“Le difficoltà spezzano alcuni uomini ma ne creano altri. Nessuna ascia è abbastanza affilata da tagliare l’anima di qualcuno armato della speranza che alla fine si risolleverà”
Fonte: English version
Di Ramzy Baroud – 3 febbraio 2025Immagine di copertina: Mahmoud e Ibrahim Al-Atout guardano le macerie della loro casa distrutta, Jabalia, Striscia di Gaza settentrionale, 29 gennaio 2025. (Reuters)
Il ritorno di un milione di palestinesi dalla Striscia di Gaza meridionale al Nord la scorsa settimana è sembrato come se la storia stesse coreografando uno degli eventi più sconvolgenti della memoria recente.
Centinaia di migliaia di persone hanno marciato lungo un’unica strada, la via costiera Rashid, nell’estremo ovest di Gaza. Sebbene queste masse di sfollati fossero state tagliate fuori l’una dall’altra in enormi campi profughi nella Striscia di Gaza centrale e nella Regione di Mawasi più a Sud, cantavano le stesse canzoni, intonavano gli stessi inni e parlavano lo stesso linguaggio.
Durante il loro spostamento forzato, non avevano elettricità e nessun mezzo per comunicare, per non parlare di coordinarsi tra loro. Erano persone normali, che trascinavano pochi indumenti e qualsiasi strumento di sopravvivenza avessero lasciato dopo il Genocidio israeliano senza precedenti. Si dirigevano a Nord verso case che sapevano essere state probabilmente distrutte dall’esercito israeliano.
Ma rimasero decisi nella loro marcia di ritorno verso le proprie città distrutte e i campi profughi. Molti sorridevano, altri intonavano inni e alcuni cantavano canzoni e recitavano poesie nazionali.
Una ragazza ha recitato a un giornalista una poesia che aveva lei stessa composto. “Sono una ragazza palestinese e ne sono orgogliosa”, ha detto ad alta voce. Ha recitato versi semplici ma emozionanti sull’identificazione come una “ragazza palestinese forte e resiliente”. Ha parlato del suo rapporto con la famiglia e la comunità come “figlia di eroi, figlia di Gaza”, dichiarando che i gazawi “preferiscono la morte alla vergogna”. Il suo ritorno alla propria casa distrutta è stato un “giorno di vittoria”.
“Vittoria” è stata una parola ripetuta da praticamente tutti gli intervistati dai media e menzionata innumerevoli volte sui social media. Sebbene molti, compresi alcuni simpatizzanti per la Causa Palestinese, abbiano apertamente sfidato la visione dei gazawi della loro vittoria percepita, non sono riusciti ad apprezzare la storia della Palestina, anzi, la storia di tutti i popoli Colonizzati che hanno strappato la loro libertà dagli artigli di brutali nemici stranieri.
“Le difficoltà spezzano alcuni uomini ma ne creano altri. Nessuna ascia è abbastanza affilata da tagliare l’anima di qualcuno armato della speranza che alla fine si risolleverà”, ha scritto l’iconico leader anti-Apartheid sudafricano Nelson Mandela in una lettera del 1975 alla moglie dalla sua prigionia. Le sue parole, scritte nel contesto della lotta del Sudafrica, sembrano scritte per i palestinesi, in particolare per l’ultimo trionfo di Gaza contro la cancellazione, sia fisica che psicologica.
Per capirlo meglio, bisogna esaminare cosa hanno detto i leader israeliani sulla Striscia di Gaza settentrionale subito dopo l’inizio della Guerra Genocida nell’ottobre 2023.
Israele manterrà la “responsabilità generale della sicurezza” per la Striscia di Gaza “per un periodo indefinito”, ha affermato il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel novembre 2023. Un anno dopo, l’esercito israeliano ha ribadito lo stesso sentimento. Il Generale di Brigata Itzik Cohen ha detto ai giornalisti israeliani che non ci sarebbe stato “nessun ritorno” per nessun residente della Striscia di Gaza settentrionale.
Il Ministro delle finanze Bezalel Smotrich è andato oltre. “È possibile creare una situazione in cui la popolazione di Gaza sarà ridotta alla metà delle sue dimensioni attuali in due anni”, ha affermato, aggiungendo che Israele dovrebbe rioccupare Gaza e “incoraggiare” l’insediamento israeliano.
Molti altri funzionari ed esperti israeliani, come un prevedibile coro, hanno ripetuto la stessa nozione. I gruppi di coloni hanno tenuto una conferenza lo scorso giugno per valutare le opportunità immobiliari a Gaza. Nella loro mente, erano gli unici ad avere voce in capitolo sul futuro di Gaza. I palestinesi sembravano irrilevanti per la ruota della storia, controllati, come i potenti credevano arrogantemente, solo da Tel Aviv.
Ma la massa infinita di persone cantava: “Pensate di poter essere all’altezza dei liberi, all’altezza dei palestinesi? Moriremo prima di cedere la nostra casa; ci chiamano combattenti per la libertà”.
Molti organi di informazione, compresi quelli israeliani, hanno riportato un senso di shock in Israele mentre la popolazione tornava in massa in una Regione completamente distrutta. Lo shock non finisce qui. Israele non è riuscito a occupare il Nord, a ripulire etnicamente i palestinesi dalla Striscia o a spezzare il loro spirito collettivo. Invece, i palestinesi ne sono usciti più forti, più determinati e, altrettanto spaventoso per Israele, con un nuovo obiettivo: tornare nella Palestina Storica.
Per decenni, Israele ha investito in un discorso singolare riguardo al diritto palestinese riconosciuto a livello internazionale al ritorno nelle proprie case nella Palestina Storica. Quasi ogni leader o alto funzionario israeliano dalla Nakba del 1948 (la “Catastrofe” derivante dalla distruzione della Patria Palestinese) lo ha ribadito. L’ex Primo Ministro israeliano Ehud Barak lo ha riassunto nel 2000 durante i negoziati di Camp David, quando ha tracciato la sua “linea di fondo” in qualsiasi accordo di pace con i palestinesi: non ci sarebbe stato alcun Diritto al Ritorno per i rifugiati palestinesi.
Come ha dimostrato Gaza, i palestinesi non prendono spunto da Israele o persino da coloro che affermano di rappresentarli. Mentre marciavano verso Nord, quattro generazioni di palestinesi hanno camminato insieme, a volte tenendosi per mano, cantando per la Libertà e il Ritorno, non solo a Nord di Gaza, ma più a Nord nella stessa Palestina Storica.
Dalla Nakba, Israele ha insistito sul fatto che avrebbe scritto la storia della terra tra il fiume Giordano e il Mare Mediterraneo. Ma i palestinesi continuano a dimostrare che Israele si sbaglia. Sono sopravvissuti a Gaza nonostante il Genocidio di Israele. Sono rimasti. Sono tornati. Sono ritornati con un senso di vittoria. Stanno scrivendo la loro storia, che, nonostante perdite incommensurabili e inimmaginabili, è anche una storia di speranza e vittoria.
Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).
Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
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