più brutali e selvagge campagne di mutilazione e sterminio in tutto il mondo sotto la bandiera della modernità e dello sviluppo – anche all’interno dei propri confini. La brutalità ha caratterizzato anche il XX secolo e l’inizio del XXI, un’epoca segnata dalle guerre condotte dall’imperialismo statunitense, che hanno comportato la brutalizzazione delle popolazioni in Vietnam, Angola, Iraq e Afghanistan e il sostegno degli Stati Uniti a tirannici leader per procura in luoghi come Cile, Argentina e Indonesia, solo per citarne alcuni. Questi massacri degli ultimi secoli non sono note a piè di pagina o casi di studio: interi mondi di vita sono stati sterminati per la sopravvivenza dell’ordine coloniale. In breve, sono fondamentali per comprendere le crisi ecologiche che stiamo vivendo oggi. Ci mostrano che, sebbene tutte le civiltà nel corso della storia abbiano avuto le loro guerre e conflitti, solo l’impero euroamericano suprematista bianco, con le sue tecnologie di razzializzazione, ha perfezionato in modo così netto un’infrastruttura sociale ed ecologica basata sul genocidio e sull’ecocidio. Anche se i massacri di Gaza e del Libano hanno scosso le coscienze addormentate delle masse, essi sono un riflesso non sorprendente e altamente coerente del carattere morale dell’Occidente dimostrato negli ultimi 500 anni.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org