Il cessate il fuoco a Gaza non curerà le ferite del genocidio

Ora che è stato concordato un cessate il fuoco a Gaza, le bombe smetteranno di cadere e il mondo tirerà un sospiro di sollievo. Eppure, per quelli di noi che sono sopravvissuti, la guerra non è finita, si è semplicemente trasformata.

Fonte: English version

Di Roaa Shamallakh  15 gennaio 2025  

Immagine di copertina: I parenti dei palestinesi uccisi negli attacchi israeliani eseguono la preghiera funebre dopo che i loro cari sono stati trasportati all’ospedale battista al-Ahli di Gaza City, il 17 dicembre 2024. (Foto: Hadi Daoud/APA Images)

Ora che è stato concordato un cessate il fuoco a Gaza, le bombe smetteranno di cadere e il mondo tirerà un sospiro di sollievo. Ci saranno celebrazioni di pace, anche se temporanee, le nazioni si daranno pacche sulle spalle e i media passeranno alla prossima crisi di tendenza. Eppure, per quelli di noi che sono sopravvissuti, la guerra non è finita, si è semplicemente trasformata.

Per noi, la guerra è iniziata molto prima del 7 ottobre 2023 e continua nelle ceneri di quella che un tempo era la nostra casa. Il cessate il fuoco del mondo è una pausa inventata nel nostro tormento infinito. Il mondo cerca la sua risoluzione, una soluzione rapida per lenire la coscienza, ma per noi, il cessate il fuoco è solo un altro momento fugace in una lunga storia di cancellazione.

Prima della guerra, Sheikh Ijleen non era solo il mio quartiere, era un universo a sé stante.

Era il posto dove la mia famiglia aveva piantato viti e fichi per secoli. Era dove ho imparato a camminare tra le viti, dove sono diventato maggiorenne. La tomba di mio nonno era lì, così come i volti dei vicini di cui ricordo la gentilezza. Questi non erano solo punti di riferimento; erano il filo che tesseva il mio senso di me stesso. Oggi, Sheikh Ijleen esiste solo nella mia memoria. Quella che un tempo era la mia casa ora non è altro che rovine.

 Una foto pubblicata da un soldato israeliano sui social media mostra ciò che resta dello sceicco Ijleen. (Foto per gentile concessione di Roaa Shamallakh)

Le bombe non hanno solo fatto esplodere gli edifici lì, hanno anche cancellato l’essenza di chi eravamo. Le IOF non hanno solo distrutto le nostre case, hanno dichiarato illegali i nostri ricordi. Hanno preso la mia strada, le terre della mia famiglia e persino il cimitero dove riposano i miei antenati, e hanno trasformato tutto in una “zona militare”.

Ora, il luogo stesso che custodiva la mia storia e la mia identità è perduto, sepolto sotto strati di macerie e freddo, indifferente controllo militare. Gli alberi che un tempo ci proteggevano dal sole estivo sono ora schiacciati e le loro radici sono state recise. La mia stanza, dove il sole al tramonto dipingeva le pareti con sfumature dorate, non esiste più. Non è solo la distruzione di un luogo; è la distruzione della memoria, della casa, della famiglia e della storia.

Mio fratello si arrampica sui fichi della nostra famiglia a Sheikh Ijleen. (Foto per gentile concessione di Roaa Shamallakh)

Questa cancellazione non è un semplice effetto collaterale della guerra; è uno sforzo calcolato per recidere i legami tra le persone e la loro terra, per spogliarci della nostra identità in modo che diventiamo vittime senza volto e senza nome nella narrazione globale. Il mondo non ha mai chiesto la nostra storia prima, e ora vuole ricordarci solo come vittime e numeri.

La vera storia di Gaza si perde tra le macerie, oscurata dai più ampi calcoli politici che ne regolano l’esistenza.

La nostra sofferenza è resa digeribile per il pubblico internazionale, mentre le perdite più profonde e profonde sono nascoste sotto la superficie. Sheikh Ijleen se n’è andato, ma vive nella mia memoria, ed è un ricordo che mi rifiuto di lasciar morire.

La falsa risoluzione del cessate il fuoco

Mentre il mondo celebra il cessate il fuoco, ci ritroviamo a interrogarci sul suo significato. Cosa significa veramente per noi a Gaza?

Non è la fine della guerra; è semplicemente una tregua temporanea nella violenza.

Non cancella la devastazione, né guarisce le ferite che ci sono state inflitte.

Un cessate il fuoco non è altro che una performance globale, un segnale che il mondo ha fatto abbastanza per placare la propria coscienza.

Ma per noi non è altro che un intervallo in una tragedia senza fine.

Quando le bombe cessano, il trauma non svanisce.

Le strade sono ancora in rovina. L’acqua avvelenata scorre ancora nei nostri corpi e i ricordi tossici dei bombardamenti persistono come una malattia invisibile.

Non torniamo alla normalità: ci adattiamo a un nuovo tipo di esistenza, che nasce dalle macerie del nostro passato e dall’incertezza del nostro futuro.

Un cessate il fuoco non annulla la perdita di case, di vite, di familiari. Non riporta indietro ciò che è stato distrutto. Non ripristina la dignità, né guarisce le ferite dello sfollamento.

Per il mondo, un cessate il fuoco è la fine della storia, la risoluzione che consente al pubblico di voltare pagina. Ma per noi, è solo un altro silenzio, un altro capitolo di una storia che non finisce mai veramente. Le bombe potrebbero fermarsi, ma le ferite che lasciano dietro di sé continueranno a sanguinare.

E il silenzio che segue non è pace: è il silenzio assordante di vite lasciate nel limbo, in attesa che inizi la prossima ondata di violenza.

La comunità internazionale riduce Gaza a un evento: uno spettacolo di sofferenza consumato in titoli e frammenti sonori come se le nostre vite non fossero altro che una narrazione tragica con una trama prevedibile. Gaza è diventata un palcoscenico, dove ogni tragedia segue la stessa trama: sofferenza, climax e risoluzione. Siamo ritratti come eroi, martiri, simboli di resistenza o vittime di oppressione. Eppure, la verità è molto più complicata.

Il nostro dolore è ridotto a simboli, la nostra sofferenza è trattata come un’immagine piuttosto che come la brutale realtà delle nostre vite. Dietro ogni titolo c’è un essere umano, che vive l’inimmaginabile. Il titolo mostra il fuoco senza mostrare le persone che bruciano dietro di loro.

Ci rifiutiamo di essere cancellati

Anche se il mondo si allontana, Gaza si rifiuta di essere dimenticata.

Il mio quartiere, Sheikh Ijleen, potrebbe non esistere più nel mondo fisico, ma vive nella mia memoria.

Le strade che ho percorso correndo, i fichi che un tempo crescevano nel mio cortile, i volti dei miei vicini: sono impressi nella mia mente, e il tramonto sul mare dalla mia finestra è vivido come sempre. Mi rifiuto di lasciarli cancellare.

Dal Cairo, sento il ronzio degli aerei civili, e mi riporta al rombo degli F-16, l’unico tipo di aereo che conoscevo prima di lasciare Gaza.

I bombardamenti potrebbero cessare, ma il suono della distruzione sarà sempre con noi, e risuonerà nei nostri pensieri.

E poi parlano di una “pausa umanitaria”. Quanto è ironico, quanto è vuoto, chiamarla “pausa umanitaria” quando abbiamo vissuto il nocciolo stesso dell’inumanità.

Come può il mondo chiamarla una pausa quando la nostra umanità è stata distrutta, quando le nostre case, i nostri ricordi e la nostra stessa esistenza sono stati sistematicamente cancellati?

Come può il mondo dichiarare una pausa quando siamo lasciati a raccogliere i pezzi di una vita che non esiste più, a vivere con l’inquietante residuo di ciò che un tempo era nostro?

Lo spargimento di sangue potrebbe fermarsi, ma le macchie non lasceranno mai le nostre mani. I corpi potrebbero essere rimossi dalle strade, ma le immagini non lasceranno mai le nostre menti. Il mondo andrà avanti, pensando di aver risolto il problema con un cessate il fuoco, ma per noi è solo un’altra bugia in una lunga storia di indifferenza.

Gaza non è un problema che può essere risolto con una pausa: è una ferita che non guarirà mai.

Quindi, ora che è stato dichiarato un cessate il fuoco e il mondo festeggia, ricordate questo: il sangue potrebbe non macchiare più le strade, ma macchierà i nostri ricordi. I bombardamenti potrebbero essere cessati, ma li sentiamo ancora nelle nostre orecchie. Il mondo potrebbe pensare che sia finita, ma per noi è un incubo continuo e un peso per l’esistenza.

Roaa Shamallakh è una scrittrice, giornalista, narratrice e addetta al marketing digitale freelance, originaria di Gaza, ora residente in Egitto.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org