Sono palestinese. Ecco perché la trovata di Trump a Gaza potrebbe funzionare

L’intervento degli Stati Uniti potrebbe essere esattamente ciò di cui il Medio Oriente ha bisogno, ma potrebbe non avere l’aspetto che il presidente si aspetta.

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di Daoud Kuttab, 21 febbraio 2025

Immagine di copertina: Palestinesi di ritorno passano davanti a edifici distrutti a Gaza City durante il cessate il fuoco tra Israele e Hamas il 7 febbraio. Foto di Ahmad Salem/Bloomberg/Getty Images

Uno dei maggiori ostacoli alla ricerca di una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese è stato il forte squilibrio nel sostegno internazionale diretto. Armato di ampie risorse internazionali, soprattutto dagli Stati Uniti, Israele è stato a lungo in grado di rifiutare soluzioni logiche, presentando al contempo le giustificazioni minime per placare gli sponsor internazionali. Nel tempo, questo ha portato alla resistenza dei palestinesi, che ha prodotto una posizione israeliana ancora più radicale, portando, dopo il terribile attacco del 7 ottobre, alla violenza devastante della guerra di Israele a Gaza.

Ora, l’amministrazione del Presidente Donald Trump è stata chiamata ad aiutare Israele ad uscire dall’impasse in cui si trova. Trump, in modo classico, ha fatto promesse roboanti di pace e prosperità, per la gioia degli israeliani, che hanno in gran parte abbracciato le sue proposte di trasferimento di massa dei palestinesi a Gaza e di acquisizione da parte degli Stati Uniti della striscia in difficoltà.

Ma come dice il proverbio, attenzione a ciò che si desidera. Quando Washington si troverà maggiormente coinvolta nella gestione quotidiana del conflitto israelo-palestinese, Trump potrebbe scoprire che il risultato che garantirà pace e tranquillità non è necessariamente quello che gli israeliani – e certamente la destra israeliana – si aspettano.

Questo perché Trump, che in passato ha fatto grandi promesse e non le ha mantenute, potrebbe scoprire che è più facile creare un cuscinetto tra israeliani e palestinesi che organizzare lo sfollamento di un’intera popolazione e la riqualificazione di un’area distrutta in macerie. E questo tipo di cuscinetto, tra un occupante potente e militarista e un occupato debole ma resistente, è esattamente ciò di cui la regione ha bisogno.

E gli Stati Uniti sono il soggetto ideale per creare questo cuscinetto, per due motivi.

In primo luogo, può fornire ciò che nessun altro Stato al mondo è in grado di fare: le garanzie di sicurezza di cui Israele e il popolo israeliano hanno estremo bisogno. In secondo luogo, quando gli israeliani si confrontano con i palestinesi, usano il loro superiore potere militare e politico per insistere su richieste esagerate. Ma quando nella stanza ci sono gli Stati Uniti – rappresentati da funzionari che non hanno paura di usare il loro potere – si svolge una conversazione più logica.

Le garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti potrebbero contribuire a rimuovere un ostacolo importante che Israele ha continuamente presentato per giustificare la sua esitazione nel trovare una strategia a lungo termine per creare una soluzione di pace permanente e uno Stato palestinese. Le idee di pace del passato sono fallite perché il rapporto di forza era sempre dalla parte di Israele e, nonostante le sue dichiarazioni di volere la pace, Israele non è mai stato veramente disposto a pagare il prezzo di questo risultato – la terra – usando la sicurezza come scusa. Fornire agli israeliani una garanzia ferrea di sicurezza, possibile con il dispiegamento di forze statunitensi o della NATO, potrebbe finalmente spostare l’equilibrio.

I presidenti americani che si sono succeduti non sono riusciti ad aiutare palestinesi e israeliani a raggiungere la pace, perché si sono rifiutati di compiere i passi coraggiosi necessari per agire come onesti mediatori e hanno rifiutato l’idea di agire come cuscinetto temporaneo e assicuratore tra l’occupante e l’occupato.

Trump ha dimostrato che un eccesso di moderazione non sarà un problema della sua amministrazione. Mentre mesi di negoziati indiretti tra Israele e Hamas, con l’impegno dell’amministrazione dell’ex presidente Joe Biden, hanno ripetutamente fallito nel produrre un cessate il fuoco, l’intervento dell’amministrazione entrante di Trump ha portato alla realizzazione dell’accordo. Non dubito che il continuo impegno degli Stati Uniti produrrà anche un accordo sulla seconda e terza fase critica dell’accordo di cessate il fuoco, che comporterà il rilascio di tutti gli ostaggi rimasti a Gaza – vivi e morti – e porrà fine a 15 mesi di guerra.

Certo, Trump ha proclamato una visione per il futuro della regione che è notevolmente priva di una presenza palestinese, per non parlare della leadership. Ma una volta che il leader degli Stati Uniti e i suoi assistenti si saranno rimboccati le maniche e avranno iniziato il processo di ricerca della pace in Medio Oriente, si scontreranno con una verità che tutti gli altri che hanno provato a fare lo stesso hanno affrontato: per ottenere qualcosa nella regione, è necessario applicare severe politiche di protezione a tutte le parti, non solo a una.

Per i palestinesi, come me, invitare a questo intervento significa fare una scommessa: che Trump, una volta sul campo, troverà più opportuno ridimensionare i suoi piani. La storia di spacconate del presidente, e di grandi minacce, ma di accettazione strategica di guadagni molto più piccoli, rende questa scommessa degna di nota.

I palestinesi hanno visto nell’impresa israeliana degli insediamenti la prova migliore che Israele non è disposto a cedere terre in cambio della pace, anzi, è proprio il contrario. È necessaria una scossa. E i palestinesi in passato hanno sperato che una presenza internazionale potesse fornire questo aggiustamento: nell’ambito di precedenti negoziati di pace, alcuni leader palestinesi del passato, tra cui il presidente Mahmoud Abbas, hanno suggerito lo stazionamento di truppe NATO in un futuro Stato palestinese per rassicurare Israele. Ma quelle proposte, come molte altre in questo processo, si sono arenate.

Se Trump è disposto a impegnarsi sinceramente, come non hanno fatto i suoi predecessori, potrebbe rappresentare una svolta importante che cambierà la nostra regione. L’amministrazione Trump può porre fine a questa occupazione e può portare la pace attraverso la sicurezza, se lo desidera, e il mondo la applaudirà se lo farà.

Daoud Kuttab è un giornalista e attivista palestinese, ex Ferris Professor in Giornalismo all’Università di Princeton e responsabile del comitato per la libertà di stampa nel direttivo dell’International Press Institute.

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org