Come i progetti “verdi” in Medio Oriente perpetuano l’estrattivismo coloniale

La spinta dell’Europa per progetti di energia verde nel Nord Africa riguarda “più la garanzia delle esigenze energetiche dell’Europa che il supporto allo sviluppo sostenibile e a una giusta transizione energetica”.

Fonte: English version

Aya Nader – 12 marzo 20250

Gli investimenti europei in energia e agricoltura in Medio Oriente e Nord Africa (MENA) sfruttano le risorse locali, aggravando al contempo le disuguaglianze e i danni ambientali, avverte un nuovo rapporto prodotto in collaborazione tra MENA Fem Movement for Economic, Development and Ecological Justice e Greenpeace MENA.

Il rapporto illustra come questi investimenti europei diano priorità al profitto rispetto alle persone, rafforzando dinamiche estrattive e neocoloniali, in cui le risorse naturali vengono sfruttate per l’esportazione, a vantaggio di società e stati stranieri, mentre le comunità locali subiscono danni ambientali ed economici. Il rapporto sostiene che questi progetti perpetuano una forma moderna di colonialismo, suggerendo al contempo soluzioni per il cambiamento.

Una critica centrale è il modo in cui le gerarchie di potere globali subordinano gli interessi del Sud del mondo, inclusa la regione MENA, a quelli del Nord del mondo. La regione MENA, afferma il rapporto, continua a fare affidamento su sistemi economici che ne esauriscono le risorse, la bloccano nel debito estero e aggravano la crisi climatica, in una regione che si sta riscaldando due volte più velocemente della media globale.

“Abbiamo condotto questo studio per mettere in discussione la narrazione dominante di questi investimenti come ‘reciprocamente vantaggiosi’ e per sostenere politiche che pongano al centro le comunità locali, la giustizia economica e la sostenibilità”, afferma a Raseef22 Farah Galal, responsabile di genere e giustizia economica presso MENA Fem .

Concentrandosi su casi di studio provenienti da Egitto e Marocco, il rapporto evidenzia come gli investimenti agroalimentari europei in entrambi i Paesi si concentrino su colture commerciali orientate all’esportazione, come pomodori e agrumi, che richiedono ingenti risorse idriche e intensificano la scarsità d’acqua in una regione già arida.

L’Egitto è attualmente sull’orlo della ” carenza idrica assoluta “, poiché la quota idrica è attualmente di 560 m3 all’anno pro capite, ben al di sotto della soglia di povertà idrica di 1000 m3 all’anno pro capite. Il Marocco non se la passa molto meglio, con acqua pro capite attualmente a 606 m3. La scarsità idrica influisce sulla capacità di una popolazione non solo di bere, coltivare e produrre raccolti, tra gli altri problemi economici, ma anche su un’igiene inadeguata che può portare a malattie mortali.

Collocando gli investimenti in petrolio e gas nel cuore del modello economico estrattivista, il rapporto dimostra che tali pratiche neocoloniali si estendono ai progetti verdi, o a ciò che viene chiamato “colonialismo verde”. Il colonialismo verde è “quando terra, acqua e risorse nel Sud del mondo vengono utilizzate per la transizione energetica del Nord del mondo, spesso senza significativi benefici locali”, afferma Galal, sottolineando che la spinta dell’Europa per progetti di energia verde nel Nord Africa riguarda “più la garanzia delle esigenze energetiche dell’Europa che il supporto allo sviluppo sostenibile e a una giusta transizione energetica”.

In MENA, uno degli esempi più lampanti di colonialismo verde su cui lo studio fa luce è la spinta verso progetti di idrogeno verde su larga scala, progettati principalmente per servire i mercati energetici europei, con scarsi benefici per le popolazioni locali. Ci sono più di 50 progetti di idrogeno verde attualmente annunciati in Africa, la maggior parte dei quali produrrà ammoniaca come prodotto finale per l’esportazione in Europa. A novembre, TotalEnergies e il Marocco hanno firmato un accordo per sviluppare il progetto di idrogeno verde Chbika , con un obiettivo di produzione di 200.000 tonnellate di ammoniaca verde all’anno destinate ai mercati europei.

Questi progetti richiedono grandi quantità di terra e acqua, senza riuscire a soddisfare le esigenze energetiche nazionali o a fornire significative opportunità economiche per le comunità locali. Invece, spesso spostano agricoltori e gruppi indigeni, esacerbando le disuguaglianze sociali e il degrado ambientale, sostiene il rapporto. Ciò è particolarmente rischioso per gli sforzi di decarbonizzazione nel Sud del mondo, dove la produzione di idrogeno verde per l’esportazione può competere con la decarbonizzazione del settore energetico e l’accesso all’energia, sottolinea il rapporto.

“Il colonialismo storico si basava sul controllo diretto e sull’occupazione, mentre il colonialismo verde opera attraverso dipendenza economica, accordi commerciali e investimenti aziendali che estraggono risorse sotto le mentite spoglie della sostenibilità. Invece del governo militare, il controllo odierno viene esercitato attraverso debito, investimenti condizionati e accaparramento di terre mascherato da soluzioni climatiche”, spiega Galal.

Il colonialismo verde si riscontra anche in enormi parchi solari ed eolici che danno priorità alle esportazioni, mentre le comunità non hanno accesso all’energia di base, secondo Galal. “Come i progetti coloniali del passato, molte delle iniziative verdi odierne sfruttano terra e manodopera, rafforzando al contempo la dipendenza dai mercati e dalle istituzioni europee per finanziamenti, tecnologia e infrastrutture. Inoltre, il colonialismo verde lascia le economie locali con risorse esaurite e in condizioni peggiori di fronte al cambiamento climatico, oltre alla crescente dipendenza economica”, aggiunge.

Le soluzioni sono già qui

Inoltre, il rapporto sostiene pratiche economiche basate sulla sufficienza, spingendo per riforme fiscali globali e cancellazione del debito e promuovendo soluzioni locali. Evidenzia filosofie economiche, iniziative di base e progetti rinnovabili incentrati sulla comunità nel Sud del mondo, che nutrono e proteggono sia le persone che il pianeta.

“Mentre gli investimenti [europei] portano valuta estera, spesso danno priorità all’estrazione e all’esportazione delle risorse, perpetuando dipendenze e costi socio-ambientali per il Sud del mondo… le comunità locali non dovrebbero ricevere solo benefici minimi”, dice a Raseef22 Hanen Keskes, responsabile della campagna di Greenpeace MENA .

“Le crisi che affrontiamo oggi – economica, politica e ambientale – non sono isolate, ma profondamente interconnesse, radicate in pratiche estrattive che sono persistite oltre l’era coloniale e continuano a plasmare il nostro presente postcoloniale”, ha sottolineato Keskes.

Una convinzione in particolare porta speranza: le alternative esistono”, ha detto Keskes. Ha sottolineato che l’obiettivo finale è creare una società in cui gli individui possano prosperare, le comunità siano resilienti e l’ambiente sia preservato per le generazioni future. Greenpeace sostiene un modello di “economia del benessere”, che “dà priorità alla dignità, alla salute, alla felicità e al benessere generale delle persone e del pianeta” e “sfida il tradizionale modello incentrato sulla crescita”, aggiunge Keskes.

“Piuttosto che concentrarsi semplicemente sul profitto, calcolando la crescita nel modo tradizionale come il PIL e paragonando l’aumento della produzione e del consumo con il miglioramento degli standard di vita, il modello di sufficienza del benessere riconosce che il consumo eccessivo non è né necessario, né auspicabile per la qualità della vita”.

Sebbene nessun paese si sia completamente allontanato dalla dipendenza dall’Occidente e dalle pratiche estrattive, uno degli esempi più forti di cambiamento è il Bhutan. Il paese dà priorità alla Felicità Nazionale Lorda (GNH) rispetto alla crescita del PIL, concentrandosi sullo sviluppo sostenibile, la conservazione ambientale e l’autosufficienza. Mantiene rigidi limiti agli investimenti esteri, dà priorità alle energie rinnovabili e protegge oltre il 70% del suo territorio come foresta.

Nel frattempo, le costituzioni di Ecuador e Bolivia hanno adottato Buen Vivir (Sumac Kawsay), un concetto indigeno che privilegia l’armonia con la natura e il benessere della comunità rispetto alla crescita economica infinita, sfidando il modello estrattivista. Nel 2023, gli ecuadoriani hanno votato per vietare tutte le trivellazioni petrolifere nello Yasuní e l’attività mineraria nel Chocó Andino.

Le tradizioni della regione MENA sono incluse nel rapporto anche come mezzi per contrastare l’estrattivismo. Ad esempio, i Majlis, o spazi di ritrovo della comunità, hanno da tempo facilitato il processo decisionale collettivo e la gestione delle risorse nelle culture arabe, mentre le cooperative in Marocco integrano la conoscenza tradizionale con le moderne strategie economiche per conservare la ricchezza locale e promuovere l’equità sociale. Allo stesso modo, la governance basata sui beni comuni consente alle comunità di gestire le risorse naturali condivise in modo sostenibile, assicurando che non vengano sfruttate eccessivamente da interessi esterni.

“La conoscenza locale viene spesso ignorata o messa da parte a favore di approcci top-down e tecnocratici che danno priorità all’efficienza e al profitto”, ha affermato Keskes. Ma non è questo il caso di Sinaweya, un’impresa sociale in crescita con sede in Egitto, guidata dall’intenzione di preservare il patrimonio culturale e naturale del Sinai.

Per oltre 1500 anni, la tribù Jabaliya di Santa Caterina ha coltivato i propri orti di montagna, che hanno sostenuto le famiglie nei momenti di bisogno. La comunità agricola beduina affina i principi della permacultura attraverso la propria conoscenza ancestrale.

“È stato piuttosto scoraggiante scoprire che una conoscenza così preziosa stava scomparendo con la modernità”, racconta a Raseef22 Dina Kafafy, co-fondatrice e direttrice di Sinaweya .

Fondata nel 2018, Sinaweya si propone di documentare la conoscenza della comunità locale, aiutarla a prosperare senza dipendere dal turismo e portare i propri prodotti nelle case cittadine.

“Sinaweya non è un’impresa commerciale; non riguarda la crescita esponenziale. Misuriamo il nostro successo in base al numero di famiglie che beneficiano del nostro lavoro e alla curiosità e alla passione ispirate. Produciamo ciò che la terra consente quell’anno e accogliamo gli agricoltori laboriosi nella nostra impresa per raggiungere la sostenibilità. Sinaweya funge da ponte tra una comunità agricola tradizionale e le case di città in cerca di cibo pulito”, afferma Kafafy. “Possiamo trovare modi per continuare queste tradizioni e includerle nel futuro di questa regione”.

Keskes concorda sul fatto che “i modelli guidati dalla comunità e le pratiche ancestrali che continuano a prosperare oggi, nonostante la mancanza di un ambiente favorevole, sono la prova che le strutture globali di disuguaglianza non sono così incrollabili come pensiamo e che gli individui e le comunità esercitano un potere trasformativo. Il vero sviluppo riguarda il benessere, l’autodeterminazione e la resilienza, non la dipendenza da attori esterni che estraggono più di quanto restituiscono”.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org