Gli incendi che oggi divampano in Palestina e a Los Angeles sono sintomi della stessa malattia: un sistema che privilegia la conquista rispetto alla conservazione, il profitto rispetto alle persone e l’espansione rispetto all’esistenza.
Fonte: English version
Di Ahmad Ibsais – 11 gennaio 2025
Immagine di copertina: Una scena dell’incendio di Palisades, divampato nella città di Los Angeles nel gennaio 2025. (Foto: California Department of Forestry and Fire Protection (CAL FIRE)/Flickr)
Negli ultimi giorni ho fissato il mio telefono guardando case, storia e ricordi bruciare. Ma questa volta non era Gaza. Stavo guardando bruciare le Palisades . Le colline sono arse dal fuoco, un’eco inquietante di un altro inferno che infuria a migliaia di miglia di distanza. Per quindici mesi ho visto la terra e la gente di Gaza bruciare attraverso schermi e titoli, e ora mentre guardo i cieli sopra una città americana riempirsi di fumo, le distanze tra queste catastrofi crollano in un’unica, bruciante verità: queste fiamme parlano la stessa lingua della distruzione: il colonialismo.
L’incendio che sta consumando le Palisades non è solo un incendio boschivo in California, è uno specchio che riflette una crisi globale di catastrofi collegate. Quando chiudo gli occhi, le immagini si confondono: colline in fiamme in California, uliveti in fiamme a Gaza e nella Palestina storica, orizzonti soffocati da un fumo che non conosce confini.
Una ricerca della Lancaster University ha rivelato che nei primi sessanta giorni successivi al 7 ottobre, la risposta militare a Gaza ha generato più gas che riscaldano il pianeta di quanti venti nazioni vulnerabili al clima ne emettano in un anno intero. In un solo mese, ottobre 2023, Israele ha sganciato 25.000 tonnellate di bombe su Gaza, rilasciando gas che riscaldano il clima equivalenti alla combustione di 150.000 tonnellate di carbone. I voli cargo americani che trasportavano armi hanno consumato, fino a dicembre, 50 milioni di litri di carburante per aviazione, riversando 133.000 tonnellate di CO2 nella nostra atmosfera condivisa, più di quanto l’intera nazione di Grenada emetta annualmente.
Ma questa catastrofe ambientale non è iniziata con l’attuale genocidio. Per decenni, i palestinesi hanno vissuto e lavorato in modo sostenibile con il loro ambiente, mantenendo paesaggi indigeni e coltivando una ricca varietà di colture, dall’anguria alle olive, queste ultime che costituiscono una parte centrale della cultura e dell’identità palestinese. Dal 1967, Israele ha sistematicamente sradicato almeno 2,5 milioni di alberi nel territorio palestinese occupato, tra cui quasi un milione di ulivi, che erano una fonte primaria di cibo e reddito per molti palestinesi. Israele ha sostituito questi alberi con vegetazione europea importata, forse riflettendo le proprie radici europee. Questa distruzione ha portato alla frammentazione dell’habitat, alla desertificazione, al degrado del territorio e all’erosione del suolo che influiscono sulla resilienza climatica dell’intera regione.
Se includiamo il costo climatico delle infrastrutture belliche (i tunnel, i muri, le installazioni militari), il totale sale a 450.000 tonnellate di CO2 equivalente, superando le emissioni annuali di 33 paesi. Ogni bomba che cade su Gaza provoca increspature nel nostro futuro collettivo, il suo impatto si fa sentire nell’innalzamento dei mari, nelle temperature più elevate e sì, negli incendi che ora minacciano le colline della California.
Penso ai contadini di Gaza, che per generazioni hanno curato 170 chilometri quadrati di frutteti e campi fiorenti, quasi metà della loro terra dedicata a sfamare la loro gente. Ora, le immagini satellitari mostrano una terra desolata dove un tempo crescevano i giardini. L’esercito israeliano ha distrutto il 70% dei pozzi d’acqua del nord di Gaza, demolito migliaia di serre e trasformato il terreno fertile in terra tossica. Ciò è avvenuto parallelamente alla decimazione dell’80% di tutte le infrastrutture di Gaza. Solo tra ottobre 2023 e marzo 2024, il 48% della copertura arborea di Gaza è andata persa o danneggiata, distrutta dalle operazioni militari o tagliata da persone disperate in cerca di carburante sotto il blocco.
L’amara ironia non mi sfugge: il sindaco di Los Angeles ha tagliato 17,6 milioni di dollari ai suoi dipartimenti dei vigili del fuoco, mentre la California ha inviato 610 milioni di dollari a Israele tramite i contribuenti. The Wonderful Company , che controlla quasi il 60% dell’acqua della California tramite la famiglia Resnick, immette milioni di dollari per sostenere la stessa espansione territoriale che ha trasformato il paesaggio di Gaza in una catastrofe ambientale. Ancora nel 2025, Biden sta cercando di spingere per altri 8 miliardi di “aiuti” militari per finanziare un genocidio, mentre migliaia di cittadini statunitensi da Ashville , NC a Los Angeles stanno soffocando sotto la crisi climatica. Stiamo finanziando le fiamme che alla fine raggiungeranno le nostre stesse porte.

Le ferite ambientali a Gaza non guariranno facilmente. Trentasette milioni di tonnellate di detriti ora ricoprono il paesaggio, un’eredità tossica che avvelenerà il suolo e l’acqua per generazioni. Ogni giorno, 130.000 metri cubi di liquami non trattati si riversano nel Mar Mediterraneo, non perché i palestinesi scelgano questa devastazione, ma perché la violenza israeliana ha distrutto le loro infrastrutture, la loro capacità di prendersi cura della loro terra come hanno fatto per innumerevoli generazioni.
Quando vedo attivisti ambientali che voltano le spalle a Gaza, vorrei scuoterli per svegliarli. La sola ricostruzione dei 100.000 edifici danneggiati di Gaza genererà 30 milioni di tonnellate di gas serra, equivalenti alle emissioni annuali della Nuova Zelanda e superiori a quelle di altri 135 paesi, tra cui Sri Lanka e Libano. Questo è un debito climatico che tutti dobbiamo pagare, un incendio che tutti dobbiamo combattere.
Le fiamme che vedo consumare le Palisades portano echi della sofferenza di Gaza: case trasformate in cenere, paesaggi trasformati, vite sconvolte. Ma portano anche qualcos’altro: un avvertimento urgente sul nostro destino comune. Quando permettiamo il bombardamento delle falde acquifere di Gaza e l’avvelenamento del suo suolo, acceleriamo la crisi climatica che ora manda la California in fiamme.
L’ ecocidio a Gaza, riconosciuto come crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma, non è solo una tragedia lontana. È un presagio del nostro futuro collettivo se continuiamo a permettere che la guerra ambientale e il genocidio passino indisturbati. Come avverte Benjamin Neimark della Queen Mary University di Londra, “L’eccezionalismo ambientale dell’esercito consente loro di inquinare impunemente, come se le emissioni di carbonio che sputano dai loro carri armati e dai loro aerei da combattimento non contassero. Questo deve finire”.
Ciò che brucia oggi in Palestina e a Los Angeles sono i sintomi della stessa malattia: un sistema che privilegia la conquista rispetto alla conservazione, il profitto rispetto alle persone, l’espansione rispetto all’esistenza. Questa è l’eredità di una visione del mondo che ha cercato di mettere a tacere le voci indigene che avevano capito ciò che ora dobbiamo imparare: che le ferite della terra sono le nostre.
Ciò che permetti a Gaza, lo permetti ovunque. Oggi sono i loro campi a bruciare sotto bombe da mille libbre; domani saranno le nostre foreste. Gli incendi che ci uniscono esigono che finalmente vediamo questa verità: o ci uniamo contro questa distruzione, o bruciamo tutti separatamente.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org