Il governo di Netanyahu ha approfondito le fratture interne e l’isolamento globale di Israele, mettendo a dura prova la pazienza dei suoi più stretti alleati. Mentre cresce la dipendenza di Tel Aviv dagli Stati Uniti, si pone la domanda: gli americani detronizzeranno il re per salvare il loro regno?
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di : Mohamad Hasan Sweidan – 7 marzo 2025
Photo credit: the Cradle
Un sondaggio dei media israeliani e statunitensi rivela una crescente preoccupazione tra gli esperti che il perdurare del governo del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu stia portando lo Stato di occupazione a un’escalation di crisi interne ed esterne.
Le sue politiche stanno approfondendo le divisioni interne, minando la coesione sociale e politica. Allo stesso tempo, la sua gestione delle sfide regionali sta esacerbando l’isolamento internazionale di Israele, esponendolo a vulnerabilità strategiche a lungo termine.
Netanyahu e il caos regionale
La favola classica di Hans Christian Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore racconta la storia di un sovrano talmente consumato dalla vanità da credere di indossare un abito magnifico che, secondo i suoi sarti ingannatori, solo i saggi possono vedere.
In realtà, sta sfilando nudo per le strade, ma nessuno osa dire la verità, finché un bambino non esclama: “L’imperatore è nudo!”. L’imperatore, benché esposto, sceglie di continuare la sua sfilata, facendo finta di niente.
Il racconto è diventato una metafora universale della negazione di massa negli affari politici e sociali. Oggi i commentatori israeliani la invocano per illustrare come i presunti punti di forza di Netanyahu siano illusioni, mentre i suoi fallimenti sono evidenti a tutti coloro che osano guardare.
Carl von Clausewitz, nella sua opera fondamentale Sulla guerra, definisce la guerra come “la continuazione della politica con altri mezzi”. Tuttavia, un monito meno citato di Clausewitz ammonisce a “non fare il primo passo senza pensare a quello che potrebbe essere l’ultimo”. Questa è una lezione che Netanyahu non ha mai imparato dai suoi mentori americani.
Dopo gli attentati dell’11 settembre, l’amministrazione Bush ha lanciato guerre in Afghanistan e in Iraq senza chiare strategie di uscita, culminate in umilianti ritiri degli Stati Uniti. La risposta di Netanyahu all’operazione Al-Aqsa Flood ha messo in moto un percorso simile di sconvolgimenti in tutta l’Asia occidentale. Ma la sua vera prova sta in ciò che verrà dopo: Qual è la sua strategia di uscita dal caos che ha scatenato?
In un articolo dello scorso anno su The Hill si legge che Netanyahu ha “la reputazione di essere un maestro di tattica politica nel contesto della politica israeliana… ma ciò che è inequivocabile è che è un pessimo stratega”.
Sul piano della politica interna, la sua dipendenza da alleati estremisti per mantenere la sua coalizione ha esacerbato le divisioni sociali e ha eroso la fiducia nelle istituzioni statali, comprese le agenzie militari e di intelligence di Israele. Il tentativo di Netanyahu di rimodellare il sistema giudiziario israeliano ha alienato ampi segmenti della società israeliana, comprese figure chiave dell’establishment della sicurezza, in un momento in cui l’unità nazionale è fragile.
La sua strategia di lunga data di permettere ad Hamas di fare da contrappeso all’Autorità Palestinese (AP) – volta a prevenire la nascita di uno Stato palestinese – si è ora clamorosamente ritorta contro di lui. Come fanno gli israeliani a sostenere che Netanyahu vuole sradicare proprio quella resistenza palestinese di cui ha cercato di garantire la crescita, anche se per vie indirette?
Inoltre, il suo rifiuto di assumersi la responsabilità dei fallimenti che hanno portato al 7 ottobre – compreso l’impedimento delle indagini sugli eventi del giorno – insieme alla sua riluttanza a presentare un piano post-bellico per Gaza, ha alimentato l’indignazione dell’opinione pubblica e rafforzato la percezione che Netanyahu dia priorità alla sua sopravvivenza politica rispetto alla sicurezza nazionale.
In breve, l’ambizione del primo ministro israeliano, secondo il crescente sentimento dell’opinione pubblica e dell’establishment israeliano, è quella di preservare il re rispetto al regno.
Un peso strategico per Washington?
Sotto Netanyahu, Israele è diventato sempre più isolato. I mandati di arresto della Corte Penale Internazionale (CPI) del 2024 per Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant hanno ulteriormente limitato la sua mobilità internazionale e aggravato la crisi diplomatica di Tel Aviv.
L’aggressiva espansione degli insediamenti ebraici illegali e il rifiuto del suo governo di impegnarsi in negoziati significativi sulla creazione di uno Stato palestinese hanno alienato i principali partner arabi, facendo deragliare la normalizzazione saudita-israeliana e invertendo lo slancio degli Accordi di Abramo.
Netanyahu non è riuscito a contenere il caos regionale che ha avviato nell’ottobre 2023. Il futuro di Gaza e del Libano rimane incerto, la traiettoria del confronto israeliano con l’Iran non è chiara e persino il ruolo di Tel Aviv in Siria rimane ambiguo.
Nel frattempo, la sfida di Netanyahu agli appelli statunitensi alla moderazione e le sue macchinazioni per evitare i risultati del cessate il fuoco hanno messo a dura prova le relazioni con Washington, che lo vede sempre più come un ostacolo piuttosto che come un alleato.
La questione più urgente è come il governo di Netanyahu influisca sulla dipendenza strategica di Israele da Washington. Gli eventi successivi al 7 ottobre hanno rivelato l’incapacità di Tel Aviv di sostenere un confronto prolungato in Asia occidentale senza investimenti finanziari, militari e di intelligence americani diretti. In altre parole, Israele è stato esposto come strategicamente vulnerabile – il suo successo dipende esclusivamente dall’incrollabile sostegno degli Stati Uniti.
L’esposizione strategica nelle relazioni internazionali si riferisce al grado di vulnerabilità di uno Stato alle pressioni, alle minacce e alle dipendenze esterne. La sicurezza, la stabilità e gli interessi strategici di Israele dipendono ora dall’impegno degli Stati Uniti.
Dopo l’Operazione Al-Aqsa Flood, gli israeliani hanno riconosciuto la portata della loro dipendenza da Washington, costringendo gli Stati Uniti a un maggiore coinvolgimento regionale per conto di Tel Aviv. Questo ha scatenato una crescente frustrazione tra i politici statunitensi, che vedono la crescente dipendenza di Israele come una responsabilità. Alcuni si chiedono: l’Israele di Netanyahu è diventato un peso?
Cresce il dissenso nei confronti di Netanyahu
Steven Simon, ex direttore per gli affari del Medio Oriente e del Nord Africa presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, sostiene che il continuo sostegno americano a Israele non serve più agli interessi strategici degli Stati Uniti. Nel suo libro Grand Delusion: The Rise and Fall of American Ambition in the Middle East, Simon esorta Washington a rivedere il suo rapporto con Tel Aviv.
Molti analisti negli Stati Uniti e in Europa considerano ora Netanyahu un ostacolo non solo alla democrazia israeliana, ma anche agli interessi degli alleati di Israele. Il giornalista Simon Tisdall, scrivendo per il Guardian/Observer, sostiene che l’intransigenza di Netanyahu su Gaza ha pericolosamente minato l’ordine globale guidato dagli Stati Uniti. A Washington è sempre più diffusa la sensazione che Netanyahu “non ascolti davvero” il suo più stretto alleato, un segnale allarmante per i politici statunitensi.
Come ha scritto Tisdall nel novembre 2023:
“Che si tratti del futuro di Gaza, della statualità palestinese, della minaccia iraniana o di un’onesta governance democratica, Netanyahu è un peso, più ora che prima della guerra”.
Persino il leader della maggioranza del Senato degli Stati Uniti, Chuck Schumer – un democratico ebreo fortemente favorevole a Israele – ha espresso una condanna pubblica senza precedenti di Netanyahu lo scorso anno, dichiarando che il primo ministro israeliano aveva “perso la strada” e chiedendo nuove elezioni.
In questo contesto, emerge una questione fondamentale: Molte voci influenti a Washington ritengono sempre più che la salvaguardia degli interessi statunitensi richieda la rimozione di Netanyahu. Quindi, per preservare il regno oggi è necessario sbarazzarsi del re?
Traduzione di Mavi Morano – invictapalestina.org