Normalizzare l’espansione: Israele punta al Sinai egiziano

Le assurde e sfacciate accuse di Israele di violazioni del trattato egiziano nel Sinai indicano un intento più profondo, sollevando timori di un’ulteriore espansione territoriale da parte di Tel Aviv e una crescente minaccia alla stabilità regionale.

Fonte: English version

Di Robert Inlakesh – 10 gennaio 2025

Mentre Israele accusa l’Egitto di rafforzare la sua presenza militare nella Penisola del Sinai, le tensioni tra i due Stati, vincolati dal loro Trattato di Normalizzazione del 1979, stanno raggiungendo un punto critico. Funzionari israeliani e circoli di pensiero neoconservatori alleati stanno ora intensificando attivamente la retorica che accusa il Cairo di aver violato il trattato di pace, accennando alle ambizioni di Tel Aviv di espandersi nel territorio egiziano.

A settembre 2024, la Fondazione per la Difesa delle Democrazie con sede a Washington ha pubblicato un rapporto in cui accusava l’Egitto di aver presumibilmente aiutato Hamas attraverso gallerie che conducevano a Gaza per consentire al Movimento di Resistenza Palestinese di sviluppare le sue capacità militari. Le accuse sono esagerate, data la lunga astiosità del Cairo nei confronti delle organizzazioni legate alla Fratellanza Musulmana.

Si intensifica lo stallo nel Sinai

Queste affermazioni sono state ulteriormente contraddette da documenti trapelati di recente che mostrano le misure aggressive dell’Egitto per distruggere oltre 2.000 gallerie tra il 2011 e il 2015. Alti funzionari militari egiziani hanno persino esplorato la costruzione di un canale per smantellare queste reti sotterranee.

Sempre a settembre, l’analista militare israeliano Alon Ben-David ha ammesso su Canale 13 Notizie che “non è stato trovato alcuna galleria aperta nel territorio egiziano. Non è stato scoperto alcun passaggio utilizzabile sotto il Corridoio Filadelfia”.

Tuttavia, le accuse di Tel Aviv non finiscono qui. L’ex ambasciatore israeliano in Egitto, David Govrin, ha ora accusato il Cairo di violare il Trattato di Normalizzazione rafforzando la sua presenza militare nel Sinai. Il quotidiano Yedioth Aharonoth lo ha citato dire: “Dopo tutti questi anni, e anche dopo il 7 ottobre 2023, restano dubbi sul reale riconoscimento di Israele da parte dell’Egitto entro i suoi confini del 1948”.

Il 7 gennaio, lo Stato di Occupazione ha formalmente chiesto spiegazioni all’Egitto in merito alle sue attività militari nel Sinai, citando violazioni del Trattato relative alla smilitarizzazione. Gli Stati Uniti, che hanno mediato il Trattato del 1979, si sono uniti al coro, trattenendo 95 milioni di dollari (92,6 milioni di euro) in aiuti militari all’Egitto, una tattica ricorrente utilizzata per esercitare pressioni sul Cairo.

Washington ha quindi reindirizzato quei fondi alle Forze Armate Libanesi (LAF), similmente ad altri tagli simili nel 2023 quando gli aiuti destinati all’Egitto sono stati dirottati a Taiwan. La mossa è legata all’intensificazione della pressione su Beirut, volta a costringere e incentivare il rispetto dell’influenza degli Stati Uniti sui suoi affari interni, in particolare con il neoeletto Presidente Joseph Aoun.

Sebbene le violazioni dei diritti umani in Egitto siano state ampiamente documentate, questa è una carta che il governo degli Stati Uniti giocherà regolarmente quando vorrà vedere il suo alleato nordafricano collaborare. Vale la pena notare che l’Egitto è stato storicamente il secondo più grande beneficiario di aiuti esteri degli Stati Uniti dopo Israele.

Stallo nel Sinai

Nel 2005, in seguito al ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza alla sua periferia, fu raggiunto un accordo che consentiva a 750 membri del personale di sicurezza egiziano di entrare nella Penisola del Sinai.

All’epoca, Yuval Steinitz, allora presidente della Commissione Affari Esteri e Difesa di Israele, si oppose con fermezza all’accordo, definendolo un “giorno nero” e mettendo in guardia:

“Ci stiamo crogiolando nella gloria. Questa è un’eclissi solare che ha colpito il governo, che sta rinunciando a smilitarizzare il Sinai in cambio di una mescolanza di complimenti e gesti”.

Da allora, il Cairo ha presentato centinaia di richieste per schierare forze e attrezzature aggiuntive nel Sinai, la maggior parte delle quali sono state approvate da Tel Aviv, soprattutto dopo l’episodio di un’insurrezione Takfiri nel 2013. Nel 2018, il New York Times ha rivelato che Israele aveva condotto attacchi aerei all’interno del Sinai su richiesta del Presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi per contrastare l’attività degli insorti.

In seguito all’Operazione Onda di Al-Aqsa, le relazioni tra il Cairo e Tel Aviv hanno iniziato a deteriorarsi in modo significativo. Inizialmente, lo Stato di Occupazione aveva proposto che l’Egitto facilitasse la Pulizia Etnica tramite un’espulsione di massa della popolazione di Gaza nel Sinai, creando una zona cuscinetto tra Gaza e la Palestina Occupata. Il Presidente Sisi ha respinto categoricamente il piano, innescando ulteriori tensioni.

All’inizio del 2024, l’Esercito di Occupazione Israeliano aveva intensificato la sua invasione di Gaza, con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu che annunciava un assalto a Rafah, la città più a Sud di Gaza. L’Egitto ha rapidamente lanciato avvertimenti contro qualsiasi tentativo di reclamare il Corridoio Filadelfia, un’area di confine che separa l’Egitto e Gaza, sostenendo che tali azioni avrebbero violato il Trattato di Normalizzazione del 1979.

In una drammatica recrudescenza il 6 maggio, Israele ha lanciato la sua offensiva di Rafah lo stesso giorno in cui Hamas ha accettato una proposta di cessate il fuoco. Questa offensiva, che includeva la presa del Valico di Rafah e del Corridoio Filadelfia, ha attirato la condanna persino dell’ex Primo Ministro israeliano Ehud Barak, che l’ha descritta come “una palese violazione dell’accordo di pace con l’Egitto”. Nonostante le minacce del Cairo di annullare il Trattato, la risposta principale di Sisi è stata quella di unirsi al caso del Sudafrica presso la Corte Internazionale di Giustizia, accusando Israele di Genocidio a Gaza.

Quando i carri armati israeliani sono entrati per la prima volta nel Valico di Rafah, hanno profanato l’area e umiliato le guardie egiziane di stanza lì. Più tardi, nello stesso mese, scoppiò uno scontro e i soldati israeliani uccisero un soldato egiziano. Israele lanciò quindi una serie di attacchi aerei a giugno contro obiettivi nella Penisola del Sinai.

La visione sionista per l’espansione in Egitto

L’anno scorso, documenti scoperti negli Archivi Nazionali britannici hanno fatto luce sulla campagna storica di Israele per legittimare la sua rivendicazione sulla Penisola del Sinai. Durante l’Occupazione Israeliana del Sinai dopo la Guerra del 1967, i lobbisti filo-israeliani e i circoli di pensiero in Occidente hanno diffuso narrazioni per delegittimare la sovranità egiziana sulla Regione strategica.

Solo due anni dopo l’Occupazione del Sinai, che era avvenuta come risultato della guerra di aggressione di Israele nel giugno del 1967, il Jewish Observer (l’Osservatore Ebraico) e il Middle East Review (Recensore del Medio Oriente) hanno pubblicato un articolo con una copertina provocatoria, “Il Sinai senza gli egiziani: Un nuovo sguardo al passato, al presente e al futuro”.

La Federazione Sionista Britannica ha persino sostenuto che poiché il Sinai era stato sotto il controllo della Turchia fino al 1923, avrebbe dovuto essere incorporato nel Mandato Britannico per la Palestina, gettando le basi per le rivendicazioni di Israele sul territorio.

Tornando ai giorni nostri, argomenti simili sono riemersi per giustificare le ambizioni espansionistiche di Israele. Il 6 gennaio, le pagine dei social media arabo-israeliani hanno pubblicato una mappa che mostrava i presunti territori degli antichi regni di Giuda e Israele, scatenando la condanna della Giordania e degli Stati del Golfo Persico. Mentre queste affermazioni prendono di mira apertamente le terre giordane, libanesi e siriane, includono anche sottilmente parti dell’attuale Egitto, in particolare il Sinai.

A luglio dell’anno scorso, il Ministro del Patrimonio israeliano, Amichai Eliyahu, ha ritwittato un post pubblicato su X che chiedeva all’Esercito di Occupazione di invadere la Penisola del Sinai, insieme al Sud del Libano, alla Siria meridionale e, infine, parte della Giordania.

A settembre, mentre Israele stava lanciando il suo assalto al Libano, il Jerusalem Post ha pubblicato un articolo intitolato: “Il Libano fa parte della Terra Promessa a Israele?” che è stato poi rimosso dopo una notevole reazione negativa.

Una minaccia esistenziale per la Regione WANA (Asia Occidentale e Nord Africa)

In questo momento, Israele sta apertamente parlando di rimanere nel Libano meridionale anche dopo il periodo di cessate il fuoco di 60 giorni, poiché attualmente espande ulteriormente la sua Occupazione nel territorio siriano di giorno in giorno. Cerca anche un’imminente annessione della Cisgiordania Occupata. Tutte queste mosse sono indicative della serietà di Israele nell’espandere i suoi confini non dichiarati.

Nel marzo 2023, il Ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha mostrato apertamente una mappa del “Grande Israele”, alimentando le speculazioni sugli obiettivi a lungo termine della dirigenza Sionista. La visione del “Grande Israele” comprende parti del Libano, Egitto, Siria, Giordania, Arabia Saudita e Iraq.

I leader israeliani impiegano giustificazioni mutabili, storiche, religiose e politiche, per avanzare queste affermazioni, una strategia che il defunto segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah ha avvertito sarebbe continuata senza soluzione di continuità se non fosse stata affrontata da una Resistenza araba unita.

Robert Inlakesh è un analista politico, giornalista e documentarista attualmente residente a Londra, Regno Unito. Ha scritto e vissuto nei Territori Palestinesi Occupati e conduce lo speciale televisivo “Palestine Files”. È regista di “Steal of the Century: Trump’s Palestine-Israel Catastrophe” (Il Furto del Secolo: La Catastrofe di Trump tra Palestina e Israele).

Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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