Da Auschwitz a Gaza, con scalo all’Aja

Il fatto che tra tutti i posti al mondo, Auschwitz sia il primo in cui Netanyahu teme di andare, grida simbolismo e giustizia storica.

Fonte: English version

Di Gideon Levy – 23 dicembre 2024Immagine di copertina: Netanyahu a una cerimonia commemorativa per le vittime dell’Olocausto in Germania, nel 2023. Credito: Chaim Zach / GPO

Benjamin Netanyahu non si recherà in Polonia il mese prossimo per la cerimonia principale che segna l’80° anniversario della liberazione del Campo di Sterminio di Auschwitz, per timore di essere arrestato sulla base del mandato emesso contro di lui dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja.

Questa ironia amara e non così sottile della storia fornisce una confluenza surreale che era quasi inimmaginabile prima d’ora: solo immaginare il Primo Ministro atterrare a Cracovia, arrivare all’ingresso principale di Auschwitz e venire arrestato dalla polizia polacca al cancello, sotto lo slogan “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”); solo per considerare che tra tutte le personalità e i Paesi, è il Primo Ministro di Israele a cui è impedito di partecipare alla commemorazione dei membri del suo popolo a causa della minaccia di arresto per violazione del Diritto Internazionale che incombe sulla sua testa. Il Cancelliere tedesco, sì; Netanyahu, no.

Ottant’anni fa, quando Auschwitz fu liberata, sarebbe sembrato lo sviluppo più folle che si potesse immaginare. Non più. Ottant’anni fa, agli ebrei fu data la possibilità di scegliere tra due eredità: Mai Più, gli ebrei non affronteranno mai un pericolo simile, oppure: Mai Più, nessuno al mondo dovrà mai affrontare un pericolo simile. Israele scelse chiaramente la prima opzione, con un’aggiunta fatale: dopo Auschwitz, agli ebrei è permesso fare qualsiasi cosa.

Israele ha implementato questa dottrina nell’ultimo anno come mai prima. Un Primo Ministro che ha evitato una cerimonia ad Auschwitz è forse l’illustrazione più grossolana di ciò. Il fatto che tra tutti i posti al mondo, Auschwitz sia il primo in cui Netanyahu teme di andare, grida simbolismo e giustizia storica.

Altri capi di Stato parteciperanno alla cerimonia, ma non Netanyahu. È ricercato dal tribunale, istituito in seguito a quanto accaduto ad Auschwitz, per sospetto di Crimini di Guerra che, sempre più spaventosamente, assomigliano ai Crimini di Auschwitz.

La distanza tra Auschwitz e Gaza, con scalo all’Aja, è ancora enorme, ma non si può più sostenere che il paragone sia assurdo.

Dopo aver letto il rapporto da incubo di Yaniv Kubovich su ciò che sta accadendo nel Corridoio della morte Netzarim, ci si rende conto che questa distanza si sta riducendo di giorno in giorno.

È sempre stato impensabile paragonare qualsiasi cosa all’Olocausto, e giustamente. Non c’è mai stato niente del genere. I peggiori Crimini dell’Occupazione impallidiscono in confronto ai Crimini di Auschwitz.

Inoltre, questo paragone ha sempre proiettato un Israele candido come la neve e dipinto i suoi accusatori come antisemiti: dopotutto, non ci sono Campi di Sterminio a Gaza, quindi ogni accusa può essere facilmente respinta. Non ci sono Campi di Sterminio, quindi l’IDF è l’esercito più morale del mondo. Non ci saranno mai Campi di Sterminio a Gaza, e tuttavia i paragoni stanno iniziando a gridare da sotto le macerie e le fosse comuni.

Quando i palestinesi di Gaza sanno che dove si aggirano branchi di cani randagi, ci sono cadaveri umani mangiati dagli animali, i ricordi dell’Olocausto iniziano a riaffiorare.

Quando nella Gaza Occupata c’è una Linea della Morte immaginaria, e chiunque la attraversi è condannato a morte, persino un bambino affamato o disabile, il ricordo dell’Olocausto inizia a sussurrare.

E quando viene portata avanti la Pulizia Etnica nel Nord di Gaza, seguita da chiari segni di Genocidio in tutta la Striscia, il ricordo dell’Olocausto sta già ruggendo.

Il 7 ottobre 2023 sta emergendo sempre più come un punto di svolta fatale per Israele, molto più di quanto sembri al momento, simile solo alla sua precedente calamità, la guerra del 1967, che non è stata diagnosticata in tempo. Nella Guerra dei Sei Giorni, Israele ha perso la sua umiltà e il 7 ottobre ha perso la sua umanità. In entrambi i casi, il danno è irreversibile.

Nel frattempo, dobbiamo considerare l’occasione storica e coglierne il significato: una cerimonia commemorativa dell’80° anniversario della liberazione di Auschwitz, i leader mondiali marciano in silenzio, gli ultimi sopravvissuti in vita marciano al loro fianco e il posto del Primo Ministro dello Stato che è sorto dalle ceneri dell’Olocausto è vacante.

È vacante perché il suo Stato è diventato un emarginato e perché è ricercato dal tribunale più rispettato che processa i Criminali di Guerra. Vale la pena di alzare la testa e distogliere per un momento l’attenzione dallo scandalo di Hanni Bleiweiss e dall’affare Feldstein: Netanyahu non sarà ad Auschwitz, perché è ricercato per Crimini di Guerra.

Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo ultimo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org