Quando abbiamo smesso di fare riferimento al “conflitto arabo-israeliano” e abbiamo iniziato a usare invece “conflitto Israelo-palestinese”?
Fonte: English version
Di RamzyBaroud – 26 febbraio 2025
Immagine di copertina: Decine di migliaia di palestinesi, sfollati dalle forze israeliane, tornano alle loro case attraverso la strada costiera Al-Rashid in seguito all’accordo di cessate il fuoco a Gaza City, Gaza, il 27 gennaio 2025. (Ali Jadallah – Anadolu Agency)
Il linguaggio è importante. Oltre al suo impatto immediato sulla nostra percezione di grandi eventi politici, tra cui la guerra, il linguaggio definisce anche la nostra comprensione di questi eventi nel corso della storia, plasmando così il nostro rapporto con il passato, il presente e il futuro. Mentre i leader arabi si stanno mobilitando per impedire qualsiasi tentativo di sfollare la popolazione palestinese di Gaza colpita dalla guerra (e della Cisgiordania Occupata, peraltro), non ho potuto fare a meno di riflettere sul linguaggio: quando abbiamo smesso di fare riferimento al “conflitto arabo-israeliano” e abbiamo iniziato a usare invece “conflitto Israelo-palestinese”?
A parte l’ovvio problema che le occupazioni militari illegali non dovrebbero essere descritte come “conflitti” (un termine neutro che crea un’equivalenza morale), la rimozione degli “arabi” dal “conflitto” ha notevolmente peggiorato le cose, non solo per i palestinesi, ma per gli arabi stessi.
Prima di parlare di queste ripercussioni, ovvero dello scambio di parole e della modifica delle frasi, è importante approfondire: quando esattamente è stato rimosso il termine “arabo”? E, cosa altrettanto importante, perché è stato aggiunto in primo luogo? La Lega degli Stati Arabi fu fondata nel marzo 1945, più di tre anni prima della fondazione di Israele. Una delle cause principali di quella ritrovata unità araba fu la Palestina, allora sotto un “Mandato” Coloniale Britannico. Non solo i pochi Stati arabi indipendenti capirono la centralità della Palestina per la loro sicurezza collettiva e le loro identità politiche, ma percepirono anche la Palestina come la questione più critica per tutte le nazioni arabe, indipendenti o meno.
Quell’affinità si rafforzò con il tempo.
I vertici della Lega Araba riflettevano sempre il fatto che i popoli e i governi arabi, nonostante ribellioni, sconvolgimenti e divisioni, erano sempre uniti in un valore singolare: la liberazione della Palestina.
Il significato spirituale della Palestina crebbe di pari passo con il suo significato politico e strategico per gli arabi, quindi l’inserimento della componente religiosa in quella relazione.
L’attacco incendiario dell’agosto 1969 alla Moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme Occupata fu il principale catalizzatore dietro la fondazione dell’Organizzazione della Conferenza Islamica più tardi quell’anno. Nel 2011, è stata rinominata Organizzazione per la Cooperazione Islamica, sebbene la Palestina sia rimasta l’argomento centrale del dialogo musulmano.
Tuttavia, il “conflitto” è rimasto “arabo”, poiché i Paesi arabi sono stati quelli che ne hanno sopportato il peso, si sono impegnati nelle sue guerre e hanno subito le sue sconfitte, ma hanno anche condiviso i suoi momenti di trionfo.
La sconfitta militare araba del giugno 1967 da parte dell’esercito israeliano, sostenuto dagli Stati Uniti e da altre potenti potenze occidentali, è stato un momento spartiacque. Umiliate e arrabbiate, le nazioni arabe hanno dichiarato i loro famosi “Tre no” al vertice di Khartoum nell’agosto-settembre dello stesso anno: niente pace, niente negoziati e niente riconoscimento di Israele mentre i palestinesi sono tenuti prigionieri.
Quella posizione forte, tuttavia, non ha superato la prova del tempo. La disunione tra le nazioni arabe emerse e termini come Al-‘Am al-Qawmi al-‘Arabi: La Sicurezza Nazionale Araba, spesso incentrati sulla Palestina, si frammentò in nuove concezioni che circondavano gli interessi degli Stati-Nazione.
Gli Accordi di Camp David firmati tra Egitto e Israele nel 1979 approfondirono le divisioni arabe, e marginalizzarono ulteriormente la Palestina.
Fu in quel periodo che i media occidentali, poi il mondo accademico, iniziarono a coniare nuovi termini riguardanti la Palestina.
Il termine “arabo” fu abbandonato in favore di “palestinese”. Quel semplice cambiamento fu sconvolgente, poiché arabi, palestinesi e persone in tutto il mondo iniziarono a fare nuove associazioni con il discorso politico relativo alla Palestina. L’isolamento della Palestina aveva quindi oltrepassato quello degli assedi fisici e dell’Occupazione Militare, per entrare nel regno del linguaggio.
I palestinesi combatterono duramente per conquistare la loro legittima e meritata posizione di custodi della propria lotta. Sebbene l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) fosse stata fondata su richiesta dell’Egitto nel primo vertice arabo al Cairo del 1964, i palestinesi, sotto la guida di Yasser Arafat di Fatah, ne ottennero la guida solo nel 1969.
Cinque anni dopo, al vertice arabo di Rabat (1974), l’OLP fu percepita collettivamente come “l’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese”, e in seguito le fu concesso lo status di osservatore presso le Nazioni Unite. Idealmente, una dirigenza palestinese veramente indipendente avrebbe dovuto essere abbracciata da una posizione araba collettiva e unita, aiutandola nel difficile e spesso sanguinoso processo di liberazione. Gli eventi che seguirono, tuttavia, attestarono un percorso molto meno ideale: le divisioni arabe e palestinesi indebolirono la posizione di entrambi, frammentandone le energie, le risorse e le decisioni politiche.
Ma la storia non è destinata a seguire lo stesso schema. Sebbene le esperienze storiche possano sembrare replicarsi, la ruota della storia può essere indirizzata per muoversi nella giusta direzione.
Gaza, e la grande ingiustizia risultante dalla distruzione causata dal Genocidio israeliano nella Striscia, sta ancora una volta fungendo da catalizzatore per il dialogo arabo e, se c’è abbastanza volontà, per l’unità.
I palestinesi hanno dimostrato che il loro Sumud, la loro Fermezza, è sufficiente a respingere tutti gli stratagemmi mirati alla loro stessa distruzione, ma le nazioni arabe devono rivendicare la loro posizione come prima linea di solidarietà e sostegno per il popolo palestinese, non solo per il bene della Palestina stessa, ma anche per il bene di tutte le nazioni arabe. L’unità è ora la chiave per rimettere al centro la giusta causa della Palestina, così che il linguaggio possa, ancora una volta, cambiare, inserendo la componente “araba” come parola critica in una lotta per la libertà che dovrebbe riguardare tutte le nazioni arabe e musulmane e, anzi, il mondo intero.
Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
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