Ben Gvir, Netanyahu e la danza mortale del potere in Israele

Israele non ha un piano chiaro perché non può sconfiggere i palestinesi.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 24 marzo 2025

 

Immagine di copertina: Benjamin Netanyahu saluta il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir alla Knesset (Parlamento) il 23 maggio 2023. (AFP)

In una Guerra Genocida che si è trasformata in una lotta per la sopravvivenza politica, la coalizione del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e le potenze globali che lo sostengono continuano a sacrificare vite palestinesi per un interesse politico.

La sordida carriera dell’estremista Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir incarna questa tragica realtà.

Ben-Gvir si è unito alla coalizione di governo di Netanyahu dopo le elezioni del dicembre 2022. E’ rimasto nella coalizione durante la Guerra e il Genocidio successivi al 7 ottobre 2023, con l’intesa che qualsiasi cessate il fuoco a Gaza avrebbe costretto la sua partenza.

Finché l’uccisione dei palestinesi e la distruzione delle loro città fossero continuate, Ben-Gvir sarebbe rimasto a bordo, sebbene né lui né Netanyahu avessero un vero piano “per il giorno dopo”, se non quello di compiere alcuni dei Massacri più atroci contro una popolazione civile nella storia recente.

Il 19 gennaio, Ben-Gvir ha  lasciato il governo subito dopo l’inizio del cessate il fuoco, che molti sostenevano non sarebbe durato. L’inaffidabilità di Netanyahu, insieme al previsto crollo del suo governo se la guerra fosse finita completamente, hanno  reso il cessate il fuoco irrealizzabile.

Ben-Gvir è tornato quando il Genocidio è ripreso il 18 marzo. “Siamo tornati, con tutta la nostra forza e potenza”, ha scritto su X il giorno del suo ritorno.

Israele non ha un piano chiaro perché non può sconfiggere i palestinesi. Mentre l’esercito israeliano ha inflitto sofferenze al popolo palestinese come nessun’altra forza ha fatto contro una popolazione civile nella storia moderna, la guerra dura perché i palestinesi si rifiutano di arrendersi.

I pianificatori militari di Israele sanno che una vittoria militare non è più possibile. L’ex Ministro della Difesa Moshe Ya’alon questo mese ha aggiunto la sua voce al coro crescente, affermando durante un’intervista che “la vendetta non è un piano di guerra”.

Gli americani, che hanno sostenuto la violazione del cessate il fuoco da parte di Netanyahu, riprendendo così le uccisioni, capiscono anche che la guerra è quasi interamente una lotta politica progettata per mantenere personaggi come Ben-Gvir e l’estremista Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich nella coalizione di Netanyahu.

Sebbene “la guerra sia la continuazione della politica con altri mezzi”, come una volta ipotizzò il Generale prussiano Carl von Clausewitz, nel caso di Israele la politica dietro la guerra non riguarda Israele come Stato, ma la sopravvivenza politica di Netanyahu. Sta sacrificando i bambini palestinesi per restare al potere, mentre i suoi ministri estremisti fanno lo stesso per espandere il loro sostegno tra gli elettori di destra, religiosi e ultranazionalisti.

Questa logica, che la guerra di Israele a Gaza rifletta la politica interna, la guerra ideologica e le lotte intestine di classe, si estende anche ad altri attori politici.

L’amministrazione Trump sostiene Israele in cambio del sostegno finanziario ricevuto dai sostenitori di Netanyahu negli Stati Uniti durante la campagna elettorale dell’anno scorso. Nel frattempo, il Regno Unito rimane fermo nel suo impegno verso Tel Aviv, nonostante i cambiamenti politici a Westminster, continuando così ad allinearsi con gli interessi USA-Israele ignorando i desideri della sua stessa popolazione. La Germania, che si dice sia spinta dal senso di colpa per i suoi crimini passati, e altri governi occidentali rendono omaggio ai diritti umani mentre agiscono in modi che contraddicono le loro politiche estere dichiarate.

Ciò rispecchia il mondo distopico di “1984” di George Orwell, in cui la guerra perpetua è condotta sulla base di presupposti cinici e falsi, dove “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, e l’ignoranza è forza”.

Questi elementi si riflettono nella realtà odierna, ugualmente distopica. Tuttavia, Israele sostituisce “pace” con “sicurezza”, gli Stati Uniti sono motivati ​​dal predominio e dalla “stabilità” e l’Europa continua a parlare di “democrazia”.

Un’altra differenza fondamentale è che i palestinesi non appartengono a nessuno di questi “super Stati”. Sono trattati come semplici pedine, le loro morti e la loro ingiustizia persistente vengono usate per creare l’illusione del conflitto e giustificare il prolungamento continuo della guerra.

Le morti dei palestinesi, che ora ammontano a più di 50.000, sono ampiamente riportate dai principali organi di informazione, ma raramente menzionano che questa non è una guerra nel senso tradizionale, ma un Genocidio condotto, finanziato e difeso da Israele e dalle potenze occidentali per ragioni di politica interna. I palestinesi continuano a resistere perché è la loro unica opzione di fronte alla distruzione e allo Sterminio totali.

Tuttavia, la guerra di Netanyahu non è sostenibile nemmeno in senso orwelliano. Per essere sostenibile, avrebbe bisogno di infinite risorse economiche, che Israele, nonostante la generosità degli Stati Uniti, non ha. Avrebbe anche bisogno di una scorta infinita di soldati, ma i rapporti indicano che almeno la metà dei riservisti israeliani non sta rientrando nell’esercito.

Inoltre, Netanyahu non cerca semplicemente di sostenere la guerra; mira ad espanderla. Ciò potrebbe modificare le dinamiche regionali e internazionali in modi che né i leader israeliani né i loro alleati comprendono appieno.

Consapevoli di ciò, i capi di Stato arabi si sono incontrati al Cairo il 4 marzo per proporre un’alternativa al Piano Netanyahu-Donald Trump di ripulire etnicamente i palestinesi da Gaza. Tuttavia, devono ancora intraprendere azioni significative per ritenere Israele responsabile della sua sfida alle leggi internazionali e umanitarie, che continua dal vertice arabo.

Il mondo arabo deve andare oltre le semplici dichiarazioni o il Medio Oriente potrebbe affrontare un’ulteriore guerra, il tutto per prolungare ancora un po’ la coalizione di estremisti di Netanyahu.

Per quanto riguarda l’Occidente, la crisi risiede nelle sue contraddizioni morali. La situazione a Gaza incarna il concetto di bipensiero di Orwell, ovvero il potere di tenere in mente due convinzioni contraddittorie contemporaneamente e di accettarle entrambe. Le potenze occidentali affermano di sostenere i Diritti Umani e allo stesso tempo sostengono il Genocidio. Finché questo dilemma non sarà risolto, il Medio Oriente continuerà a sopportare sofferenze per anni a venire.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org