“Stanno imponendo i fatti sul terreno, imponendo una politica di coesistenza con la presenza dei militari senza alcuna resistenza. In altre parole, stanno dicendo ‘queste aree sono sotto la nostra sovranità’”.
Fonte: English version
di Zena Al Tahhan 4 Marzo 2025
Immagine di copertina: : Fidaa Abu Zeina davanti alla sua porta nel campo profughi di al-Faraa, vicino a Tubas. Zena Al Tahhan.
Feci, urina e preservativi usati: sono solo alcune delle cose che i soldati israeliani hanno lasciato nelle case dei palestinesi durante l’assalto di 11 giorni al campo profughi di al-Faraa, ai piedi della Valle del Giordano, a sud di Tubas, nel nord della Cisgiordania occupata, il mese scorso.
La casa di Fidaa Abu Zeina era una di queste. Abu Zeina, 46 anni, sua moglie e i suoi tre figli sono stati costretti a uscire sotto la minaccia delle armi il 2 febbraio, il primo giorno dell’assalto. Data la posizione della loro casa all’ingresso del campo, il loro è stato il primo caso di espulsione.
Usando la sua casa come avamposto militare, i soldati hanno vissuto, dormito e mangiato nella casa di Abu Zeina per 11 giorni, durante i quali l’hanno vandalizzata in modo irriconoscibile, lasciando una puzza di urina, feci e preservativi usati sul pavimento e negli armadi.
“Ho perso la testa quando ho visto per la prima volta l’interno della mia casa dopo il loro ritiro. È una discarica, è inabitabile. Non c’è più una casa”, ha raccontato Abu Zeina, un ex saldatore, dal suo soggiorno spoglio, che ha dovuto svuotare di tutti i mobili rovinati dai soldati.
“Ci hanno detto che avevamo cinque minuti per prendere le nostre cose e andarcene, e di tornare un mese dopo”, ha detto Abu Zeina. “I soldati hanno cercato di costringerci a lasciare il campo, ma io mi sono rifiutato. Ho detto loro che potevano bombardare la mia casa e me con essa. Alla fine mi hanno lasciato andare a casa di mio padre, in un’altra zona del campo”.
La distruzione della sua casa non è stato l’unico orrore che Abu Zeina ha dovuto sopportare negli ultimi mesi. Nel settembre 2024, suo figlio Majed, 16 anni, è stato giustiziato dai soldati per strada mentre implorava per la sua vita. I soldati hanno poi mutilato il corpo del ragazzo con un bulldozer blindato e lo hanno fatto sfilare per il campo, come documentato in un video ampiamente condiviso.
Su un comò in un’altra stanza della sua casa, un Corano strappato si trova sotto uno specchio su cui sono appese fotografie vandaliche di Majed. I soldati hanno disegnato genitali maschili con pennarello nero sulla bocca del ragazzo
l più grande spostamento dal 1967
L’assalto militare di Israele al campo profughi di al-Faraa fa parte di un più ampio attacco in corso contro città e campi profughi nel nord della Cisgiordania occupata. L’attacco è iniziato nel campo profughi di Jenin il 21 gennaio, due giorni dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, che ha messo fine a 16 mesi di genocidio.
Dall’inizio dell’operazione, almeno 60 palestinesi sono stati uccisi e altre decine sono stati feriti nel nord della Cisgiordania. Circa 40.000 palestinesi sono stati costretti a lasciare le loro case, con i campi profughi di Jenin, Tulkarm e Nur Shams quasi completamente svuotati.
L’attuale assalto di Israele è il più lungo nella Cisgiordania occupata in oltre due decenni, ed è la più grande operazione di sfollamento forzato dal 1967.
Centinaia di case sono diventate inabitabili, mentre vasti tratti di strade sono stati scavati con i bulldozer, sia nei campi profughi che nelle città stesse, con conseguenze su tutti gli aspetti della vita dei residenti.
Omar Abu al-Hassan, capo del comitato popolare del campo profughi di al-Faraa, che si occupa dei bisogni dei residenti in assenza di un’autorità amministrativa formale, ha dichiarato a The Electronic Intifada che le forze israeliane hanno usato “la maggior parte delle case del campo e gli edifici circostanti come avamposti militari e hanno espulso i loro residenti”.
Abu al-Hassan è riuscito a rimanere all’interno del campo con circa la metà dei residenti durante l’assalto. Quando è uscito dopo il ritiro delle truppe, è rimasto “estremamente scioccato”, ha detto.
“Non ci sono scuse per tutta questa distruzione. Non c’era alcuna utilità per il gran numero di soldati che erano dispiegati nel campo, molti dei quali non avevano nulla da fare se non vandalizzare, saccheggiare le case e molestare le persone”, ha detto.
Ha stimato che l’esercito israeliano ha causato più di un quarto di milione di dollari di danni, tra cui la strada centrale, che è stata distrutta dai bulldozer, e le reti idriche, fognarie, elettriche e di telecomunicazione.
Guardare da lontano
A circa un’ora di auto a ovest di Tubas si trova la città di Tulkarm, che ospita due grandi campi profughi palestinesi, il campo di Tulkarm e Nur Shams.
I campi sono popolati da coloro che sono stati sfollati con la forza dalle loro case e terre nelle città costiere di Jaffa, Haifa e Cesarea nel 1948 e dai loro discendenti.
Cesarea dista solo mezz’ora di macchina da Tulkarm – né Jaffa né Haifa sono molto più lontane – eppure ai suoi abitanti originari – che vivono ancora in questi campi – non è permesso visitare, tanto meno tornare.
In una frizzante mattina d’inverno a febbraio, una piccola folla, tra cui uomini anziani e bambini, si è riunita in cima a un’alta collina per osservare il campo profughi di Nur Shams a Tulkarm. Questa è diventata una pratica quotidiana per molti, da quando sono stati costretti a lasciare le loro case nel campo a partire dalla fine di gennaio.
“Vengo qui ogni singolo giorno, dalla mattina al tramonto. Esco solo per pregare e pranzare”, ha detto Qais Tawfiq Khalifa, padre di quattro figli.
“Non ho una sola informazione su cosa sia successo alla mia casa. L’intero quartiere è stato svuotato. Lo guardo solo da qui”, ha continuato, indicando la sua casa in lontananza. “È la casa gialla dietro la moschea, accanto alla casa rosa”.
Questa non è la prima o la seconda volta che Khalifa è stato costretto a lasciare la sua casa. Il 19 dicembre, i soldati hanno demolito parte della sua casa durante un raid. “Ad oggi, la parte posteriore della mia casa è distrutta. È coperta da tettoie”, ha dichiarato a The Electronic Intifada.
Questa volta, però, l’invasione è stata diversa, ha detto. “È la più lunga esperienza di allontanamento che abbiamo vissuto. Non siamo abituati a stare fuori dalle nostre case per così tanto tempo”, ha detto Khalifa.
Come Khalifa, Raafat al-Banna, 36 anni, non ha visto la sua casa dall’inizio dell’invasione. Tra cumuli di macerie e pozze d’acqua di fogna, al-Banna si è fermato alla periferia del campo profughi di Tulkarm cercando di valutare i danni.
“L’unica cosa che so della mia casa è che le fondamenta sono state distrutte. Sotto la mia casa ho dei magazzini che i soldati hanno saccheggiato e distrutto. La casa è senza pilastri e potrebbe cadere da un momento all’altro”, ha dichiarato al-Banna a The Electronic Intifada. “Qualsiasi movimento e crollerà”.
Ha spiegato che i soldati dell’occupazione hanno costretto lui e la sua famiglia a uscire sotto la minaccia delle armi il primo giorno dell’invasione di Tulkarm.
“Hanno assediato il campo prima di fare irruzione nei quartieri, costringendo la gente a uscire e perquisendo le case. Sono entrati in casa mia, l’hanno vandalizzata e ci hanno dato 10-15 minuti per prendere le nostre cose e andarcene”, ha detto al-Banna.
“Abbiamo dovuto andarcene, non ci è stata data scelta”.
Israele ha dichiarato che manterrà il suo esercito di stanza nelle città e nei campi del nord della Cisgiordania occupata per il prossimo anno.
Faisal Salameh, vice governatore della città, ha dichiarato a The Electronic Intifada che l’Autorità Palestinese non ha informazioni sull’eventuale ritiro dell’esercito prima di tale data. Ha spiegato che le forze di sicurezza dell’Autorità palestinese, compresa la polizia, non sono state autorizzate ad operare a causa della presenza dell’esercito israeliano nelle strade, dall’inizio dell’assalto in corso.
“In realtà, Israele ha reinvestito e imposto un’occupazione militare diretta sulle città di Tulkarm e Jenin”, ha dichiarato Salameh.
“Stanno imponendo i fatti sul terreno, imponendo una politica di coesistenza con la presenza dei militari senza alcuna resistenza. In altre parole, stanno dicendo ‘queste aree sono sotto la nostra sovranità’”.
Traduzione di Mavi Morano invictapalestina.org