“No Other Land” è una documentazione dell’intasamento della psiche israeliana – non è un film. È uno strazio.

No Other Land è una documentazione dell’intasamento della psiche israeliana. Non è un film, è un grande strazio.

Fonte: English version

di Alon Idan, 8 marzo 2025

Immagine di copertina: : Straziante, una realtà davvero folle. Dal film No Other Land • Foto: Autlook Filmsales

No Other Land non è un “film di sinistra”. In parte perché non è “di sinistra”, e anche perché non è un “film”. Non è di sinistra a meno che non si definisca “di sinistra” come umano; a meno che opporsi all’umanità non sia “di destra”. La questione può anche essere posta in questo modo: se una persona che si definisce “di destra” guarda un film e non prova dolore, senso di colpa, tristezza, non è perché è “di destra”, ma perché ha perso il contatto con le parti della sua psiche legate a concetti come empatia, identificazione, umanità.

Non è nemmeno un “film”, perché è solo la semplice realtà. Certo, è stato filmato, ed è stato definito come “documentario”, e naturalmente ha richiesto denaro, essendo una “produzione norvegese-palestinese”. Ma tutte queste parole, questi concetti, questo linguaggio, sono tutti linguaggi intra-cinematografici. No Other Land non è nulla di tutto questo. È solo un insieme di immagini che lasciano intravedere la realtà stessa. E la realtà stessa è straziante, demenziale, ti fa impazzire. Vorresti rompere lo schermo, mandarlo in frantumi, mandarci in frantumi. Continui a mormorare: “L’agnello dei poveri” [favola del profeta Natan consegnata al re Davide] e dici a te stesso: “Abbiamo perso. Abbiamo perso. Non è possibile che non abbiamo perso.”

Ho letto una recensione di Oron Shamir, uno dei critici cinematografici di Haaretz, su No Other Land. L’ho letta e non potevo crederci. “L’attenzione si concentra su una bambina, che si trova in un luogo per lei pericoloso a causa della distruzione e che inoltre sta vivendo un disagio emotivo. È una manipolazione cinematografica, non una documentazione qualsiasi”. Una bambina si trova nella sua povera, temporanea, misera casa, quella che è stata demolita più e più volte perché Israele insiste nel distruggerla per far posto ai coloni – e questa, beh, è: “manipolazione cinematografica, non una documentazione qualsiasi”. In che razza di mondo la realtà descritta qui è “manipolazione cinematografica”?

Ma non finisce qui. “Proprio come si è soliti dire dei film di guerra e militari che, per natura, non si allontanano mai troppo dalla narrazione ufficialmente sancita, anche No Other Land privilegia l’agenda dei suoi creatori rispetto all’atto artistico o giornalistico”. Un atto artistico? Un atto giornalistico? E qual è esattamente questo “atto”? C’è qualcosa di più artistico e giornalistico che presentare la realtà perversa, crudele, insensibile e meschina così com’è?

“Come film, è viziato e se la prossima settimana vincerà l’Oscar, saranno le ragioni politiche a prevalere sui valori cinematografici”, scrive. Le “ragioni politiche”? Non sono forse le cause umane? Le ragioni morali? Le ragioni per cui, e solo per loro, ha senso un “documentario” che dovrebbe esporre la realtà? E in generale, quali sono tutti questi “valori cinematografici”? Si studiano a scuola di cinema? Nelle cineteche? Guardare la vita così com’è – orribile, oltraggiosa, così ingiusta – non è sufficiente per essere considerato un “buon film”? Dov’è questo luogo in cui si insegna alla mente a essere schiava della forma, dello stile, degli effetti, del “linguaggio cinematografico”, a scapito del contenuto stesso, della realtà, del dolore, che si riflettono in ogni fotogramma di questo meraviglioso-terribile film?

L’obiezione del “Ministro della Cultura” Miki Zohar alla proiezione di No Other Land è un’obiezione alla proiezione di uno squarcio di 95 minuti attraverso il quale si può guardare un pezzo di realtà da cui emerge solo una semplice conclusione: noi, gli israeliani, siamo diventati insensibili, impermeabili e privi di empatia, privi di moralità. Gente cattiva, semplicemente cattiva. Poche ore dopo la vittoria dell’Oscar per No Other Land, abbiamo assistito a quelle scene inimmaginabili, che la lingua fatica a descrivere, quando le famiglie in lutto sono state picchiate dai membri della Guardia della Knesset perché volevano partecipare a una discussione sull’istituzione di una Commissione statale d’inchiesta sul 7 ottobre. E ancora una volta mi sono venute in mente queste parole: insensibili, impenetrabili, privi di empatia, privi di moralità.

E le stesse parole vengono ripetute più volte riguardo Benjamin Netanyahu. Anche lui è insensibile, impenetrabile e privo di empatia. E improvvisamente si fa strada l’idea che tutto questo non sia un caso. Che Netanyahu sia la nostra punizione proprio per questo. Che quest’uomo è stato il nostro modo di nascondere a noi stessi la nostra insensibilità, la nostra ignoranza, la nostra perdita di empatia, la disintegrazione della moralità per quasi 20 anni. L’abbiamo portato per nascondere noi stessi. E per questo siamo stati puniti.

La punizione si presenta così: ci fa provare le stesse orribili emozioni che abbiamo cercato di nascondere grazie a lui. Tutto ciò che diciamo di lui, potremmo dirlo di noi stessi. Tutto ciò che gli abitanti di Masafer Yatta provano nei confronti dei soldati che sono noi, improvvisamente lo proviamo nei confronti del nostro governo. Pensavamo di essere riusciti a distaccarci dall’ingiustizia che stavamo compiendo con l’aiuto dell’uomo che ha promesso di “gestire il conflitto” – ha offerto un accordo per cui gli israeliani possono fare vacanze all’estero e comprare nuovi iPhone, mentre lui si sarebbe occupato del resto. Ma come ogni repressione emotiva, torna a galla e comincia a rodere. La “ricomparsa del rimosso” è la ricomparsa dei concetti: opacità, insensibilità, mancanza di empatia, mancanza di moralità.

E forse è questa la fonte del dolore, della frustrazione, della tristezza. Il motivo per cui ci sentiamo così inquieti. Ci ostiniamo a non collegare tutti i puntini. Insistiamo a reprimere i nostri sentimenti e i nostri pensieri. Ma non c’è altro modo. Non c’è.

Yuval Abraham ci ha fatto un grande favore. Ha mostrato al mondo, ma soprattutto a noi, che è ancora possibile. Che ci sono ancora persone. Lui è la parte del nostro cuore che batte ancora. Non dobbiamo perseguitarlo, dobbiamo ringraziarlo.

No Other Land è una documentazione dell’intasamento della psiche israeliana. Non è un film, è un grande strazio.

Traduzione. Simonetta Lambertini – invictapalestina.org