“No Other Land” cattura lo spirito palestinese, ma non riesce a cogliere la società israeliana

Il film candidato all’Oscar ritrae accuratamente gli orrori compiuti dall’esercito israeliano e dai coloni nella Cisgiordania occupata, ma trascura il modo in cui la società israeliana sostiene la sottomissione dei palestinesi

di Maysa Mustafa, 2 marzo 2025

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Copertina : Basel Adra giace a terra mentre i bulldozer israeliani avanzano verso Masafer Yatta (Fornito a MEE nel novembre 2024)

Come molti palestinesi, mi sono avvicinata a No Other Land con un certo cinismo.

Mi aspettavo forse di vedere un palestinese e un israeliano che legano tra loro per il fatto che entrambi amano l’hummus e il labne?

O che attraverso la loro amicizia ci fosse ancora speranza per palestinesi e israeliani.

Fortunatamente il film, che ha ottenuto numerosi riconoscimenti ai festival ed è stato candidato come miglior documentario agli Oscar di domenica, è un ritratto avvincente e autentico dei palestinesi della Cisgiordania.

Le dure realtà che i palestinesi devono affrontare mentre resistono allo sfollamento nei villaggi occupati della Cisgiordania di Masafer Yatta sono in bella mostra, con il palestinese Basel Adra, che ha iniziato a filmare l’occupazione israeliana del suo villaggio a Masafer Yatta all’età di 15 anni, e l’attivista israeliano Yuval Abraham, che raccontano al pubblico con il cuore in mano le molteplici demolizioni di case.

I registi mostrano le forze israeliane che dicono di volta in volta alle famiglie palestinesi che le loro case sono improvvisamente illegali e si trovano in una “zona militare” israeliana.

Vediamo il terrore che i coloni scatenano nella comunità e gli assalti immotivati – e persino le uccisioni – che prendono di mira qualsiasi forma di protesta contro le ingiustizie, assicurando che coloro che hanno visto il film avranno queste immagini traumatizzanti impresse nella loro mente.

I filmati d’archivio dell’infanzia di Adra si intrecciano magnificamente con le scene di forza militare, offrendo agli spettatori uno scorcio di un tempo in cui la comunità non ruotava intorno all’imminente sfollamento e mostrando al contempo come le ferite dell’occupazione abbiano permeato le generazioni.

Vediamo flashback del padre di Adra, imprigionato più volte dalle autorità israeliane nel corso della sua vita per il suo attivismo, che dice le stesse cose e lotta per gli stessi diritti di Adra nella Palestina di oggi.

Una verità scomoda

In No Other Land ci sono diversi momenti in cui la disperazione è schiacciante. Ma per me, una scena in particolare si è distinta.

Abraham e Adra stanno guidando dopo aver filmato l’ennesima demolizione di una casa palestinese a Masafer Yatta, dove è ambientato l’intero documentario. Per decenni, le autorità israeliane hanno cercato di sfollare con la forza i suoi circa 1.000 abitanti palestinesi per creare una “zona di tiro” militare, o terreno di addestramento per le forze israeliane.

“Devo scrivere di più. L’articolo che ho scritto sulla mamma di Harun non ha avuto molte visualizzazioni”, dice Abraham, riferendosi a una storia che ha scritto su una famiglia di Masafer Yatta costretta a vivere in una grotta dopo che la loro casa è stata distrutta. Un giovane, Harun, è stato colpito da un proiettile ed è rimasto paralizzato.

Si vede poi Adra sorridere in silenzio prima di chiamare Abraham “akwath”, cioè stupido.

“Mi sembra che tu sia un po’ troppo entusiasta”, risponde. “Vuoi che tutto accada rapidamente. Come se fossi arrivato a risolvere tutto in 10 giorni.

Abituati a fallire. Sei un perdente”.

 

Basel Adra e Yuval Abraham nella Cisgiordania occupata (Fornito)

Nel delirio di Abraham, c’è una scomoda verità con cui lui e Adra sono costretti a sedersi in quella macchina: Abraham sa che la sua vita, la sua presenza e la sua voce hanno più peso di quelle di Adra.

Si potrebbe sostenere che No Other Land potrebbe benissimo essere raccontato senza includere Abraham, ma sarebbe arrivato fin qui senza di lui?

Il film è stato selezionato per il New York Film Festival di quest’anno e ha vinto il premio come miglior documentario al Berlin International Film Festival.

La delusione di Abraham è radicata nel presupposto che la sua identità ebraico-israeliana da sola potrebbe superare gli ostacoli che i palestinesi affrontano, ostacoli che spesso significano la morte, quando si tratta di raccontare gli orrori dell’occupazione israeliana.

Sebbene Abraham abbia buone intenzioni, ad Adra ricorda che il suo collega israeliano non potrà mai comprendere appieno la tenacia necessaria per opporsi all’occupazione israeliana della Palestina; se i palestinesi dovessero fare affidamento sulle “vittorie” per alimentare la loro determinazione a rimanere nella loro terra, non ci sarebbero più palestinesi in Cisgiordania.

Se si vuole provare l’orgoglio di sostenere la causa palestinese, si è obbligati a sentire la continua perdita a cui essa è inestricabilmente legata; si deve accettare di essere, in sostanza, un “perdente”.

In un certo senso, questa scena prefigura il viaggio che il documentario ha intrapreso dopo la sua uscita. Nonostante il film abbia ricevuto un’ampia copertura da parte della stampa e abbia vinto diversi premi – diventando persino virale dopo che Abraham ha criticato Israele per i suoi incessanti bombardamenti su Gaza durante un discorso di accettazione – non ha ancora trovato un distributore negli Stati Uniti.

Al momento, il team di produzione del film si è assunto il compito di distribuire il proprio progetto in sale indipendenti sparse nelle principali città internazionali.

Sembra che anche la candidatura al premio più prestigioso dell’industria cinematografica non sia ancora sufficiente per far sì che l’Occidente metta in scena su larga scala narrazioni incentrate sulla Palestina.

Abraham, un’anomalia israeliana

No Other Land lascia allo spettatore un’impressione diversa, proporzionale al suo livello di coinvolgimento nella causa palestinese.

Coloro che hanno appena iniziato a comprendere il conflitto si trovano a riflettere sull’oppressione che i palestinesi hanno sempre dovuto affrontare fin dalla creazione di Israele, che non è “iniziata solo il 7 ottobre 2023”.

Le riprese del documentario si sono concluse poco dopo gli attentati e non hanno toccato il tema della guerra.

Chi si è abituato a vedere immagini di cadaveri palestinesi, di bambini che si trovano faccia a faccia con i soldati israeliani nel tentativo di proteggere le loro case e le loro famiglie, di genitori che implorano la stampa di fare qualcosa per i loro figli morenti, si chiederà dove siano gli altri Abraham.

Farebbe forse differenza se ci fossero più israeliani in piedi, a braccetto, a sorvegliare una casa palestinese, anziché una sola persona? Questo porta alla domanda più grande: esistono davvero così tanti israeliani che si oppongono all’occupazione?

Dalla fine del 2023, abbiamo visto le popolazioni di quasi tutti i Paesi del mondo mobilitarsi per protestare contro la guerra di Israele a Gaza, con richieste di porre fine anche all’occupazione della Palestina in generale.

La comunità globale e i suoi governi sono stati i più critici nei confronti di Israele e i più schietti nel sostenere la Palestina come mai prima d’ora.

Tuttavia, anche dopo oltre 75 anni di occupazione e di sfollamento di massa dei palestinesi e dopo quello che è stato categoricamente definito un “genocidio” a Gaza, la società israeliana rimane impassibile.

In una popolazione che si vanta di essere “l’unica democrazia del Medio Oriente” e un “rifugio progressista” tra i Paesi a maggioranza musulmana, sembra esserci poco slancio nel riscattare la propria reputazione di fronte alla comunità internazionale in quello che dovrebbe essere un mondo post-apartheid e post-coloniale.

La maggior parte delle voci del popolo ebraico che protestano contro l’occupazione di Israele risuonano nelle strade di tutte le principali città, tranne quelle di Israele.

Una frase comune che i due registi ripetono durante le interviste è che loro – un palestinese e un israeliano – hanno la stessa età ma vivono vite diverse sulla stessa terra.

Ciò che non è stato detto

Sebbene No Other Land sia riuscito a ritrarre gli orrori che Israele crea nella Cisgiordania occupata, trascura come la società israeliana in generale veda l’oppressione dei palestinesi non solo come una ‘spiacevole realtà’, ma piuttosto come un trattamento giustificato.

Gli ‘antagonisti’ del documentario sono l’esercito israeliano e le autorità che impartiscono gli ordini, ma il documentario non è abbastanza coraggioso da bucare la superficie per affrontare la radice del problema: una società che in generale sostiene le azioni dell’occupazione e il suo obiettivo finale di pulizia etnica dei palestinesi dalla terra.

Adra può rappresentare la vita della maggior parte dei palestinesi in Cisgiordania, ma Abraham è una completa anomalia in Israele.

Ciò non significa che in Israele non esistano numerose ONG che mirano a creare solidarietà con i palestinesi e a educare i cittadini israeliani sull’oppressione in corso dall’altra parte del muro. C’è un solido lavoro di documentazione dei crimini israeliani in Cisgiordania e a Gaza. Anche i palestinesi con cittadinanza israeliana hanno fatto del loro meglio per protestare sotto la severa censura del governo israeliano.

Sebbene non abbia sottolineato quanto il consenso generale della società israeliana si allontani da Abraham, No Other Land non ha evitato di mostrare quanto i palestinesi fossero a disagio per la sua presenza a Masafer Yatta.

Sebbene sia stato invitato nelle case e negli incontri con i palestinesi, ci sono stati molti momenti di cruda onestà che sono stati messi a nudo.

Un uomo palestinese, in particolare, ha discusso più volte con Abraham durante il documentario, chiedendogli come potesse aspettarsi che fossero amici quando “le persone che stanno demolendo le nostre case potrebbero essere tuoi cugini”.

Fa anche notare che Abraham può lasciare l’elevato stress di Masafer Yatta e vagare liberamente per la Palestina occupata, mentre loro sono ingabbiati da innumerevoli checkpoint e dagli insediamenti israeliani in espansione.

Abraham intrattiene con serietà queste conversazioni in perfetto arabo, imparato durante l’adolescenza, cercando di convincere l’uomo che potrebbe esserci un modo per farli coesistere. Ma i dibattiti non sembrano mai risolversi.

A prescindere dall’esito del film agli Academy Awards, No Other Land documenta un momento molto particolare per la Palestina.

La frustrazione, l’inquietudine e la stanchezza di Adra rispecchiano quelle di tutti i palestinesi che resistono da molto prima che le telecamere siano puntate su di loro.

L’ingenua speranza di Abraham, che spesso non tiene conto del suo privilegio, si rispecchia nello spirito ritrovato di nuovi alleati che già capiscono che questa lotta non può essere vinta dall’oggi al domani.

È una nuova generazione che deve, come Adra ha consigliato ad Abraham, “abituarsi a fallire” e a perdere prima di poter raccogliere ciò che semina.

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org